mercoledì 16 ottobre 2013

Il Dio di Elisabetta della Trinità: verità di un amore che supera ogni attesa e ogni merito

L’ultimo lavoro di P. R. Fornara è questa antologia commentata di testi che permette un approccio significativo alla spiritualità di Elisabetta della Trinità.
Il filo conduttore di queste pagine è la sua esperienza di Dio come Amore infinito e immutabile, nello stupore adorante, schiacciato dalla misura “troppo grande” dell’amore divino, e nel desiderio di approfondire sempre più la “scienza della carità”, il dono di sé “sino alla fine”, che la consuma in una lenta malattia durante la quale scopre che il Dio - Amore abita anche la sua sofferenza.
I testi citati sono raggruppati in base a pochi versetti biblici significativi per la sua maturazione spirituale.
La presentazione dei singoli testi segue inoltre un criterio cronologico, lasciando intravvedere come ognuno di essi abbia plasmato l’animo e il cuore di Elisabetta.
E' semplicemente un invito parziale e limitato, certo, a lasciarsi stupire dal percorso di Elisabetta e, attraverso di lei, dal mistero dell’Amore infinito, che opera nel cuore di chi crede.


Il cuore dell’esperienza spirituale di Elisabetta della Trinità è la fede nel Dio trino, Padre, Figlio e Spirito Santo, che abita nel cuore dell’uomo. Lo ha compreso fin dagli anni dell’infanzia, da quando la priora del Carmelo di Digione le ha rivelato una delle possibili etimologie del suo nome: “ casa di Dio ”. Elisabetta vive per esperienza la frase di Gesù ai suoi discepoli: « Se uno mi ama, custodirà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui » (Gv 14,23).
Che cosa significa per lei credere nel mistero della Trinità? Significa soprattutto credere in un Dio personale che è - nella sua intima essenza - relazione d’amore. 
Elisabetta ama e cita spesso la frase della prima lettera di Giovanni: « Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (l Gv 4,16). Il suo programma di vita diviene il desiderio di vivere «senza sosta, attraverso ogni cosa, con Colui che abita in noi e che è Carità» (L 179). « Sii il suo paradiso - scrive alla sorella Guite - in quel paese in cui Egli è così poco conosciuto, così poco amato, apri il tuo cuore quanto più ti è possibile per ospitarlo, e poi lì, nella tua celletta, ama, mia Guite!... Egli ha sete d’amore... » (L 210).
Dio ha sete d’amore. Ma prima di mettersi in gioco nella prospettiva dell’amore, prima di qualsiasi impegno concreto nella via dell’amore operoso, viene la scoperta dell’amore divino che precede sempre: « noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi ». Essere figli è fidarsi, credere di essere amati.
Nell’attesa dell’incontro pieno e definitivo con Colui che amiamo, « crediamo all’amore con san Giovanni » (L 239).
La carmelitana è chiamata a viverlo e a testimoniarlo in un modo del tutto particolare: « Io credo che la carmelitana attinga (...) la sua felicità a questa sorgente divina: la fede. Crede, come dice san Giovanni, “ all’amore che Dio ha avuto per lei ”. Crede che questo stesso amore l’ha attirato sulla terra... e nella sua anima, perché Colui che si è chiamato la Verità ha detto nel Vangelo: “Rimanete in me, e io in voi ". Allora, in tutta semplicità, obbedisce al comandamento così dolce e vive nell’intimità con il Dio che dimora in lei, che le è più presente di quanto ella lo sia a se stessa. Tutto questo (...) non è frutto di sentimento o di immaginazione, è fede pura » (L236).
È una fede che deve attraversare e superare tutti gli ostacoli, tutte le avversità: « Credi sempre all’Amore, malgrado tutto ciò che passa. / Se talvolta Dio sonnecchia al centro del tuo cuore, / Non risvegliarlo, perché è un’altra grazia / Che la sua bontà prepara al suo piccolo fiore » (P93).
Credi sempre all’Amore è il titolo anche di un’altra sua poesia, composta nell’agosto 1905 (P95), che rinnova l’invito appassionato ad una fede pura e salda. Nulla, più della “ carità ” (la radice greca charis contenuta nel termine contribuisce a sottolineare la gratuità dell’amore di benevolenza e di misericordia), può realmente definire chi è Dio per noi.
È soprattutto nel corso del 1906, l’ultimo anno della sua vita terrena, l’anno della sofferenza e della malattia, che le citazioni sulla fede nel Dio - Amore si moltiplicano.
La fede incrollabile di Mosè, « come se vedesse l’invisibile » (Eb 11,27), diviene il simbolo e il modello della fiducia in un « amore troppo grande », conosciuto e accolto (UR 10). Noi abbiamo creduto alla carità di Dio per noi, intitola una poesia per la priora, che compone ormai nell’infermeria del monastero: « Nel seno stesso dei Tre dove tutto è puro e bello / “ l’agnellino ”, [cioè Elisabetta stessa] ha potuto raccogliere un magnifico regalo. / Nel grande Cuore del Padre orientato su di te, / Vedevo risplendere una freccia ardente, / E il mio Verbo adorato, volgendo gli occhi su di me, / Sembrava ritirarla dalla fornace ardente. / Poi, consegnandomela come un “ pegno d’amore ”, / Perché ad ogni istante la tua anima vi possa credere: / “ Ritorna ”, mi disse, al soggiorno terrestre, / Dille “ che è amata ”, o Lode di gloria » (P 98). Verso la fine del mese di aprile, scrive quasi come in un testamento alla sorella: « ti lascio la mia devozione per i Tre, all’Amore » (L 269). “ Amore ” è il vero nome della Trinità « in charitate, cioè in Dio, Deus Charitas est... » (UR 6), tutte le pagine dedicate al mistero dell’inabitazione trinitaria convergono verso questo centro e questa pienezza di senso. Nella stessa lettera aggiunge il suo invito pressante: « Credi sempre all’Amore. Se ti capita di soffrire, pensa che sei ancora più amata, e canta sempre il tuo grazie ».
Il Dio rivelato in Gesù Cristo, infatti, « è un Dio d’amore; non riusciamo a capire fino a che punto ci ama, soprattutto quando ci mette alla prova » (L 267). «... Anche quando non lo sentiremo, [scrive più tardi] crederemo (...) alla sua azione che è tutta amore » (L 301). Conoscere l’amore di Dio per noi e credere a questo amore: « ecco qui il grande atto della nostra fede; è il mezzo di rendere al nostro Dio amore per amore; è il segreto nascosto (Col 1,26) nel cuore del Padre, di cui parla san Paolo, che noi finalmente penetriamo, e tutta la nostra anima trasalisce!» (fin qui la citazione a memoria di una lettera ricevuta da p. Vallée).
Quando essa sa credere a questo “ troppo grande amore ” (Ef 2,4) che è su di lei, si può dire come è detto di Mosè: « Era incrollabile nella sua fede come se avesse visto l’Invisibile » (Eb 11,27). « Non si ferma più ai gusti, ai sentimenti; poco le importa di sentire Dio o di non sentirlo; poco le importa se Egli le dona la gioia o la sofferenza: essa crede al suo amore. Più è messa alla prova più la sua fede si ingrandisce, perché essa attraversa per così dire tutti gli ostacoli per andare a riposarsi nel seno dell’Amore infinito, che non può fare che opere d’amore » (CF 20).
Questa convinzione si dilata in lei fino a punto da lasciarla come un testamento spirituale, scrivendo - a poche settimane dalla morte - le due lettere seguenti: « ...è ciò che ha fatto della mia vita (...) un Cielo anticipato: credere che un Essere che si chiama l’Amore abita in noi ad ogni istante del giorno e della notte e che ci chiede di vivere in società con Lui, ricevere allo stesso modo come procedenti direttamente dal suo amore ogni gioia, come ogni dolore; questo innalza l’anima al di sopra di ciò che passa, di ciò che stritola, e la fa riposare nella pace » (L 330).
« ... Le lascio la mia fede nella presenza di Dio, del Dio tutto Amore che abita nelle nostre anime. Glielo confido: è questa intimità con Lui “ al di dentro ” che è stata il bel sole che ha irradiato la mia vita, facendone già come un Cielo anticipato; è ciò che mi sostiene oggi nella sofferenza » (L 333).
Di fronte alla scoperta di questo Dio, la persona deve porsi in un atteggiamento di stupore adorante. Lo testimonia nei suoi scritti la frequenza e la partecipazione con cui cita l’espressione paolina di Ef 2,4, un inciso riferito al Dio “ ricco di misericordia ”. Più che questa espressione, però, le sta a cuore la misura dell’amore divino. Il testo greco di san Paolo parla letteralmente del “ grande amore ” di Dio, ma la traduzione latina della Vulgata, rendendo l’espressione con propter nimiam caritatem, apriva la strada ad un’interpretazione ancora più larga, comune ai tempi di Elisabetta: il latino parla di un amore “ eccessivo ” (nimiam), “ smisurato ”. È, appunto, il linguaggio dello stupore adorante, che riconosce il carattere gratuito, immeritato, inatteso e insperato di questo amore. La fede ci porta ad abitare fin d’ora in un mondo soprannaturale e divino, «... sotto l’abbraccio del Dio tutto Amore! La sua carità, la sua “troppo grande carità” per usare ancora il linguaggio del grande apostolo, ecco la mia visione sulla terra. (...) capiremo mai quanto siamo amati? » (L191).
Per Elisabetta della Trinità i passi non fatti nel cammino della vita spirituale, le infedeltà, i ripiegamenti, le omissioni nascono semplicemente dal non aver scoperto - con la “ scienza dei santi ” - o dal non tener presente la profondità e la ricchezza dell’amore di Dio.
La carmelitana ne può parlare per esperienza; così scrive in conseguenza di un ritiro dell’autunno 1904, in cui ha meditato su questi temi: « Sì, è vero ciò che dice san Paolo, “ Ha troppo amato ”, troppo amato la sua piccola Elisabetta.
Ma l’amore chiama l’amore ed io non chiedo più nient’altro al buon Dio se non di capire quella scienza della carità di cui parla san Paolo (Ef 3,18-19) e di cui il mio cuore vorrebbe scandagliare tutta la profondità. Sarà il Cielo, (...) ma mi sembra che lo si possa già cominciare sulla terra, poiché lo si possiede, Lui, e poiché attraverso ogni cosa si può rimanere nel suo amore » (L 219).
La fede nell’amore eccessivo ha per lei un taglio esperienziale: è nella propria vocazione, negli eventi della propria vita che Elisabetta rilegge la verità di un Amore che supera ogni attesa ed ogni merito.
E questa lettura teologale raggiunge il proprio apice di fronte alla realtà della sofferenza: « Quando una grande sofferenza o un piccolissimo sacrificio ci si presenta, oh, pensiamo immediatamente che “ è la nostra ora ”, l’ora in cui dimostreremo il nostro amore a Colui che ci ha “ troppo amato ”, dice san Paolo » (L 308).
 


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