mercoledì 27 maggio 2015

Il Carmelo Secolare di Kinshasa lavora per far conoscere il messaggio di santa Teresa.



Nell'occasione del V Centenario della nascita di santa Teresa di Gesù, i membri dell'Ordine Secolare di Kinshasa hanno cominciato ad animare i programmi della radio cattolica Elikia, ed hanno girato alcune parrocchie dell'arcidiocesi della città per far conoscere la santa.
Nella parrocchia di san Luca, la presidente dell'Ordione Secolare, Marguerite Wumba, ha tenuto una conferenza dal titolo "Teresa d'Avila, donna dal volto biblico". Nel suo intervento la signora Wumba ha cominciato chiarendo la confusione frequente tra Teresa di Gesù Bambino, Teresa d'Avila e Teresa di Calcutta.
Poi ha evidenziato come la santa di Avila riunisce nella sua esperienza molte donne elogiate dalla Bibbia.
"Teresa è la Madre degli spirituali perché la Parola di Dio ha trovato in lei un terreno fertile; imitare l'esempio della Madre ci aiuta a far risplendere in noi la luce della Parola di Dio per mettere in pratica le opere buone capaci di trasformare la Chiesa e la nostra società".
Al termine, i cristiani della parrocchia di san Luca hano potuto comprare libri, statuine, immagini con le preghiere di Teresa, magliette ed altri oggetti del Centenario.
Piccole iniziative che avvicinano il messaggio di Santa Teresa di Gesù al popolo africano.

da \ carmelitaniscalzi.com

Commissione per l’Evangelizzazione e la Missione


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Rispondendo al Capitolo Generale 2013 la commissione per l’evangelizzazione e la missione dell’Ordine ha avviato un progetto che potrebbe impegnare tutta la famiglia carmelitana. Il 30 marzo è stata inviata una lettera della commissione con un piccolo fascicolo nelle tre lingue ufficiali dell’Ordine (italiano, spagnolo e inglese) ai provinciali, alle superiore generali e ai gruppi affiliati. La lettera esprime il desiderio della commissione di impegnarsi in un dialogo sull’evangelizzazione e la missione con tutta la famiglia carmelitana. Ci sono sette brevi riflessioni sul tema “Essere carmelitano oggi: una gioia che si rinnova e si comunica”. Ogni sezione contiene citazioni di Evangelii Gaudium di Papa Francesco e del messaggio finale del Capitolo Generale e inoltre un invito a riflettere e pregare. La lettera e il fascicolo possono essere scaricati dal sito web dell’Ordine http://www.ocarm.org/it/content/ocarm/lettera-commissione-levangelizzazione-e-missione
e, dove necessario, tradotto, stampato e distribuito per le comunità, monasteri, gruppi dei terziari e per singoli. Una breve sintesi delle riflessioni delle comunità, delle province o dei singoli può essere comunicata nella sezione del sito web dedicata appositamente. Queste sintesi saranno usate dalla commissione per promuovere la missione dell’Odine riguardo alla sfida dell’evangelizzazione di oggi.

Lectio: Giovedì, 28 Maggio, 2015

1) Preghiera
Concedi, Signore,
che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace,
e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Marco 10,46-52
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”
Allora Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!” E chiamarono il cieco dicendogli: “Coraggio! Alzati, ti chiama!” Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: “Che vuoi che io ti faccia?” E il cieco a lui:“Rabbunì, che io riabbia la vista!” E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.

3) Riflessione
• Il vangelo di oggi descrive la guarigione del cieco Bartimeo (Mc 10,46-52) che chiude il lungo insegnamento di Gesù sulla Croce. All’inizio dell’insegnamento, c’era la guarigione di un cieco anonimo (Mc 8,22-26). Le due guarigioni di ciechi sono il simbolo di ciò che avveniva tra Gesù e i discepoli.
• Marco 10,46-47: Il grido del cieco Bartimeo. Finalmente, dopo una lunga traversia, Gesù ed i discepoli giungono a Gerico, ultima fermata prima di salire verso Gerusalemme. Il cieco Bartimeo è seduto lungo la strada. Non può partecipare alla processione che accompagna Gesù. Ma lui grida, invocando l’aiuto di Gesù: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!” Lungo i secoli, mediante la pratica dei monaci del deserto, questa invocazione del povero Bartimeo divenne ciò che si è soliti chiamare “La preghiera di Gesù”. I monaci la ripetono verbalmente, tutto il tempo, e scende dalla bocca al cuore. La persona, dopo un poco di tempo, non prega più, nel senso che lei stessa diventa preghiera.
• Marco 10,48-51: Gesù ascolta il grido del cieco. Il grido del povero disturba. Coloro che vanno in processione cercano di farlo tacere. Ma “egli gridava più forte!” E Gesù, cosa fà? Ascolta il grido del povero, si ferma e lo manda a chiamare! Coloro che volevano far tacere il grido incomodo del povero, ora, a richiesta di Gesù, sono obbligati a portare il povero verso Gesù: “Coraggio, alzati, perché Gesù ti sta chiamando". Bartimeo lascia tutto e si dirige verso Gesù. Non aveva quasi niente. Appena un mantello. Ciò che aveva per coprire il suo corpo (cf. Es 22,25-26). Era la sua sicurezza, l’unica cosa che possedeva. Gesù chiede: “Cosa vuoi che io faccia?” Non basta gridare. Bisogna sapere perché si grida! “Rabbunì, Maestro mio! Che io riabbia la vista!” Bartimeo aveva invocato Gesù con pensieri non del tutto giusti, poiché il titolo di “Figlio di Davide” non era del tutto appropriato. Gesù stesso l’aveva criticato (Mc 12,35-37). Ma Bartimeo aveva più fede in Gesù di quanto esprimessero le sue idee su Gesù. Non esprime esigenze come fece Pietro. Sa dare la sua vita accettando Gesù senza imporre condizioni, ed il miracolo avvenne.
• Marco 10,52: La tua fede ti ha salvato. Gesù gli disse: "Va’, la tua fede ti ha salvato." In quello stesso istante Bartimeo iniziò a vedere di nuovo e seguiva Gesù lungo il cammino. La sua guarigione è frutto della sua fede in Gesù. Guarito, lui lascia tutto, segue Gesù lungo il cammino e sale con lui verso il Calvario a Gerusalemme. Bartimeo diventa discepolo modello per tutti noi che vogliamo “seguire Gesù lungo il cammino” in direzione verso Gerusalemme. In questa decisione di camminare con Gesù si trova la sorgente di coraggio e il seme della vittoria sulla croce. Poiché la croce non è una fatalità, né un’esigenza di Dio. E’ la conseguenza dell’impegno assunto con Dio, di servire i fratelli e di rifiutare il privilegio.
La fede è una forza che trasforma le persone. La guarigione del cieco Bartimeo chiarisce un aspetto molto importante di come deve essere la fede in Gesù. Pietro aveva detto a Gesù: “Tu sei il Cristo!” (Mc 8,29). La sua dottrina era giusta, poiché Gesù è il Cristo, il Messia. Ma quando Gesù disse che il Messia doveva soffrire, Pietro reagì e non accettò. Pietro aveva una giusta dottrina, ma la sua fede in Gesù non era molto giusta. Bartimeo, al contrario, aveva invocato Gesù con il titolo di “Figlio di Davide!” (Mc 10,47). A Gesù non piaceva molto questo titolo (Mc 12,35-37). Per questo, pur invocando Gesù con una dottrina non del tutto corretta, Bartimeo aveva fede e fu guarito! Diversamente da Pietro (Mc 8,32-33), credette più in Gesù che nelle idee che lui aveva su Gesù. Si convertì e seguì Gesù lungo il cammino verso il Calvario! (Mc 10,52). La comprensione totale della sequela di Gesù non si ottiene per mezzo di un insegnamento teorico, ma con l’impegno pratico, camminando con lui lungo il cammino del servizio e della gratuità, dalla Galilea fino a Gerusalemme. Chi insiste nel mantenere l’idea di Pietro, cioè, del Messia glorioso senza la croce, non capirà nulla di Gesù e non giungerà mai ad avere l’atteggiamento del vero discepolo. Chi crede in Gesù e si “dona” (Mc 8,35), accetta di “essere l’ultimo” (Mc 9,35), di “bere il calice e portare la croce” (Mc 10,38). Costui/costei come Bartimeo, pur avendo idee non del tutto corrette, riuscirà a percepire e “seguirà Gesù lungo il cammino” (Mc 10,52). In questa certezza di camminare con Gesù si trova la fonte di coraggio e il seme della vittoria sulla croce.

4) Per un confronto personale
• Una domanda indiscreta: “Nel mio modo di vivere la fede, sono come Pietro o come Bartimeo?
• Oggi, nella chiesa, la maggioranza della gente è come Pietro o come Bartimeo?

5) Preghiera finale
Buono è il Signore,
eterna la sua misericordia,
la sua fedeltà per ogni generazione. (Sal 99)

da \ O. Carm

Beati Voi. Don Fabio Rosini sulle Beatitudini

martedì 26 maggio 2015

Assemblea della Federazione di Santa Maria Maddalena de 'Pazzi


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Sr. M. Anastasia di Gerusalemme, Carmelo di Ravenna
Nei giorni 28-31 marzo 2011 si è svolta presso l’istituto “Il Carmelo” di Sassone la I Assemblea elettiva della Federazione “S. Maria Maddalena de’ Pazzi” dei Monasteri italiani del nostro Ordine, alla quale hanno partecipato le priore e le delegate degli 11 monasteri aderenti.
I lavori si sono svolti in un clima di profonda comunione tra sorelle, di collaborazione e intesa reciproche, di apertura e scambio, sempre sostenuti dalla speranza per questa nuova realtà, nata appena lo scorso anno.
La preghiera ha accompagnato tutti i momenti delle giornate, dalla celebrazione dell’Eucaristia, al canto della Liturgia corale, all’adorazione, anche prolungata, fatta tutte insieme, per chiedere allo Spirito la luce del discernimento nelle scelte da compiere.
Anche la presenza di p. Josef Jančář e p. Christian Körner, come la guida attenta e puntuale di p. Matteo Palumbo, assistente spirituale della Federazione, hanno contribuito a rendere i lavori più fruttuosi, più ricchi e attenti a tutte le situazioni e alle necessità delle diverse realtà che animano i nostri monasteri.
La prima giornata è stata dedicata al discernimento, all’ascolto della voce dello Spirito, come anche a rivivere, in una memoria di fede, il lungo cammino fatto negli anni passati, attraverso gesti e momenti di comunione fra i monasteri.
Insieme abbiamo potuto nuovamente rendere grazie al Signore per averci condotte, di generazione in generazione, fino a questo momento di grazia.
Il giorno 29 marzo, dopo aver vissuto la mattinata dando ampio spazio all’adorazione, nel pomeriggio abbiamo iniziato il momento dell’elezione. Lo Spirito santo ha donato come prima Presidente della Federazione dei nostri monasteri sr. M. Martina del Sacro Cuore, del monastero di Sutri.
L’Eucaristia di ringraziamento e la serata di gioiosa fraternità ci hanno preparate a vivere la giornata del 30 marzo con rinnovata gioia e apertura. La mattinata è stata dedicata all’elezione delle 4 Consigliere, mentre il pomeriggio ai lavori dell’Assemblea su alcuni temi per noi importanti, come i corsi di formazione, i rapporti e la collaborazione dei monasteri con le altre realtà della nostra Famiglia Carmelitana, in particolare con i padri, o anche le difficoltà più forti che alcuni monasteri si trovano ad affrontare per anzianità e scarsità di membri.
Anche la mattinata del 31 marzo è stata dedicata allo scambio fraterno in questo senso, sempre arricchito dalla viva partecipazione di tutte.
L’Eucaristia, ancora una volta, ci ha accompagnate nella chiusura di questo momento così significativo per la storia dei nostri Carmeli e per la crescita dei nostri rapporti di amicizia tra sorelle, chiamate a vivere tutte la stessa meravigliosa vocazione e profezia all’interno dell’Ordine e della Chiesa.

da \ O. Carm

Maria - Madre e Sorella del Carmelo


 Maria - Madre e Sorella del Carmelo

Fin dai primi decenni, due furono, nel Carmelo, le icone della Madonna contemplate come simbolo del dono vocazionale ricevuto da Dio: la Vergine della Annunciazione, e la Vergine Immacolata. 
La Vergine dell’Annunciazione: come evidenza esemplare della creatura totalmente accogliente verso il “Dio che viene” 
L’icona dell’Annunciazione coglie Maria nel momento in cui la Vergine purissima diventa Madre. 
La purità –un termine ricorrente nelle meditazioni mariane degli autori carmelitani– non riguarda tanto la purezza del corpo, nella sua integrità biologica, quanto l’orientamento totale dell’essere che si volge verso il Dio-Trinità senza frapporre nessun ostacolo, nessuna distrazione, nessuna macchia interiore o esteriore. E’ la totale trasparenza che permise a Maria di ascoltare l’annuncio dell’Angelo con tutta se stessa e di credere anche col suo corpo. Ed è ciò che permette ancora alla creatura-carmelitana di «meditare giorno e notte la Parola del Signore» fino a lasciarla inabitare in sé come in un tempio purissimo.
La maternità divina è il dono sublime con cui Dio rispose a tale purezza di Maria, colmata di ogni grazia.
L’icona dell’Annunciazione ci fa contemplare Maria nell’istante, perfettamente compiuto, in cui per la prima volta ella si lascia inabitare dalla Presenza del Figlio di Dio fatto uomo[i].
Come ogni donna incinta, Maria è tempio vivente per il suo Bambino: tutto in lei si piega ad accogliere, ospitare, proteggere il Dono che le viene fatto. 
Per la prima volta nella storia, una creatura può amare Dio con tutto il cuore, tutta l’anima, tutte le forze e il prossimo come se stessa (sono i due grandi comandamenti!) in un unico e indivisibile atto: perché quel Bambino è indivisibilmente il suo Dio e il suo prossimo.
Per la prima volta nella storia, una creatura umana può consegnare a Dio, in un unica offerta di sé, tutta la sua contemplazione e tutta la sua azione. 
In tutta la storia cristiana, mai nessuno potrà sperimentare il Mistero di Dio, in maniera più umana e più piena di quello che accadde durante quei primi nove mesi.
La Vergine Immacolata: come evidenza esemplare della creatura totalmente e anticipatamente accolta nel Mistero che dovrà inabitarla. 
Laltra icona di cui l’Ordine Carmelitano si è sempre mostrato innamorato è quella della Immacolata.
Anzi, si può dire che i carmelitani si impadronirono, per così dire di una tale festa, al punto che la Curia Romana di Avignone prese l’abitudine (che durò un paio di secoli) di solennizzarla nella Chiesa dei Carmelitani[ii], come solennizzava presso la chiesa degli altri ordini religiosi la festa del rispettivo Fondatore.
Ma i carmelitani si distinsero anche nella dottrina, sottolineando soprattutto un argomento teologico di particolare bellezza: Maria doveva essere preservata dal peccato originale, e lo fu, a causa della «identità della carne» che lei avrebbe condiviso con il Figlio di Dio.
La fede nella Immacolata Concezione lì portò a “pensare” la pienezza dell’avvenimento cristiano.
Pensare non solo una creatura che genera Cristo, ma una creatura “fatta per generarlo”.
Pensare non solo una creatura salvata dalla sua passione e morte, ma una creatura già anticipatamente redenta prima ancora di essere fatta!
Ciò voleva dire considerare l’avvenimento cristiano risalendo alla sua sorgente trinitaria, là dove Dio si preparava «una vergine di perfetta bellezza, prescelta da tutta l’eternità come Madre del Signore Gesù» («…Virginem perfecti decoris, ab aeterno Domini Jesu Matrem praelectam»)[iii].
Voleva dire risalire, con la contemplazione, là dove anche ogni altra creatura ­–assieme a Maria– è predestinata a Cristo: già eternamente avvolta dalla Sua misericordia, già eternamente salvata dal Suo sangue.
Ed i Carmelitani erano per così dire storicamente abituati a risalire verso le origini, anche solo pensando al loro Elia al quale il mistero dell’Immacolata era stato rivelato nove secoli prima che accadesse. E di quel mistero i lontanissimi «figli dei profeti» s’erano innamorati, mentre nella Chiesa ancora se ne discuteva…
Anche questo era amore alle origini! 
La Vergine purissima: come sintesi delle due icone precedenti 
Il popolo cristiano ha sempre visto uno stretto legame tra la Verginità di Maria (nel suo concepire Gesù in tutta purità di mente e di corpo) e la sua Immacolata concezione (nell’essere lei concepita senza alcuna macchia di peccato), tanto che spesso ha addirittura confuso le due verità. Gli stessi predicatori e maestri facilmente le sovrappongono.
Questa istintiva tendenza la si trova anche nelle «leggende» e nella «devozione» e nelle «riflessioni» dei carmelitani, ed essa nasconde forse una verità più profonda che oggi ci è dato riscoprire. 
  I due privilegi mariani sono infatti tra loro legati in maniera speculare:
-          la Verginità ci ricorda la maniera «totale» in cui Maria ha ospitato in sé la Presenza del Figlio di Dio incarnato, credendo «anche col suo corpo», ed è il primo privilegio che ci viene rivelato dalla Parola di Dio.
-          L’Immacolata concezione ci rivela che Maria stessa è stata creata per Gesù, concepita per Lui, già prevenuta e redenta dal Suo sangue. E’ il privilegio che la Chiesa ha custodito per secoli e secoli, prima di comprenderlo appieno e di definirlo, ma è anche il privilegio originario, il primo in ordine di tempo. Quello che preannuncia e prepara l’incarnazione stessa. 
Se, come Vergine della Annunciazione, Maria contiene in sé il suo Figlio divino, ed è totalmente curvata su di Lui, per adorarLo e proteggerLo, come Vergine Immacolata, ella è totalmente e anticipatamente contenuta da Lui, plasmata da Lui, (per questo Dante la chiama “Figlia del tuo Figlio”!). 
La Vergine dell’annunciazione e la Vergine Immacolata sono dunque due immagini, due icone, che descrivono come è fatta la creatura che Dio destina a Cristo: è fatta per generare Gesù perché è stata da Lui generata; è fatta per generare il Salvatore perché è stata da Lui anticipatamente salvata.
E’ assieme che le due icone descrivono –in una circolarità virtuosa– il mistero dell’esistenza cristiana.
L’intera storia del Carmelo ruota attorno a queste due immagini esemplari, ed è tutta costruita su di esse. 
Chi, vocazionalmente e carismaticamente, si sente descritto dalla icona dell’Annunciazione è chiamato a riprodurre nella Chiesa il “tipo umano” della creatura che irresistibilmente vuole scendere ­–qualsiasi cosa sia chiamata a fare– nel profondo mistero del suo cuore, là dove già abita il Figlio incarnato di Dio, e l’intera Trinità. Sarà questo il tipo umano che sarà sperimentato e descritto nell’epoca d’oro del Carmelo.  Ne diamo soltanto due esempi.
S. Teresa d’Avila non solo immaginerà l’essere umano come una splendida dimora del Dio Trinità, ma terrà quest’icona mariana come espressiva dello sguardo con cui contemplerà quotidianamente se stessa e le sue monache. Esclamerà allora: «Che spettacolo meraviglioso vedere Colui il quale può riempire mille mondi delle sue grandezze, rinchiudersi in uno spazio così piccolo (cioè: nel cuore credente)! Allo stesso modo ha voluto rannicchiarsi nel grembo della sua Santissima Madre» (Cammino di Perfezione, red. Esc., 48,3). Ed Elisabetta della Trinità commenterà così, con tanta felicità, i suoi pochi Natali trascorsi in monastero: «Il  Natale al Carmelo è una cosa unica! La sera mi sono messa in coro e lì ho trascorso tutta la veglia, come la Vergine Santa, nell’attesa del piccolo Dio che questa volta stava per nascere non più nella mangiatoia, ma nella mia anima, nelle nostre anime, perché Egli è veramente l’Emmanuele, il Dio con noi» (L. 155).
Madre del Verbo, dimmi il tuo mistero
quando Dio si incarnò dentro di te.
Dimmi come vivesti sulla terra
immersa in costante adorazione.
Avvolta in una pace totale, ineffabile.
Con quel tuo silenzio misterioso,
andavi sempre più penetrando
nell’Essere insondabile,
quando portavi in te il Dono di Dio.
O Madre, custodiscimi sempre
nell’abbraccio divino! (P. 87).
Dentro di me, nella mia anima
si compie il sublime mistero,
si rinnova l’Incarnazione.
Io più non vivo, Lui vive in me. (P. 76). 
Chi, invece, vocazionalmente e carismaticamente, si sente più descritto dalla icona dell’Immacolata è chiamato a riprodurre nella Chiesa il  “tipo umano”  della creatura che riconduce il dramma della redenzione alle sue più profonde radici:  non solo là dove la creatura lotta col suo Dio e Salvatore,  ma là dove la creatura riconosce che Dio ha vinto da sempre;  non solo là dove la creatura “cede” a Dio, ma dove si lascia “prevenire” e “generare”.
Sarà questa, in particolare, l’esperienza di S. Teresa di Lisieux: ella rivendicherà in ogni maniera il suo diritto a sentirsi «immersa nella misericordia», «immersa nell’amore e nel perdono» non perché «peccatrice», ma perché «prevenuta anche dal peccare» [iv].
  I vari titoli mariani: 
-          Maria è Madre perché genitrice  del Figlio di Dio, ma genitrice anche dell’Ordine Carmelitano e dei singoli religiosi che sono suoi figli “come una sorta di primizia ecclesiale”; i quali, a loro volta, sono veramente figli solo se restano nel suo grembo e continuavano a lasciarsi da lei plasmare.
-          Maria è Vergine perché tutta disponibile all’amore del Padre e tutta pura nella accoglienza del Verbo; a loro volta i carmelitani sono “vergini” (con una esperienza di secoli e secoli: risalente ad Elia!) perché interamente dediti a quell’orazione che è “virtus castissima”, come diceva Dionigi l’Areopagita.
Maria è Immacolata perché tutta preparata per Cristo e per la sua salvezza, perché già anticipatamente redenta. L’Ordine Carmelitano onora questo mistero e lo sente particolarmente suo perché lo porta in qualche maniera nel suo «codice genetico»: esso sa – in forza delle sue antichissime tradizioni – che cosa vuol dire sentirsi scelti e salvati fin dalla notte dei tempi. 
E’ chiaro che non stiamo qui vantando – una volta ancora! – privilegi scarsamente difendibili sul piano della storia o della stretta teologia.  Stiamo semplicemente elencando le «persuasioni di coscienza» che accompagnarono l’Ordine Carmelitano nella sua secolare evoluzione.
Non temiamo di dire, per altro, che fu quest’alta coscienza di sé che ha permesso all’Ordine –soprattutto alla sua parte più mariana: quella femminile– di produrre «personalità mariane» o «marie-formi» di inarrivabile grandezza anche «magisteriale».
Tali furono, fuor di ogni dubbio Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux, Elisabetta della Trinità, Edith Stein, per ricordare solo le più celebri. E, per gli aspetti più profondi, anche S. Giovanni della Croce può essere inserito in questo elenco «sponsale».  
La «Madre di tutti» 
Nel secolo XIV si diffuse il racconto della visione di un monaco cistercense che aveva visto Maria raccogliere sotto il suo manto, come Madre misericordiosa, un numero infinito di figli. Tra i carmelitani subito l’immagine fu ripresa e diffusa – in base a un’altra visione, beninteso – e il titolo che l’icona ebbe fu quello splendido di «Mater omnium: Madre di tutti»: e tutti, sia la vergine che i suoi figli, erano rivestiti di bianco. 
L’episodio, discutibile nella sua genesi, mostra tuttavia che la coscienza dell’Ordine si era da tempo protesa ad universalizzare i suoi doni, mettendoli a disposizione di tutto il popolo cristiano.
A questa profonda necessità si riallaccia la storia dello «Scapolare»[v] e dei suoi «privilegi».
E’ una storia che di fatto si imporrà nella Chiesa, al punto tale che l’icona della «Madonna del Carmine» e quella della «Madonna dello Scapolare» si sovrapporranno l’una all’altra e riempiranno il mondo.
La notizia della visione di S. Simone Stock[vi] risale a un’epoca (il sec. XIV) in cui molti Ordini religiosi ne vantano di simili (e tutte legate alla protezione celeste concessa per mezzo santo abito) e offrono analoghi privilegi (in particolare la certezza dell’eterna salvezza).
A tale visione si sarebbe poi legato un «privilegio» concesso da papa Giovanni XXII –sempre in seguito a una visione avuta dal pontefice–  che garantiva ai «veramente devoti» la salvezza eterna e la liberazione dal Purgatorio il primo sabato dopo la morte. 
Di tutto ciò non ci sono prove storiche certe, ma storico è il fatto che la Chiesa accolse, e in seguito ratificò, la predicazione di questo privilegio e le assicurazioni in esso contenute, chiedendo ai cristiani – come è ovvio – di vivere e morire in grazia di Dio, dopo aver particolarmente onorato la Vergine Santa, soprattutto con una vita casta. 
Ma ciò che importa non è garantire in tutti i dettagli la storicità del miracolo originario, quanto osservare stupefatti la storicità del miracolo che con la predicazione dello Scapolare si originò: la devozione a «Maria Carmelitana».     
Le cronache dei secoli immediatamente successivi parlano «di infiniti confratelli di massima devotione et concorso, specialmente in Sicilia, nel Regno di Napoli e in Lombardia».
Al tempo di S. Teresa d’Avila, pare che – in occasione della visita del Generale dell’Ordine – ricevettero lo scapolare più di duecentomila fedeli.
Della Spagna si diceva, sul finire del secolo XVI: «Non c’è casa dove non portino l’abito del Carmelo… Non sembra forse la Spagna, con la Lusitania, un grande convento di carmelitani?»
La cosa importante fu che le «confraternite dello Scapolare» si estesero anche là dove non c’erano chiese o conventi di carmelitani, col risultato che la «devozione alla Madonna del Carmine» si universalizzò e si radicò in tutto il popolo di Dio.
In tal modo lo Scapolare divenne, assieme al SS. Rosario, la devozione mariana più popolare al mondo.
Lo hanno portato i regnanti di Francia e di Spagna (e, nei primi secoli, anche quelli d’Inghilterra), non meno dei Sommi Pontefici, fino ai nostri giorni. 
Questo ci basta per concludere che «nel codice genetico carmelitano» ci sta anche una naturale propensione, o meglio: «una predestinazione» a coinvolgere nelle sue vicende l’intero popolo di Dio.
Certo: tutti i carismi sono dati per l’edificazione della Chiesa, ma ognuno deve costruire una parte dell’edificio.
«La storia poetica e spirituale dei Carmelitani» dei primi secoli sembra indicare una tendenza a disseminare il carisma dell’Ordine dovunque.[vii]
 Maria, Sorella del Carmelo 
I primi carmelitani, nel loro guardare a Maria, non erano interessati a vedere fenomeni particolari. Chiamare Maria sorella significa sentire Maria accanto a noi, a noi familiare. E Maria, come sorella che ci sta accanto, creatura come noi, ci invita a vivere il mistero che ci costituisce e che sta dentro di noi, quel mistero che noi riusciamo a percepire, per grazia di Dio, attraverso la nostra interiorità. Interiorità continuamente desiderata, scoperta, abbandonata e ritrovata. Occorre, ancora una volta, focalizzare la nostra attenzione per rafforzarci in questa dimensione della nostra interiorità, che ci è propria, ma che anche ha bisogno costantemente di essere rivisitata e ricompresa. Ci muoviamo in tre direzioni.
 La Prima direzione: la dimensione umana
Perché ci sia interiorità bisogna che ci sia una “spina dorsale”, occorre essere uomini e donne nel pieno della maturità;  bisogna che ci sia un “io” vero, una persona che sa pensare, scegliere, decidere, una persona che vive la propria libertà e la propria responsabilità. Nella vita quotidiana occorre dirsi: “Io voglio questo, questo desidero, e allora decido”. Certamente questo implica un vero discernimento, una verità profonda con se stessi, per cui ci si pone la domanda: “Ma sono davvero io a volere questo?”, “Io, cosa voglio davvero, cosa desidero nel più profondo di me?”. Dobbiamo imparare a dare voce ai nostri pensieri, ai nostri sentimenti, ai nostri veri desideri. Maria è la donna libera, vera che ascolta ciò che c’è nel suo cuore, ascolta e ricorda, fa memoria del mistero che l’ha avvolta e allora sceglie, decide. 
La seconda direzione: la non superficialità
Essere uomini e donne di interiorità significa non essere superficiali. Oggi anche la comunicazione sociale non ci aiuta ad andare alla profondità delle cose, anzi, il rischio è di non arrivare a non sentire più stupore e compassione; non essere superficiali significa rimanere ancorati ai nostri veri sentimenti, non lasciarci prendere dall’abitudine, dal “tutto scontato”. Interiorità significa allora filtrare ciò che ascoltiamo e vediamo educandoci ad un vero spirito critico che sa andare al cuore, al centro delle cose. Maria è la donna che approfondisce le cose, che non ha paura di fare anche domande al Signore.
 La terza direzione: abitati da una presenza
E’ centrale nell’esperienza di Maria la consapevolezza di essere abitata da una Presenza  e questo è al centro del cristianesimo: noi siamo “Tempio di Dio”. La nostra interiorità è abitata da Dio, è dimora permanente di questo Dio. Dio è presenza nascosta, non evidente, ma Maria lo sente. Maria ci insegna soprattutto a vivere questa presenza di Dio in noi, ci invita a prendere sempre di più consapevolezza che noi non siamo mai soli, ci insegna ad accorgerci di questa presenza così delicata e così stravolgente.
Sono importanti, allora, anche i segni esterni. Quanto importante che anche l’ambiente in cui viviamo risplenda della bellezza che attinge da questa Presenza che sta nel cuore di ogni luogo e alla radice di ogni cosa. Abbiamo bisogno di segni; abbiamo bisogno di essere segni gli uni per gli altri per richiamarci a vicenda il mistero che ci abita.
Abbiamo bisogno degli occhi, delle mani, dei nostri occhi degli occhi degli altri, delle nostre mani, delle mani degli altri, per compiere quei gesti, fatti talvolta di silenzio, gesti di cura e di vicinanza, di consolazione e di condivisione, che rivelano la presenza di Dio nel mondo, in ciascuno di noi e che ogni giorno, ogni ora, ogni istante risvegliano il mondo, ciascuno di noi, in quel profondo mistero dal quale veniamo e al quale torneremo, Dio nostro Padre.
 PER L’ORAZIONE CARMELITANA

Parola di Dio: Lc 1,34-38 
34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.
Un pensiero di Teresa d’Avila 
«Che spettacolo meraviglioso vedere Colui il quale può riempire mille mondi delle sue grandezze, rinchiudersi in uno spazio così piccolo (cioè: nel cuore credente)! Allo stesso modo ha voluto rannicchiarsi nel grembo della sua Santissima Madre» (Cammino di Perfezione, red. Esc., 48,3).
 Un pensiero di Elisabetta della Trinità 
«Il  Natale al Carmelo è una cosa unica! La sera mi sono messa in coro e lì ho trascorso tutta la veglia, come la Vergine Santa, nell’attesa del piccolo Dio che questa volta stava per nascere non più nella mangiatoia, ma nella mia anima, nelle nostre anime, perché Egli è veramente l’Emmanuele, il Dio con noi» (L. 155).
Madre del Verbo, dimmi il tuo mistero
quando Dio si incarnò dentro di te.
Dimmi come vivesti sulla terra
immersa in costante adorazione.
Avvolta in una pace totale, ineffabile.
Con quel tuo silenzio misterioso,
andavi sempre più penetrando
nell’Essere insondabile,
quando portavi in te il Dono di Dio.
O Madre, custodiscimi sempre
nell’abbraccio divino!» (P. 87).
«Dentro di me, nella mia anima
si compie il sublime mistero,
si rinnova l’Incarnazione.
Io più non vivo, Lui vive in me» (P. 76). 
Un pensiero di Teresa di Lisieux 
Lo so: « colui al quale si rimette  meno, ama meno »; ma so anche che Gesù mi ha rimesso di più che a Santa Maddalena, poiché mi ha rimesso in anticipo, impedendomi di cadere. Ah, come vorrei poter spiegare quello che sento!... Ecco un esempio che esprimerà un poco il mio pensiero. Supponiamo che il figlio di un abile dottore incontri sul suo cammino una pietra che lo faccia cadere e che in questa caduta si rompa un arto. Subito il padre va da lui, lo rialza con amore, cura le sue ferite, impiegando per questo tutte le risorse della sua arte e ben presto il figlio, completamente guarito, gli manifesta la propria ricono- scenza. Certo questo figlio ha perfettamente ragione di amare suo padre! Ma farò anche un'altra supposizione. Il padre, avendo saputo che sulla strada di suo figlio si trovava una pietra, si affretta ad andare davanti a lui e la rimuove (senza essere visto da nessuno). Certamente, questo figlio, oggetto della sua tenerezza previdente, non SAPENDO la sventura da cui è liberato dal padre non gli manifesterà la propria riconoscenza e l'amerà meno che se fosse stato guarito da lui... ma se viene a conoscere il pericolo al quale è sfuggito, non l'amerà forse di più? Ebbene, sono io quella bambina oggetto dell'amore previdente di un Padre il quale non ha mandato il suo Verbo per riscattare i giusti, ma i peccatori. Egli vuole che io l'ami perché mi ha rimesso, non molto, ma tutto. Non ha aspettato che l'ami molto come Santa Maddalena, ma ha voluto che IO SAPPIA di essere stata amata di un amore di ineffabile previdenza, affinché ora io lo ami alla follia! Ho sentito dire che non si era mai incontrata un'anima pura che ami più di un'anima penitente, ah, come vorrei smentire queste parole!... (Manoscritto A 120) 
Sr. Miriam Bo
Carmelitana di S. Teresa di Torino



[i] Il carmelitano Giovanni di Hildesheim, nel 1370 chiama Maria: «Vergine cristifera, Madre cristifera, tempio vivo del Dio vivente, sacrario e santuario dello Spirito Santo» (Defensorium ).
[ii] G. Baconthorpe, che ne dà notizia in un suo trattato, ne approfitta per chiedere al Papa  l’approvazione esplicita della festa e della dottrina, altrimenti si rischia un peccato di «dissimulazione»… Cfr. L’Immacolata Concezione di Maria e i dottori Carmelitani, estratto da Il Monte Carmelo (XV-XVI), p. 21.
[iii] A. Bostio, in Speculum Carmelitanum, Antuerpiae 1680, n. 1699.
[iv] Cfr. Teresa e l’Immacolata, in A.-M. Sicari, La teologia di S. Teresa di Lisieux, Dottore della Chiesa, Milano-Roma 1997, pp. 260-264.
[v] Lo «scapolare» è parte dell’abito carmelitano è segno della protezione che l’abito concede. Una particolare sottolineatura teologica viene data in tutta la vicenda anche al mantello bianco.
[vi] La visione di S. Simone Stock però sarebbe avvenuta verso il 1251, e quella di Giovanni XXII verso il 1322.
[vii] Tutta questa parte è tratta da A. Sicari, La storia poetica e spirituale dei Carmelitani, nei secoli XIII-XV. Parte seconda, Brescia 1999, pro manuscripto.

da \ O. Carm

Lectio: Mercoledì, 27 Maggio, 2015

Tempo ordinario
1) Preghiera
Concedi, Signore,
che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace,
e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Marco 10,32-45
In quel tempo, Gesù, prendendo in disparte i Dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà”.
E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: “Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Cosa volete che io faccia per voi?” Gli risposero: “Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete ciò che domandate. Potere bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?” Gli risposero: “Lo possiamo”. E Gesù disse: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”.
All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

3) Riflessione
• Il vangelo di oggi narra il terzo annuncio della passione e, di nuovo, come nelle volte precedenti, ci mostra l’incoerenza dei discepoli (cf. Mc 8,31-33 e Mc 9,30-37). Gesù insiste nel servizio e nel dono della propria vita, e loro continuano a discutere sui primi posti nel Regno, uno a destra e l’altro a sinistra del trono. Tutto indica, quindi, che i discepoli continuano ad essere ciechi. Segno che l’ideologia dominante dell’epoca era penetrata profondamente nella loro mentalità. Malgrado il fatto di aver vissuto diversi anni con Gesù, loro non avevano cambiato il loro modo di vedere le cose. Guardavano Gesù con lo sguardo di prima. Volevano essere retribuiti per il fatto di seguire Gesù.
• Marco 10,32-34: Il terzo annuncio della passione. Erano in cammino verso Gerusalemme. Gesù li precedeva. Aveva fretta. Sapeva che l’avrebbero ucciso. Il profeta Isaia l’aveva annunciato (Is 50,4-6; 53,1-10). La sua morte non era il frutto di un destino cieco o di un piano prestabilito, ma la conseguenza dell’impegno assunto con la missione che ricevette dal Padre insieme agli esclusi del suo tempo. Per questo Gesù avverte i discepoli sulla tortura e la morte che affronterà a Gerusalemme. Il discepolo deve seguire il maestro, anche se se si tratta di soffrire con lui. I discepoli erano spaventati, e coloro che stavano dietro avevano paura. Non capivano cosa stava succedendo. La sofferenza non andava d’accordo con l’idea che avevano del messia.
• Marco 10,35-37: La richiesta del primo posto. I discepoli non solo non capiscono, ma continuano con le loro ambizioni personali. Giacomo e Giovanni chiedono un posto nella gloria del Regno, uno alla destra e l’altro alla sinistra di Gesù. Vogliono passare davanti a Pietro! Non capiscono la proposta di Gesù. Sono preoccupati solo dei propri interessi. Ciò rispecchia le tensioni ed il poco intendimento esistenti nelle comunità, al tempo di Marco, e che esistono fino ad oggi nelle nostre comunità. Nel vangelo di Matteo è la madre di Giacomo e di Giovanni che rivolge questa richiesta per i figli (Mt 20,20). Probabilmente, dinanzi alla situazione difficile di povertà e mancanza di lavoro crescente di quell’epoca, la madre intercede per i figli e cerca di garantire un impiego per loro nella venuta del Regno di cui Gesù parlava tanto.
• Marco 10,38-40: La risposta di Gesù. Gesù reagisce con fermezza: “Voi non sapete ciò che state chiedendo!” E chiede se sono capaci di bere il calice che lui, Gesù, berrà e se sono disposti a ricevere il battesimo che lui riceverà. E’ il calice della sofferenza, il battesimo di sangue! Gesù vuole sapere se loro, invece di un posto d’onore, accettano di dare la vita fino alla morte. I due rispondono: “Lo possiamo!” Sembra una risposta non pensata, perché, pochi giorni dopo, abbandoneranno Gesù e lo lasceranno solo nell’ora della sofferenza (Mc 14,50). Loro non hanno molta coscienza critica, né percepiscono la loro realtà personale. Quanto al posto di onore nel Regno accanto a Gesù, quello lo concede il Padre. Ciò che lui, Gesù, può offrire, è il calice e il battesimo, la sofferenza e la croce.
• Marco 10,41-44: Tra di voi, non sia così. Alla fine della sua istruzione sulla Croce, Gesù parla di nuovo, sull’esercizio del potere (Mc 9,33-35). In quel tempo, coloro che ostentavano il potere nell’Impero Romano non si occupavano della gente. Agivano secondo i propri interessi (Mc 6,17-29). L’Impero Romano controllava il mondo e lo manteneva sottomesso con la forza delle armi e, così, attraverso i tributi, le tasse e le imposte, riusciva a concentrare la ricchezza della gente nelle mani di pochi a Roma. La società era caratterizzata dall’esercizio repressivo ed abusivo del potere. Gesù ha un’altra proposta. Dice: “Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti”. Insegna contro i privilegi e contro la rivalità. Rovescia il sistema ed insiste nel servizio, quale rimedio contro l’ambizione personale. La comunità deve presentare un’alternativa per la convivenza umana.
• Marco 10,45: Il riassunto della vita di Gesù. Gesù definisce la sua missione e la sua vita: “Il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la propria vita in riscatto di molti”. Gesù è il Messia Servo, annunciato dal profeta Isaia (cf. Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). Imparò da sua madre che disse all’angelo: “Ecco l’ancella del Signore!” (Lc 1,38). Proposta totalmente nuova per la società di quel tempo. In questa frase in cui lui definisce la sua vita, appaiono i tre titoli più antichi, usati dai primi cristiani per esprimere e comunicare agli altri ciò che significava per loro: Figlio dell’Uomo, Servo di Yavé, colui che riscatta gli esclusi (colui che libera, che salva). Umanizzare la vita, servire i fratelli e le sorelle, accogliere gli esclusi.

4) Per un confronto personale
• Giacomo e Giovanni chiedono il primo posto nel Regno. Oggi molte persone pregano per chiedere denaro, promozioni, guarigioni, successo. Cosa cerco io nella mia relazione con Dio e cosa chiedo a Dio nella preghiera?
• Umanizzare la vita, servire i fratelli e le sorelle. Accogliere gli esclusi. E’ il programma di Gesù, è il nostro programma. Come le metto in pratica?

5) Preghiera finale
Il Signore ha manifestato la sua salvezza,
agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa di Israele. (Sal 97)

da \ O. Carm