Al prossimo turno, come a Parigi, sarebbe bello che a sfidarsi fossero due donne. In Italia bisogna risalire a Letizia Moratti per parlare di un sindaco donna in una grande città, altrimenti è tutto un trionfo di testosterone e cravatte non sempre di buon gusto
Emanuela Vinai
Quando parliamo di un sindaco donna però non dobbiamo fare l’errore di cadere nella trappola delle domande oziose e capziose, che sembrano far risaltare le positività e invece ghettizzano peggio che andar di notte, del tipo: “cosa vi aspettate da un sindaco donna?”. Sfido chiunque a rintracciare un talk show, o un faccia a faccia, o una presentazione delle candidature in cui qualcuno abbia chiesto seriamente: “cosa vi aspettate da un sindaco uomo?”. Non è che da un candidato donna io debba necessariamente aspettarmi più asili nido e più attenzione alla famiglia: questo è il minimo sindacale che si deve pretendere da qualsiasi candidato che voglia governare una città, indipendentemente dal sesso. Se poi è donna è ancora meglio. Perché forse è banale dire che una donna avrebbe più a cuore gli spazi verdi, dove sa che giocano i bambini, riposano gli anziani, passeggiano gli innamorati, si ispirano i registi? Forse è scontato pensare che una donna saprebbe finalmente risolvere l’annoso problema della sporcizia romana, perché sa che il luogo dove abiti è lo specchio di quello che sei? E nessuno riceve gli ospiti in un soggiorno ricoperto di brutti graffiti e ingombro di cartacce, mozziconi e deiezioni di varia natura.
Le donne vivono la città più degli uomini, anzi, la abitano, e sanno cosa serve e dove serve. Basta osservare le mille città di provincia amministrate da donne, che hanno ribaltato le priorità e rimesso al centro la persona. Oppure guardare al Sud, dove se qualcosa è cambiato è grazie a donne coraggiose come Elisabetta Tripodi a Rosarno. Chiedere che le donne diventino protagoniste delle elezioni amministrative non è una faccenda di quote rosa, ma di merito conquistato sul campo. Non un’operazione di maquillage, vista purtroppo troppe volte, in cui la donna, possibilmente giovane e di piacevole aspetto, è sotto la protezione di un tutore ritenuto più affidabile e, ovviamente, maschio. Eppure, quando una donna entra in politica, la si presenta cominciando a elencare quanti figli ha. E con chi li ha avuti. Come se fosse elemento fondativo per esprimere un giudizio di valore e, quindi, di capacità. Per citare il poeta, non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore: lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia. Ora, non è colpa nostra se le donne, tutto questo, lo fanno meglio. E pure sui tacchi.
Fonte: agensir
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