martedì 17 febbraio 2015

Solo Dio basta - Santa Teresa d'Avila

 
Solo Dio basta (di Santa Teresa d'Avila)
"Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta! Il tuo desiderio sia vedere Dio, il tuo timore, perderlo, il tuo dolore, non possederlo, la tua gioia sia ciò che può portarti verso di lui e vivrai in una grande pace".

lunedì 16 febbraio 2015

Superare ogni tipo di emarginazione: così il Papa all'Angelus


“Non avere paura di guardare un povero negli occhi”: così Papa Francesco che all’Angelus chiede di “eliminare ogni tipo di emarginazione sociale”. Poi, il pensiero a quanti in Estremo Oriente si apprestano a festeggiare il capodanno lunare sotto il segno della fraternità. Un applauso chiesto per i nuovi cardinali e il rinnovato invito a pregare per il Papa. 60.000 le persone in piazza. Il servizio di Fausta Speranza:

“Cristo non si pone a distanza di sicurezza e non agisce per delega”: questo il messaggio di Francesco che sottolinea:
“Dio non viene a “tenere una lezione” sul dolore; non viene neanche ad eliminare dal mondo la sofferenza e la morte; viene piuttosto a prendere su di sé il peso della nostra condizione umana, a portarla fino in fondo, per liberarci in modo radicale e definitivo. Così Cristo combatte i mali e le sofferenze del mondo: facendosene carico e vincendoli con la forza della misericordia di Dio”.
Nel racconto dell’evangelista Marco il malato è un lebbroso e Papa Francesco ribadisce: “una malattia contagiosa e impietosa, che sfigura la persona, e che era simbolo di impurità: il lebbroso doveva stare fuori dai centri abitati e segnalare la sua presenza ai passanti.” “Era – aggiunge - emarginato dalla comunità civile e religiosa. Era come un morto ambulante".
Gesù manifesta compassione per il lebbroso, che significa – spiega - “patire-con-l’altro”. Da parte sua, il lebbroso ha supplicato Gesù e il Papa la definisce “una preghiera umile e fiduciosa”. La preghiera, e poi Gesù che per salvarlo lo tocca. Francesco dice: “un particolare che è molto importante”. E Francesco chiarisce: se vogliamo essere veri discepoli di Gesù, dobbiamo superare ogni tipo di emarginazione:
“…di fronte a un povero o a un malato, non dobbiamo avere paura di guardarlo negli occhi e di avvicinarci con tenerezza e compassione, e di toccarlo e di abbracciarlo. Ho spesso chiesto alle persone che aiutano gli altri, di farlo guardandoli negli occhi, di non avere paura di toccarli; che il gesto di aiuto sia anche un gesto di comunicazione: anche noi abbiamo bisogno di essere da loro accolti. Un gesto di tenerezza, un gesto di compassione … Ma, io vi domando: voi, quando aiutate gli altri, li guardate negli occhi? Li accogliete senza paura di toccarli? Li accogliete con tenerezza? Pensate a questo: come aiutate, a distanza o con tenerezza, con vicinanza?”.
E poi l’invito a ricordarci dei Sacramenti perché tutti possiamo essere risanati dal peccato:
“Questo avviene ogni volta che riceviamo con fede un Sacramento: il Signore Gesù ci “tocca” e ci dona la sua grazia. In questo caso pensiamo specialmente al Sacramento della Riconciliazione, che ci guarisce dalla lebbra del peccato".
E Francesco lascia una certezza:
“Se il male è contagioso, lo è anche il bene. Pertanto, bisogna che abbondi in noi, sempre più, il bene. Lasciamoci contagiare dal bene e contagiamo il bene!”.
In definitiva, il senso dell’incontro con Gesù:
“L’azione di Gesù contro ogni specie di male, a beneficio dei sofferenti nel corpo e nello spirito: indemoniati, ammalati, peccatori… Egli si presenta come colui che combatte e vince il male ovunque lo incontri".
“Gesù - dice - si espone direttamente al contagio del nostro male; e così proprio il nostro male diventa il luogo del contatto: Lui, Gesù, prende da noi la nostra umanità malata e noi prendiamo da Lui la sua umanità sana e risanante".
Dopo la preghiera mariana, un augurio speciale del Papa “di serenità e di pace a tutti gli uomini e le donne che nell’Estremo Oriente e in varie parti del mondo si preparano a celebrare il capodanno lunare”. “Tali festività – afferma Francesco - offrono loro la felice occasione di riscoprire e di vivere in modo intenso la fraternità, che è vincolo prezioso della vita familiare e basamento della vita sociale”.
“Questo ritorno annuale alle radici della persona e della famiglia possa aiutare quei Popoli a costruire una società in cui si tessono relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità".
Dunque, i saluti ai romani e pellegrini e, in particolare, a quanti sono “venuti in occasione del Concistoro, per accompagnare i nuovi cardinali”, con un ringraziamento “ai Paesi che hanno voluto essere presenti a questo evento con delegazioni ufficiali”. Un pensiero ai pellegrini spagnoli provenienti da San Sebastián, Campo de Criptana, Orense, Pontevedra e Ferrol; gli studenti di Campo Valongo e Porto, in Portogallo, e quelli di Parigi; il “Foro delle Istituzioni Cristiane” della Slovacchia; i fedeli di Buren (Olanda), i militari statunitensi di stanza in Germania e la comunità dei venezuelani residenti in Italia. Poi, i giovani di Busca, i fedeli di Leno, Mussoi, Monteolimpino, Rivalta sul Mincio e Forette di Vigasio, i molti gruppi scolastici e di catechesi da tante parti d’Italia. Per tutti l’incoraggiamento “ad essere testimoni gioiosi e coraggiosi di Gesù nella vita di ogni giorno”.

da | radiovaticana.va

venerdì 13 febbraio 2015

QUELLO CHE MANCA ANCORA

· ​Gli ostacoli all’unità secondo il metropolita ortodosso Hilarion ·

«Oggi siamo divisi nell’essenza stessa della testimonianza che siamo chiamati a portare al mondo esterno. Non parliamo con una sola voce, non predichiamo gli stessi insegnamenti morali, non siamo in grado di mostrare solidarietà comune nel sostenere i principi morali, su cui è stata costruita per secoli la vita della comunità cristiana»: non ha nascosto le difficoltà del dialogo ecumenico, in particolare con il mondo protestante, il metropolita di Volokolamsk, Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne (Decr) del Patriarcato di Mosca e rettore della Scuola di dottorato e alti studi teologici, in visita nei giorni scorsi nel Regno Unito. Alla Facoltà teologica dell’Università di Winchester ha tenuto una relazione sul tema «C’è un futuro di cooperazione inter-cristiana?», nella quale ha sottolineato che oggi le differenze tra i cristiani di diverse confessioni non riguardano solo le questioni dottrinali ma interessano anche l’area della moralità, «quella in cui la testimonianza cristiana potrebbe essere unita indipendentemente dalle differenze dottrinali».
da | osservatoreromano.va
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giovedì 12 febbraio 2015

Anima affamata



· Ludovica Albertoni raccontata da Franco Scaglia ·
02 febbraio 2015
«Ognuno dovrebbe muoversi nella direzione segnata dai battiti del proprio cuore» diceva Paul Klee e credo che queste dolci, profonde, significative parole siano perfette per definire l’esistenza di Ludovica Albertoni che visse a Roma tra il 1474 e il 1533. Per capire a fondo il tema della sua santità e delle numerose testimonianze che su di lei ci vengono proposte, potremmo dire che la sua vita terrena riflette la verità affermata da san Paolo: «Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me».

Ludovica si conquistò la capacità di entrare in contatto diretto con Gesù attraverso un’intensa esperienza religiosa, fino a raggiungere l’estasi: uno stato nel quale, sospesa ogni comunicazione con l’esterno, si viene trasportati in un “territorio” riservato e privilegiato. La vita di Ludovica è piena di coraggio e molti sono i risultati positivi ottenuti attraverso l’opera di assistenza a sostegno dei poveri, dei diseredati, degli ammalati. Soprattutto durante il sacco di Roma, nel 1527 da parte dei lanzichenecchi.

Gian Lorenzo Bernini, «Estasi della beata Ludovica Albertoni» (1671-1674)

Ludovica proveniva da due nobili famiglie. Il padre, Stefano, patrizio romano, morì quando lei era ancora molto giovane. La madre, Lucrezia Tebaldi, prese di nuovo marito e affidò l’educazione di Ludovica dapprima alla nonna e poi a due zie. Ludovica sentiva la necessità di consacrare la sua vita al Signore. Ma la sua esistenza doveva percorrere altre strade, non certo scelte da lei e dal suo cuore.

Infatti la famiglia, obbedendo a regole e tradizioni consolidate, aveva deciso di darla in sposa al nobiluomo Giacomo della Cetara. Non si può dire che Ludovica fosse felice di quella decisione non sua. Le nozze avrebbero rappresentato un ostacolo al proprio intento di consacrare la propria vita a Gesù: tuttavia rispettò la volontà della famiglia.

Il matrimonio si rivelò felice. Giacomo era un’ottima persona, di buon carattere, animato da profondo rispetto nei confronti della moglie. Ebbero tre figlie e Ludovica amò devotamente Giacomo fino alla sua morte prematura avvenuta nel 1506. Ludovica aveva trentadue anni e nessuna intenzione di riprendere marito.

La sua vocazione, negli anni del matrimonio, invece di affievolirsi, si era come rafforzata. Era sempre più convinta della necessità di seguire la legge e la volontà del Signore. Aveva ben capito come lo scopo della vita fosse lo sviluppo di noi stessi. Era stata moglie felice e una buona madre: ora poteva osare. E fare dunque ciò che non le era stato permesso. La sua anima era affamata. Lei sapeva che se una persona, uomo o donna avesse potuto vivere pienamente la propria avventura terrena con abnegazione, fede, spiritualità, ne sarebbe venuto fuori un impulso di gioia tale da sopportare ogni dolore terreno.

Vedova, Ludovica vestì l’abito del terz’ordine francescano e offrì a chi aveva bisogno il suo patrimonio. Rimase solo con la sua tunica e la famiglia dovette provvedere, anche con qualche mugugno, alla sua sopravvivenza. Ludovica si dedicò alla preghiera, alla meditazione, alla penitenza. Accanto a questo lavoro dello spirito ne svolse altri, mostrando grande praticità e intervenendo a sostegno di chi aveva bisogno. Costruì le doti per le ragazze povere che, altrimenti, non si sarebbero potute sposare, e curò gli ammalati di cui nessuno voleva occuparsi. Ebbe il dono dell’estasi e le si attribuirono anche episodi di levitazione e visioni. Si racconta che il solo pensiero della Passione di Gesù le provocasse lunghe crisi di pianto. Quando morì, nel 1533, era già un simbolo di santità ed era circondata da profonda e autentica devozione. Il 28 gennaio 1671 Clemente x rese ufficiale il suo culto.

A Ludovica il Bernini dedicò, tre anni dopo, uno dei suoi lavori più intensi e di totale sua attribuzione. La scolpì immaginando una sua manifestazione d’estasi. Bernini aveva ormai settant’anni e questo particolare non va tralasciato nella lettura dell’opera. Si sente, in ogni tratto scultoreo, l’amore e il rispetto dell’artista per quella donna così dolce e forte dalla vita piena, moglie, madre, terziaria francescana, la quale — dopo aver trascorso parte della sua vita nel lusso e aver ottemperato ai suoi obblighi mondani — con la stessa naturalezza si dedicò a chi aveva bisogno di lei e della sua fede.

La vita, lo sappiamo, è corta. E a volte difficilmente sopportabile. Ludovica ci ha mostrato un modo per allungarla con il suo insegnamento di mirabile equilibrio tra fede e carità. Con la certezza che la verità cammina sempre su piedi delicati e commossi.

Scrittore e giornalista, Franco Scaglia (Camogli, 1944) è autore di numerosi romanzi e saggi tradotti in vari Paesi europei. Tra gli altri ricordiamo, L’erede del tempo (2014), Il giardino di Dio: Mediterraneo, storie di uomini e pesci (2013), Luce degli occhi miei (2010), Il Custode dell’acqua (2002). Dirigente Rai (Radio televisione italiana) per quarant’anni, ha vinto numerosi premi tra cui il Premio Flaiano per la televisione e il Premio Campiello.

Donne Chiesa Mondo

Da | osservatoreromano

Per fare gli interessi del bambino


· ​La nozione del "rischio minimo" nella sperimentazione in pediatria ·
11 febbraio 2015

I ricercatori che effettuano sperimentazioni cliniche devono seguire regole precise. Le regole derivano da due fonti principali: codici (o analoghi documenti di riferimento) e normative. L’interpretazione delle regole, tuttavia, non sempre è univoca. Un esempio è la nozione di «rischio minimo» (minimal risk) utilizzata per la sperimentazione in pediatra. Qui di seguito si propongono alcune considerazioni in proposito.

Felice Casorati, «Beethoven» (1928)

In genere la sperimentazione che coinvolge bambini, senza che questi ne ricevano un beneficio diretto, è considerata accettabile se non comporta rischi superiori al «minimo». Per esempio, secondo le linee guida sulla sperimentazione pediatrica del Medical Research Council britannico «le ricerche in cui non vi è beneficio per il bambino partecipante devono comportare un rischio minimo» — dal contesto si evince poi, come logico, che la ricerca deve comportare un rischio «non superiore» al minimo. Ma cos’è il «rischio minimo»?
In letteratura si trovano varie definizioni. Per esempio, nel Protocollo addizionale alla Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la Biomedicina del Consiglio d’Europa «si assume che la ricerca presenti un rischio minimo se, in considerazione della natura e delle dimensioni dell’intervento, ci si aspetta che ne derivi, al massimo, un impatto negativo sulla salute della persona interessata molto ridotto e temporaneo». Nel Code of Federal Regulations statunitense un rischio è definito «minimo» se «la probabilità e l’entità del danno o del disagio che ci si attendono dalla ricerca non sono superiori a quelli ordinariamente incontrati nella vita quotidiana o durante l’esecuzione di test fisici o fisiologici routinari». Anche altri documenti e normative fanno riferimento alle situazioni ordinarie della vita quotidiana o a test routinari.
Sotto il profilo teorico, tali definizioni sono assolutamente condivisibili. Sotto il profilo operativo, tuttavia, esse sollevano difficoltà. Per esempio: A quali rischi della «vita quotidiana» occorre riferirsi? I dati elaborati dall’Organizzazione mondiale della sanità attestano che gli incidenti stradali sono la prima causa di morte per gli adolescenti nel mondo. Dati recenti sulla mortalità in Italia indicano che gli incidenti stradali causano 200 decessi e oltre 25.000 feriti gravi tra i minorenni ogni anno. Ovviamente è doveroso ogni sforzo per ridurre, e possibilmente annullare, il rischio. Tuttavia, sarebbe irrealistico vietare l’uso delle automobili o imporre il passo d’uomo come limite massimo di velocità.
Trovare soluzioni definitive e univoche è, probabilmente, impossibile. Tre requisiti paiono particolarmente importanti affinché le decisioni siano il più possibile orientate al bene. Il primo è procedere caso per caso: non vi è un unico criterio di orientamento valido per qualsiasi situazione. Il secondo è il discernimento nel soppesare tutti gli elementi in gioco. Il terzo riguarda i comitati etici: è doveroso che le sperimentazioni siano autorizzate da un comitato etico indipendente e competente.

di Carlo Petrini

da | osservatoreromano.va

La carezza di Dio



«Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati a essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri» e «questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo». L’ha detto Francesco nella Evangelii gaudium, la sua prima esortazione apostolica. La Chiesa povera e per i poveri, al centro dei pensieri e delle parole del Pontefice, è oggi soprattutto femminile. Sono in gran parte donne le persone più povere, e sono donne coloro che hanno scelto di dedicare la loro vita a chi ha poco o nulla, a chi è diseredato, emarginato ed escluso. Suore, laiche, missionarie hanno assunto, seguendo il Vangelo, il più faticoso dei compiti. È al femminile la storia dei comedores, le mense popolari di Villa El Salvador, periferia sud di Lima, raccontata in queste pagine da Silvia Gusmano. È una donna polacca, suor Małgorzata Chmielewska, l’organizzatrice della comunità Pane della Vita la cui missione consiste «nel vivere con i poveri» e che, in un’intervista a Dorota Swat, racconta la sua esperienza. Le donne che dedicano la loro vita agli ultimi, non possono certo eliminare la povertà, spiega suor Małgorzata, ma possono intervenire sulla infelicità da essa prodotta e persino scoprire una felicità che la maggior parte di noi non riesce a trovare perché occupata a cercarla altrove. È la felicità che non viene dalla ricchezza o dal denaro, ma dalla solidarietà, dalla gioia di dare e ricevere il bene, dall’amore degli altri e di Dio, dalla speranza. Lo sapeva bene santa Chiara che, come racconta Mario Sensi, particolarmente amava la povertà, «e non poté mai essere indotta a ricevere possessione, né per lei, né per lo monasterio». Non stupisce che ci siano le donne in prima fila accanto ai poveri, che siano loro innanzitutto a dispensare «la carezza di Dio». Per amare i poveri, soccorrerli, per avvicinarsi all’infelicità della povertà e pensare di rovesciarla nel suo contrario, per sconfiggere la miseria — che è diversa dalla povertà — e per dare dignità bisogna conoscere, possedere o riconoscere quell’amore incondizionato che viene dall’esperienza materna. Come le madri amano i figli più deboli, così la Chiesa delle donne cerca e predilige la vicinanza dei poveri. (r.a.)

da | osservatoreromano.va

Madonna di Lourdes. P. Grasso: luogo di ricerca di Dio


Migliaia di pellegrini affollano oggi Lourdes nel giorno in cui la Chiesa ricorda l'apparizione della Madonna a Bernadette Soubirous avvenuta l'11 febbraio 1858. Tra i fedeli tanti sono i malati giunti nella cittadina francese ai piedi dei Pirenei: oggi si celebra infatti anche la Giornata mondiale del malato.

Sul rapporto tra guarigioni e fede, ascoltiamo padre Antonino Grasso, mariologo, docente all’Istituto Superiore di Scienze Religiose San Luca di Catania, al microfono di Luca Collodi:

R. – Parlando dei miracoli che avvengono a Lourdes, una fondamentale constatazione che dobbiamo fare è questa: Lourdes non è una clinica o un laboratorio, ma prima di tutto ed essenzialmente è un luogo di preghiera, di ricerca di Dio, di conversione. Il pellegrinaggio a Lourdes contribuisce a far prendere coscienza della prospettiva escatologica in cui si muove il cristiano, tra l’oscurità della fede e la sete di Dio, tra la limitatezza del tempo e l’aspirazione ad una vita senza fine, tra la fatica del vivere e la brama della felicità. Il significato di Lourdes, perciò, è soprattutto spirituale: il suo segreto misterioso è in Dio, che con la sua grazia, attraverso Maria, si fa compagno di viaggio del suo popolo, pellegrinante tra pericoli e affanni. Solo in questa prospettiva si possono comprendere le guarigioni di Lourdes e cioè solo nel loro esclusivo significato di esplicitazione visibile di questa presenza operante e confortante del Dio Salvatore, nel loro essere – come scriveva il vescovo di Lourdes, mons. Perrier – come tanti sassolini che aprono una strada verso il cielo. E segno visibile di tutto questo è la sorgente dell’acqua della grotta, mezzo di tante guarigioni, ma prima di tutto simbolo del rinnovamento e del lavacro sacramentale del Battesimo e della Confessione. Con la sua sorgente, Lourdes visualizza simbolicamente la promessa del Signore rivolta ad ogni creatura: “l’acqua che Io gli darò, diventerà in lui sorgente che zampilla per la vita eterna”. Il cuore dell’uomo, ferito dal peccato, perduto nel deserto della siccità spirituale e fisica, è simboleggiato dalle erbe amare e dal fango. Ma in fondo a questo cuore può ritornare la vita stessa di Dio, significata dalla sorgente.
D. – Chi va in pellegrinaggio a Lourdes, soprattutto i malati, non nascondono la loro speranza spirituale e corporale. Tra l’altro vi sono molte guarigioni a Lourdes che la Chiesa ha riconosciute come miracolose…
R. – Sì. In realtà ogni anno accorrono a Lourdes circa 80 mila malati di ogni genere: portatori di handicap, invalidi, malati terminali o cronici, dializzati… Insomma una moltitudine di umili e di afflitti che sin dalle origini non ha mai cessato di accedere alla Grotta delle apparizioni e alla sorgente miracolosa. Nel contesto di questo pellegrinaggio, alcuni di loro sono stati immediatamente, inspiegabilmente e completamente liberati dalle loro gravi malattie. Dal 1858, anno delle apparizioni, fino al 2013 la Chiesa ha riconosciuto, come dovute al solo intervento di Dio e quindi miracolose, 69 di queste guarigioni. Sebbene dobbiamo dire che negli archivi di Lourdes sono conservati migliaia di dossier di guarigioni inspiegabili… Analizzando queste guarigioni dobbiamo dire che i 69 miracolati appartengono a tutte le fasce di età, sono in maggioranza donne e provengono da sei nazioni diverse. Le guarigioni non si sono verificate tutte allo stesso posto: alcune sono avvenute nelle piscine, altre davanti alla Grotta o sulla scalinata della Basilica del Rosario o durante la processione pomeridiana del Santissimo Sacramento. Addirittura due guarigioni – quella di Pierre de Rudder e della bambina siciliana Delizia Cirolli – sono avvenute nei loro Paesi di origini e quindi a centinaia di chilometri da Lourdes, confermando che l’acqua, portata dai malati al ritorno in patria, provoca guarigioni anche ben lontano dal santuario. Le ultime due guarigioni miracolose sono state riconosciute in Italia.

da | radiovaticana

Giornata Malato. P. Chendi: Francesco esorta a servire chi soffre


Nell’odierna Giornata Mondiale del Malato, ricorre anche il 30.mo dell’istituzione del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari, voluto da San Giovanni Paolo II.

Alessandro Gisotti ha chiesto a padre Augusto Chendi, sottosegretario del dicastero, di soffermarsi sul messaggio di Francesco per la Giornata e sulle attività del Pontificio Consiglio:

R. - La Giornata Mondiale del Malato, istituita da San Giovanni Paolo II nel 1992, ha lo scopo di sensibilizzare l’intero Popolo di Dio nonché la stessa società civile circa i problemi afferenti al mondo della salute. Destinatari, quindi, di questa Giornata non solo soltanto le persone ammalate, ma anche le loro famiglie, i professionisti della salute, il ricco mondo del volontariato, ma anche coloro che detengono la responsabilità di determinare politiche sanitarie eque e giuste, ad esempio nell’allocazione-distribuzione delle risorse finanziarie; ed ancora, destinatari sono coloro che investono nella ricerca farmacologica e, non da ultimo, le stesse diocesi e parrocchie, impegnate in quella pastorale feriale, quotidiana che dovrebbe trovare nella cura delle persone ammalate un aspetto qualificante della missione della Chiesa.
D.- Il Messaggio del Papa per la XXIII Giornata Mondiale del Malato si sofferma sulla “sapienza del cuore”. Una sua riflessione…
R. - Il Messaggio che Papa Francesco ha inviato a tutta la Chiesa in occasione di questa XXIII Giornata Mondiale del Malato verte sull’emblematica esperienza di fede e di sofferenza coagulate nella figura di Giobbe. Prendendo spunto da un’espressione che esplicita la dimensione di servizio svolto nei confronti del povero e dell’indigente da parte di quest’uomo giusto, che godeva di una certa autorità ed aveva un posto di riguardo tra gli anziani della sua città, il Santo Padre ha qualificato il suo Messaggio con le parole di Giobbe: «Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo» (Gb 29, 15). Questa espressione costituisce per Papa Francesco la chiave per interpretare cosa sia e cosa comporti l’acquisizione della Sapientia cordis, della sapienza del cuore. Concretamente, per tutti coloro che sono coinvolti nel mistero del dolore e della sofferenza, la sapienza del cuore è anzitutto «servire il fratello». Al riguardo, il Papa sottolinea come tale servizio può diventare «via di santificazione», soprattutto quando gli anni si accumulano in un’assistenza continuativa, a volte anche senza alcun cenno di ringraziamento, perché le persone accudite non sono neppure in grado di tale gesto. Qui si realizza l’essere “occhi per il cieco”, “piedi per lo zoppo”, fratello per il fratello. Ancora, tale “sapienza del cuore” è «stare», spendere tempo con e per il fratello, nella certezza che stare accanto al malato, accompagnarlo e servirlo con premura, con tenerezza, con un cuore di madre - come diceva San Camillo de’ Lellis ai suoi Confratelli - è «un tempo santo». Questa “sapienza”, che è tutt’altro che la «fede tiepida» indicata da Papa Francesco per coloro che sono assillati dalla fretta, dalla frenesia del fare e del produrre, è piuttosto un «uscire da sé verso il fratello». Acquisire tale Sapientia cordis comporta, quindi, il passaggio, la conversione dall’autoreferenzialità alla priorità dell'altro, alla gratuità, al prendersi cura e al farsi carico e promuovere l’altro, ancorché ammalato o in una qualsiasi situazione di indigenza fisica, morale o spirituale si trovi, senza giudicare il fratello - è questo l’ultimo aspetto indicato dal Santo Padre -, ma creando una solidarietà, che lo fa accogliere come qualcuno che mi appartiene. Questa Sapientia cordis ha un nucleo sorgivo dal quale attingere la forza che abilita tutto il popolo di Dio e lo inserisce nella missione evangelizzatrice della Chiesa: questo nucleo sorgivo è il mistero del Crocifisso Risorto, atto supremo di solidarietà di Dio con noi. In quelle «piaghe gloriose», che rimangono per sempre impresse nel corpo di Cristo risorto - sono le parole di Papa Francesco nella parte conclusiva del suo Messaggio -, non solo chi assiste ma le stesse persone ammalate possono diventare testimoni viventi di una fede che «permette di abitare la stessa sofferenza».
D.- Il prossimo anno, la Giornata Mondiale del Malato si celebrerà in forma solenne. Può darci qualche anticipazione?
R. - La Giornata Mondiale del Malato, analogamente a quanto disposto da Papa Benedetto XVI per le Giornate rispettivamente dei Giovani e della Famiglia, sarà celebrata in forma solenne a scadenza triennale. In particolare, tale celebrazione solenne della Giornata Mondiale del Malato avrà luogo l’11 febbraio 2016 e sarà celebrata a Nazaret, in Terra Santa. Per tale occasione Papa Francesco ha già indicato il tema del Messaggio che invierà a tutta la Chiesa e che sarà: Affidarsi a Gesù come Maria – “Fate quello che vi dirà” (Gv 2, 5). L’intonazione mariana di tale celebrazione bene si iscriverà nel contesto della Basilica dell’Annunciazione, dove il “fiat” il “sì” di Maria potrà trovare eco nel cuore di coloro che vivono il mistero della sofferenza e del dolore, nonché di tutti coloro che con professionalità e amore si prendono cura, si chinano, - come afferma Papa Francesco nel Messaggio per l’odierna Giornata del Malato - spendono del loro tempo per questi fratelli infermi.
D.- Questo 11 febbraio ricorre il 30.mo dell’istituzione del dicastero. Quali sono le attività più significative che vuole menzionare?
R. - Senz’altro un’eco profonda delle attività appena svolte dal Dicastero ha avuto la XXIX Conferenza Internazionale che è stata celebrata in Vaticano dal 20 al 22 novembre scorso e che ha avuto come tema: La persona con disturbi dello spettro autistico: animare la speranza. In occasione di questo Conferenza, accanto a problemi più squisitamente scientifici e di ricerca, si sono affrontate questioni anche di ordine pastorale, afferenti all’aiuto alle famiglie, all’inserimento scolastico e professionale, ai percorsi di accompagnamento e di inserimento ecclesiale, all’impatto sociale che investono le persone con disturbi dello spettro autistico, superando in particolare lo stigma, che molte volte grava su queste persone e sulle loro famiglie, oltre all’isolamento che tali disturbi già in sé comportano. Per quanto riguarda la programmazione durante l’anno in corso, si deve significare il XX° anniversario della Lettere enciclica Evangelium Vitae. Al riguardo, il 25 marzo il dicastero riserverà una apposita Giornata di Studio, sempre in Vaticano, sulla suddetta Lettera Enciclica, per valorizzare e richiamare l’impegno che la Pastorale della Salute riserva a tutti i problemi della vita, in tutti gli ambiti della sua parabola, e cioè dal suo sorgere fino alla sua fine naturale. In seguito, dal 15 al 16 maggio si svolgerà il Convegno Internazionale sulle Malattie rare e neglette, accomunate dal comune denominatore della solidarietà. Quindi queste malattie rare, che gravano in particolare sulle famiglie, spingono la nostra solidarietà. Ugualmente le malattie neglette, lontane dal nostro mondo, e che tuttavia comportano gravi sofferenze per un miliardo circa di persone; anche queste malattie neglette non possono essere disconosciute dalla nostra sensibilità, anzi fatte nostre nel segno della più ampia e profonda solidarietà. Sarà questa anche l’occasione per incontrare, il 18 maggio seguente, i vescovi delegati delle diverse Conferenze episcopali nazionali per la Pastorale della Salute, per verificare insieme le strategie, che possono essere messe in atto sia sul fronte delle malattie rare come sul fronte delle malattie neglette, e affrontare insieme anche le sfide che la Pastorale della Salute pone a ciascuno di noi e alla Chiesa, in particolare nei diversi continenti. Analogamente al Convegno sull’Autismo, nel novembre prossimo è prevista la XXX° Conferenza Internazionale sul tema: "Servire la cultura della vita e dell’accoglienza a vent’anni dall’Evangelium Vitae". Infine, nel corso dell’anno, in occasione di questo 30° anniversario della istituzione del Pontificio Consiglio, è prevista la pubblicazione della Carta degli Operatori Sanitari. In particolare, a seguito dell’aggiornamento e della revisione portati a termine da un apposito Gruppo di Studio del Dicastero, si stanno definendo i dettagli di carattere tipografico per una migliore presentazione di questo strumento, la cui prima edizione risale al 1994. La Carta di prossima pubblicazione non intende essere esaustiva di tutti i problemi e delle questioni che si impongono nell’ambito della salute e della malattia nell’intero arco della vita, dal suo sorgere fino al suo naturale tramonto, quasi fosse un “prontuario etico”; bensì intende offrire linee-giuda il più possibile chiare per singoli e più evidenti problemi etici, che si devono affrontare nell’esercizio delle diverse figure professionali del mondo della salute in genere, e laddove tali risposte godono di un consenso raggiunto dalla dottrina e dal Magistero della Chiesa.

da | radiovaticana

Giornata Malato. Francesco: vita sempre sacra, anche se fragile

Al termine dell’udienza generale, nell’odierna 23.ma Giornata Mondiale del Malato, Papa Francesco ha rivolto un pensiero ai malati, affidandoli alla Beata Vergine di Lourdes di cui ricorre oggi la memoria. Nel messaggio per la ricorrenza, il Pontefice sottolinea l’importanza della “sapienza del cuore” per servire il fratello che soffre. Il servizio di Alessandro Gisotti:

Accanto a chi soffre, sperando contro ogni speranza. A conclusione dell’udienza generale, Francesco saluta i membri delle Associazioni genitori oncologia pediatrica. Alza lo sguardo il Papa come a cercare, tra i pellegrini in Piazza San Pietro, quelle mamme e quei papà che vivono una prova che toglie il respiro: una figlia, un figlio malati di tumore. A loro, come alle piccole degenti delle suore di San Giuseppe e ai volontari dell’Unitalsi, il Pontefice rivolge parole di incoraggiamento. E invita tutti a crescere “nell’amore per il Signore, nella sapienza del cuore e nel servizio generoso al prossimo sofferente nel corpo e nello spirito”.
Occhi per il cieco e piedi per lo storpio
Le parole assumono un significato particolare perché vengono pronunciate nella 23.ma Giornata Mondiale del Malato, voluta da San Giovanni Paolo II sotto la protezione della Beata Vergine Maria di Lourdes che, proprio oggi, si festeggia con particolare devozione da parte degli ammalati:
“Cari giovani, disponetevi ad essere ‘occhi per il cieco e piedi per lo storpio’; cari ammalati, sentitevi sempre sostenuti dalla preghiera della Chiesa; e voi, cari sposi novelli, amate la vita che è sempre sacra, anche quando è segnata dalla fragilità e dalla malattia”.
Il tempo accanto al malato è santo
L’espressione utilizzata dal Papa “occhi per il cieco e piedi per lo storpio”, tratta dal Libro di Giobbe, è al centro anche del Messaggio per la Giornata che Francesco ha dedicato alla “sapienza del cuore” che ci spinge a servire il fratello, nella consapevolezza che “il tempo passato accanto al malato è un tempo santo”. Nel documento, il Papa ribadisce inoltre che è una “menzogna” indurre a credere che le vite gravemente malate “non sarebbero degne di essere vissute”. Anzi, Francesco evidenzia che “le persone immerse nel mistero della sofferenza e del dolore", "possono diventare testimoni viventi” della fede.

da | radiovaticana

mercoledì 11 febbraio 2015

Papa Francesco: Maria è la madre che ci insegna ad essere liberi e a fare scelte buone e definitive



Essere liberi non vuol dire fare ciò che si vuole, seguire le mode del tempo, passare da un’esperienza ad un’altra, rimanendo adolescenti tutta la vita. Libertà vuol dire fare scelte buone e definitive nella vita, come Maria. Così Papa Francesco, ieri sera, al termine della recita del Rosario nella Basilica Papale di Santa Maria Maggiore nel primo sabato del mese mariano. Prima della celebrazione il Santo Padre con il bacio del Crocifisso ha preso possesso della Basilica Liberiana, salutato dall’arciprete il cardinale Santos Abril y Castelló. Il servizio di Paolo Ondarza:Papa Francesco torna a pregare Maria Salus Populi Romani, l'immagine della Vergine cara alla città di Roma e conservata nel più antico tempio mariano d'occidente, la Basilica di Santa Maria Maggiore e posta per l'occasione sopra l'altare. Era già accaduto lo scorso 14 marzo a poche ore dall’elezione al Soglio Pontificio quando volle porre sotto la benedizione della Madre di Dio il ministero ricevuto. Questa volta nel primo sabato del mese mariano il Santo Padre prende possesso della Basilica Liberiana e, recitando i misteri gaudiosi del Rosario, indica nella Madonna la mamma che dona salute ai propri figli. Come una madre, Maria, – spiega il Pontefice – “ci aiuta a crescere, ad affrontare la vita, ad essere liberi”. Crescere vuol dire

non cedere alla pigrizia derivante dal benessere, dalla vita comoda, significa prendersi responsabilità, tendere a grandi ideali:

"La Madonna fa proprio questo con noi, ci aiuta a crescere umanamente e nella fede, ad essere forti e non cedere alla tentazione

da | t.news.va

GIOVANNI PAOLO II ALLA GROTTA DI MASSABIELLE



PELLEGRINAGGIO
DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II
A LOURDES IN OCCASIONE DEL 150.MO ANNIVERSARIO
DELLA PROMULGAZIONE DEL DOGMA
DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE

RECITA DEL SANTO ROSARIO E PROCESSIONE
DALLA GROTTA DELLE APPARIZIONI DI MASSABIELLE
AL SAGRATO DELLA BASILICA DI LOURDES

PAROLE DI INTRODUZIONE DEL SANTO PADRE
GIOVANNI PAOLO II

Grotta di Massabielle
Sabato 14 agosto 2004



Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. Inginocchiandomi qui, presso la grotta di Massabielle, sento con emozione di aver raggiunto la meta del mio pellegrinaggio. Questa grotta, dove apparve Maria, è il cuore di Lourdes. Fa pensare alla caverna del monte Oreb, dove Elia incontrò il Signore, che gli parlò nel “mormorio di un vento leggero” (1 Re 19,12).

Qui la Vergine invitò Bernadette a recitare il Rosario, sgranando Lei stessa la corona. Questa grotta è diventata così la cattedra di una singolare scuola di preghiera, in cui Maria insegna a tutti a contemplare con ardente amore il volto di Cristo.

Per questo Lourdes è il luogo dove i credenti di Francia, e di tante altre nazioni dell’Europa e del mondo, in ginocchio, pregano.

2. Pellegrini a Lourdes, vogliamo anche noi questa sera ripercorrere pregando, insieme con la Madre, i “misteri” nei quali Gesù si manifesta “come luce del mondo”. Ricordiamo la sua promessa: “Chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).

Vogliamo imparare dall'umile serva del Signore la disponibilità docile all'ascolto e l'impegno generoso nell’accogliere l'insegnamento di Cristo nella nostra vita.

In particolare, meditando sulla partecipazione della Madre del Signore alla missione redentrice del Figlio, vi invito a pregare per le vocazioni al sacerdozio ed alla verginità per il Regno di Dio, affinché quanti sono chiamati sappiano rispondere con disponibilità e perseveranza.

3. Rivolti a Maria Santissima, con Bernadette diciamo: “Ma bonne Mère, ayez pitié de moi; je me donne tout entière à vous afin que vous me donniez à votre cher Fils que je veux aimer de tout mon coeur. Ma bonne Mère, donnez-moi un coeur tout brûlant pour Jésus”.



PREGHIERA A CONCLUSIONE DEL ROSARIO

Sagrato della Basilica del Rosario
Sabato 14 agosto 2004



Ave Maria, Donna povera ed umile,
benedetta dall'Altissimo!
Vergine della speranza, profezia dei tempi nuovi,
noi ci associamo al tuo cantico di lode
per celebrare le misericordie del Signore,
per annunciare la venuta del Regno
e la piena liberazione dell’uomo.

Ave Maria, umile serva del Signore,
gloriosa Madre di Cristo!
Vergine fedele, dimora santa del Verbo,
insegnaci a perseverare nell'ascolto della Parola,
ad essere docili alla voce dello Spirito,
attenti ai suoi appelli nell'intimità della coscienza
e alle sue manifestazioni negli avvenimenti della storia.

Ave Maria, Donna del dolore,
Madre dei viventi!
Vergine sposa presso la Croce, Eva novella,
sii nostra guida sulle strade del mondo,
insegnaci a vivere e a diffondere l'amore di Cristo,
a sostare con Te presso le innumerevoli croci
sulle quali tuo Figlio è ancora crocifisso.

Ave Maria, Donna della fede,
prima dei discepoli!
Vergine Madre della Chiesa, aiutaci a rendere sempre
ragione della speranza che è in noi,
confidando nella bontà dell'uomo e nell'amore del Padre.
Insegnaci a costruire il mondo dal di dentro:
nella profondità del silenzio e dell'orazione,
nella gioia dell'amore fraterno,
nella fecondità insostituibile della Croce.

Santa Maria, Madre dei credenti,
Nostra Signora di Lourdes,
prega per noi.

Amen.


da | w2.vatican.va

Giovanni Paolo II e Maria

Tu sei tutta bella! 
O Maria !  Fin dal primo istante dell'esistenza, Tu sei stata preservata dal peccato originale in forza dei meriti di Gesù, di cui dovevi diventare la Madre.    Su di Te il peccato e la morte non hanno potere. Dal momento stesso in cui fosti concepita, hai goduto del singolare privilegio di essere ricolmata della grazia del Tuo Figlio benedetto, per essere Santa come Egli è Santo. Per questo il Celeste Messaggero, inviato ad annunciarti il Disegno Divino, a Te si rivolse salutandoTi: "Rallegrati, o piena di grazia". Sì, o Maria, Tu sei la piena di grazia, Tu sei l'Immacolata Concezione.   In Te si compie la promessa fatta ai progenitori, primordiale vangelo di speranza, nell'ora tragica della caduta: "Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe". La Tua stirpe, o Maria, è il Figlio benedetto del Tuo seno, Gesù, Agnello immacolato, che ha preso su di sè il peccato del mondo, il nostro peccato. Tuo Figlio, o Madre, ha preservato Te, per offrire a tutti gli uomini il dono della salvezza. Per questo di generazione in generazione, i redenti non cessano di ripeterti le parole dell'Angelo: "Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con Te". Tu sei tutta bella,o Maria. Sii Tu a guidarci verso il futuro, con tutta la speranza, perché Tu, o Maria, sei la Madre   della speranza.
Giovanni Paolo II, 8/12/1998.