Beati
Perché di essi sarà…
Il significato preciso della parola “beati”, comunque, lasciamolo
spiegare agli studiosi. Così pure lasciamo agli studiosi la fatica di spiegarci
il significato dei destinatari delle beatitudini.
Se i miti, i misericordiosi, i puri di cuore, gli oppressi, gli
operatori di pace… siano categorie distinte di persone o variabili dell’unica
categoria dei “poveri”, ci interessa fino a un certo punto.
E neppure ci interessa molto sapere se i poveri “in spirito” siano
una sottospecie aristocratica di miserabili o coincidano con quei poveri
banalissimi che ci troviamo ogni giorno tra i piedi.
Tre cose, comunque, ci sembra di poter dire con sicurezza.
Anzitutto, che il discorso delle beatitudini ha a che fare col
discorso della felicità. Non solo perché sembra quasi che ci presenti le uniche
porte attraverso le quali è possibile accedere nello stadio del regno.
Sicché chi vuole entrare nella “gioia” per realizzare l’anelito
più profondo che ha sepolto nel cuore, deve necessariamente passare per una di
quelle nove porte: non ci sono altri ingressi consentiti nella dimora della
felicità Ma anche perché la croce, la sofferenza umana, la sconfitta… vengono
presentate come partecipazione all’esperienza pasquale di Cristo che,
attraverso la morte, è entrato nella gloria.
E allora; se il primo titolare delle beatitudini è lui, se è il
Cristo l’archetipo sul quale si modellano tutti i suoi seguaci, è chiaro che il
dolore dei discepoli, come quello del maestro, è già contagiato di gaudio, il
limite racchiude in germe i sapori della pienezza, e la morte profuma di
risurrezione!
La seconda cosa che ci sembra di poter affermare è che, in fondo,
queste porte, pur differenti per forma, sono strutturate sul medesimo telaio
architettonico, che è il telaio della povertà biblica. A coloro che fanno
affidamento nel Signore, e investono sulla sua volontà tutte le “chances” della
loro realizzazione umana, viene garantita la felicità da una cerniera
espressiva che non lascia dubbi interpretativi: “…perché di essi sarà…”
Quel “…perché di essi sarà…” rappresenta il titolo giuridico di
possesso incontestabile, che garantisce tutti i poveri nel diritto nativo di
avere non solo la “legittima” ma l’intero asse patrimoniale del regno. E’ un
passaggio indicatore di una disposizione testamentaria così chiara che nessuno
può avere il coraggio di impugnare. E’, insomma, il timbro a secco che
autentica in modo indiscutibile il contenuto di uno straordinario rogito
notarile.
La terza cosa che possiamo dire è che, se vogliamo avere parte
all’eredità del regno, o dobbiamo diventare poveri, o, almeno, i poveri
dobbiamo tenerceli buoni, perché un giorno si ricordino di noi.
Insomma, o ci meritiamo l’appellativo di “beati” facendoci poveri,
o ci conquistiamo sul campo quello di “benedetti”, amando e servendo i poveri.
Ce lo suggerisce il capitolo venticinque di Matteo, con quel
“Venite, benedetti dal Padre mio: ricevete in eredità il regno preparato per
voi fin dalla fondazione del mondo”.
E’ la scena del giudizio finale, pilastro simmetrico a quello
delle beatitudini, che sorregge quell’arcata di impegno che ha la chiave di
volta nell’opzione dei poveri.
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