domenica 11 maggio 2014

La forza della preghiera



Anche il credente che abbia poca dimestichezza con la preghiera, come il sottoscritto, ha in più occasioni la consapevolezza di cosa significhi nella vita di ogni giorno ritagliarsi qualche momento in cui ci si astrae dalla routine quotidiana, e, messi da parte il dormire, il mangiare, il lavorare, il begare… si cerca un contatto con Dio: cioè un attimo di pace, di serenità spirituale, nel quale le passioni si acquietano, i pensieri si elevano, lo sguardo, solitamente contratto e raggomitolato, si estende. Pregare significa accedere all’Origine e al Fine del nostro Essere, contemplare il mistero dell’Incarnazione di Dio, e così mettere a fuoco ciò che è importante e ciò che non lo è. Sei iroso? Nella preghiera trovi la calma e la quiete, una comprensione superiore dei fatti, grazie alla quale l’ira di prima appare inutile e cattiva. Sei in preda allo sconforto? La preghiera rinforza l’anima prostrata, come un bagno freddo che ritempra il corpo e lo rende tonico e forte. Sei in preda alla superbia? La preghiera ti rimette al tuo posto: sei creatura, non Dio, ma creatura amata, il cui unico bisogno non è la fama, l’onore, il potere, ma il Creatore, che è infinitamente di più di tutte le cose create e di tutte le aspirazioni mondane. Soprattutto la preghiera costante permette alla vita dell’uomo di non essere in balia delle onde, delle circostanze, delle situazioni contingenti e sempre cangianti. L’uomo di preghiera, per quanto possibile umanamente, sta, dum volvitur orbis, mentre tutto gira, cambia, muta.
A differenza del pagano, che pregava per ottenere qualcosa, il cristiano anzitutto dovrebbe ringraziare Dio di ciò che ha e lodarlo per i suoi doni; poi, certo, la preghiera è anche richiesta, persino di beni terreni, di aiuti concreti; ma soprattutto richiesta, spesso difficile, di saper vivere ciò che tocca vivere; di sapere affrontare, ciò che non si vorrebbe affrontare; di saper essere, ciò che si fatica ad essere; di saper  portare ciò che non si vorrebbe portare… Per questo la preghiera cristiana non è fuga, come vorrebbero alcuni, ma, al contrario, coinvolgimento pieno, alla luce dell’Incarnazione.
Madre Teresa di Calcutta, esempio a noi cronologicamente vicino di questa forza della preghiera, era una donnina piccola e curva, in mezzo alle continue tempeste del mondo. Perché le sue suore, con lei, le affrontassero con la forza sufficiente, aveva messo come regola anche un’ora di adorazione davanti al Santissimo ogni sera. Insegnando così alle sue suore che è nella vita contemplativa che si trova la forza per affrontare cristianamente la vita attiva. Ad un visitatore che le chiedeva: “Non le pare troppo lungo questo tempo dedicato alla preghiera?”. No, rispose, perché “senza questo amore personale a Cristo, la nostra vita sarebbe impossibile”.
Ebbene, madre Teresa riassumeva così il suo pensiero: “Il frutto del silenzio è la preghiera / Il frutto della preghiera è la fede / Il frutto della fede è l’amore / Il frutto dell’amore è il servizio / Il frutto del servizio è la pace”. Dal silenzio, condizione prima della preghiera, ad una pace nutrita di fiducia, di amore, di servizio agli altri.
Un premio Nobel per la medicina come Alexis Carrel, nella prima metà del Novecento scrisse un libretto di poche pagine, intitolato “La preghiera”, nato anzitutto dall’osservazione dei malati che andavano a Lourdes, o di quelli che tornavano da quella cittadina francese, anche senza aver ottenuto alcuna guarigione fisica. Osservando quelle persone deboli e prostrate nel corpo, ma forti nello spirito, che non rimanevano schiacciate dalle contingenze, ma si elevavano al di sopra di esse, Carrel comprese che la forza della preghiera sta nel suo corrispondere ad un bisogno dell’animo umano: come il corpo ha bisogno di ossigeno e di cibo, così l’anima (e di conseguenza anche il corpo, che è ad essa unito) ha bisogno della preghiera.
Scriveva Carrel: “Anche quando è di scarso valore e consiste, soprattutto, nella recitazione macchinale di formule, la preghiera esercita un effetto sul comportamento. Essa fortifica, insieme, il senso del sacro e il senso morale. I luoghi dove si prega si distinguono per una certa persistenza del sentimento del dovere e della responsabilità, per minori gelosie e iniquità, per qualche bontà verso il prossimo. Sembra dimostrato che, a parità di sviluppo intellettuale, il carattere e il valore morale sono più elevati negli individui che pregano, anche poco, piuttosto che in coloro che non pregano mai. Quando la preghiera è abituale e veramente fervente, la sua influenza diventa evidentissima. La si può paragonare a quella di una ghiandola a secrezione interna, come, ad esempio, la tiroide e la ghiandola surrenale. Tale influenza consiste in una specie di trasformazione mentale ed organica, questo mutamento avviene progressivamente. Si direbbe che nella profondità della coscienza si accenda una fiamma. L’uomo si vede tale quale è. Scopre il suo egoismo, la sua cupidigia, i suoi errori di giudizio, il suo orgoglio…”.
da: Il Foglio, 8/5/2014

giovedì 8 maggio 2014

IL CORAGGIO DI UNA MADRE "Non posso odiare chi ha sparato contro mio figlio"

Antonella Leardi è la mamma di Ciro Esposito, il ragazzo napoletano ferito gravemente sabato scorso, a Roma, con un colpo di pistola, prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina: "È stato l'odio a portare a questa tragedia, è l'odio a far sì che queste cose avvengano. Se cedessi all'odio, non cambierebbe mai nulla... senza la fede nel Signore non avrei potuto sopportare tutto questo, non avrei avuto la forza di parlare"
Andrea De Caro

“Ciro è nelle mani del Signore. È ancora gravissimo. Durante la notte è stato sottoposto a una nuova operazione. Gli sono stati asportati due pezzetti di colon ed è stato necessario inserire due by-pass”. Queste le parole di Antonella Leardi, madre di Ciro Esposito, il ragazzo napoletano ferito gravemente sabato scorso, a Roma, con un colpo di pistola, prima della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina. Purtroppo la situazione clinica di suo figlio si è aggravata ulteriormente e Ciro continua la sua lotta tra la vita e la morte al Policlinico Gemelli di Roma, dove martedì notte è stato operato per il sopraggiungere di una setticemia. Attorno a lui l’affetto dei suoi cari, del padre Giovanni, dei fratelli Pasquale e Michele, dei tanti tifosi accorsi, senza distinzione di squadra, e l’incredibile forza di sua madre che con la sua compostezza, le sue parole sta dando un esempio di dignità, di coraggio e di fede.

La forza della fede. “È la fede – racconta Antonella - a darmi la forza di parlare, di affrontare tutto questo. Sono addolorata, affranta, stanca, ma la fede mi sostiene, mi dà la forza di andare avanti e di perdonare chi ha sparato a mio figlio. Non posso odiarlo, non devo e non voglio. È stato l’odio a portare a questa tragedia, è l’odio a far sì che queste cose avvengano. Se cedessi all’odio, non cambierebbe mai nulla. Invece io voglio che quello che è successo a mio figlio, alla mia famiglia, non accada mai più a nessuno. Per questo lo sto facendo e senza la fede nel Signore non avrei potuto sopportare tutto questo, non avrei avuto la forza di parlare”. 

Un dramma immane.
 Frasi pesanti come macigni che hanno colpito tutti per l’enorme forza che portano con sé. Parole che sembrano in antitesi con chi si trova a vivere un dramma inimmaginabile che solo per puro caso non si è trasformato in tragedia. Un figlio partito di buon mattino in macchina con altri amici alla volta della Capitale per assistere alla finale del suo Napoli e che poche ore dopo è riverso a terra, per strada, colpito da un colpo di pistola. E ora lotta tra la vita e la morte per una semplice partita di calcio. Un dramma immane che avrebbe scosso chiunque, che avrebbe potuto mostrare il lato peggiore di ognuno, ma non di Antonella Leardi. 

La fede è tutto.
 Lei no. Lei, nonostante l’immenso dolore per le condizioni del figlio, ha reagito con grande coraggio e con una compostezza che ha spiazzato tutti. Ha dato e sta dando a tutti una lezione di vita e di fede. Perché solo con la fede si possono superare momenti drammatici come quelli che hanno colpito la famiglia Esposito. Una famiglia unita che si è stretta attorno a Ciro affidandosi all’unico strumento valido in queste situazioni: la preghiera. “Abbiamo fatto una riunione tra noi familiari - prosegue la signora Leardi - e ci siamo detti: a che serve urlare e disperarsi? Potrebbe essere utile per le condizioni di Ciro? Assolutamente no. Allora basta piangere. In questo momento possiamo solo pregare e affidarci al Signore. Il nostro Ciro è nelle sue mani e lui ci darà la forza di andare avanti e affrontare questa situazione. La fede è tutto”.

Fonte: agensir