giovedì 12 febbraio 2015

Anima affamata



· Ludovica Albertoni raccontata da Franco Scaglia ·
02 febbraio 2015
«Ognuno dovrebbe muoversi nella direzione segnata dai battiti del proprio cuore» diceva Paul Klee e credo che queste dolci, profonde, significative parole siano perfette per definire l’esistenza di Ludovica Albertoni che visse a Roma tra il 1474 e il 1533. Per capire a fondo il tema della sua santità e delle numerose testimonianze che su di lei ci vengono proposte, potremmo dire che la sua vita terrena riflette la verità affermata da san Paolo: «Non sono più io che vivo ma Cristo vive in me».

Ludovica si conquistò la capacità di entrare in contatto diretto con Gesù attraverso un’intensa esperienza religiosa, fino a raggiungere l’estasi: uno stato nel quale, sospesa ogni comunicazione con l’esterno, si viene trasportati in un “territorio” riservato e privilegiato. La vita di Ludovica è piena di coraggio e molti sono i risultati positivi ottenuti attraverso l’opera di assistenza a sostegno dei poveri, dei diseredati, degli ammalati. Soprattutto durante il sacco di Roma, nel 1527 da parte dei lanzichenecchi.

Gian Lorenzo Bernini, «Estasi della beata Ludovica Albertoni» (1671-1674)

Ludovica proveniva da due nobili famiglie. Il padre, Stefano, patrizio romano, morì quando lei era ancora molto giovane. La madre, Lucrezia Tebaldi, prese di nuovo marito e affidò l’educazione di Ludovica dapprima alla nonna e poi a due zie. Ludovica sentiva la necessità di consacrare la sua vita al Signore. Ma la sua esistenza doveva percorrere altre strade, non certo scelte da lei e dal suo cuore.

Infatti la famiglia, obbedendo a regole e tradizioni consolidate, aveva deciso di darla in sposa al nobiluomo Giacomo della Cetara. Non si può dire che Ludovica fosse felice di quella decisione non sua. Le nozze avrebbero rappresentato un ostacolo al proprio intento di consacrare la propria vita a Gesù: tuttavia rispettò la volontà della famiglia.

Il matrimonio si rivelò felice. Giacomo era un’ottima persona, di buon carattere, animato da profondo rispetto nei confronti della moglie. Ebbero tre figlie e Ludovica amò devotamente Giacomo fino alla sua morte prematura avvenuta nel 1506. Ludovica aveva trentadue anni e nessuna intenzione di riprendere marito.

La sua vocazione, negli anni del matrimonio, invece di affievolirsi, si era come rafforzata. Era sempre più convinta della necessità di seguire la legge e la volontà del Signore. Aveva ben capito come lo scopo della vita fosse lo sviluppo di noi stessi. Era stata moglie felice e una buona madre: ora poteva osare. E fare dunque ciò che non le era stato permesso. La sua anima era affamata. Lei sapeva che se una persona, uomo o donna avesse potuto vivere pienamente la propria avventura terrena con abnegazione, fede, spiritualità, ne sarebbe venuto fuori un impulso di gioia tale da sopportare ogni dolore terreno.

Vedova, Ludovica vestì l’abito del terz’ordine francescano e offrì a chi aveva bisogno il suo patrimonio. Rimase solo con la sua tunica e la famiglia dovette provvedere, anche con qualche mugugno, alla sua sopravvivenza. Ludovica si dedicò alla preghiera, alla meditazione, alla penitenza. Accanto a questo lavoro dello spirito ne svolse altri, mostrando grande praticità e intervenendo a sostegno di chi aveva bisogno. Costruì le doti per le ragazze povere che, altrimenti, non si sarebbero potute sposare, e curò gli ammalati di cui nessuno voleva occuparsi. Ebbe il dono dell’estasi e le si attribuirono anche episodi di levitazione e visioni. Si racconta che il solo pensiero della Passione di Gesù le provocasse lunghe crisi di pianto. Quando morì, nel 1533, era già un simbolo di santità ed era circondata da profonda e autentica devozione. Il 28 gennaio 1671 Clemente x rese ufficiale il suo culto.

A Ludovica il Bernini dedicò, tre anni dopo, uno dei suoi lavori più intensi e di totale sua attribuzione. La scolpì immaginando una sua manifestazione d’estasi. Bernini aveva ormai settant’anni e questo particolare non va tralasciato nella lettura dell’opera. Si sente, in ogni tratto scultoreo, l’amore e il rispetto dell’artista per quella donna così dolce e forte dalla vita piena, moglie, madre, terziaria francescana, la quale — dopo aver trascorso parte della sua vita nel lusso e aver ottemperato ai suoi obblighi mondani — con la stessa naturalezza si dedicò a chi aveva bisogno di lei e della sua fede.

La vita, lo sappiamo, è corta. E a volte difficilmente sopportabile. Ludovica ci ha mostrato un modo per allungarla con il suo insegnamento di mirabile equilibrio tra fede e carità. Con la certezza che la verità cammina sempre su piedi delicati e commossi.

Scrittore e giornalista, Franco Scaglia (Camogli, 1944) è autore di numerosi romanzi e saggi tradotti in vari Paesi europei. Tra gli altri ricordiamo, L’erede del tempo (2014), Il giardino di Dio: Mediterraneo, storie di uomini e pesci (2013), Luce degli occhi miei (2010), Il Custode dell’acqua (2002). Dirigente Rai (Radio televisione italiana) per quarant’anni, ha vinto numerosi premi tra cui il Premio Flaiano per la televisione e il Premio Campiello.

Donne Chiesa Mondo

Da | osservatoreromano

Nessun commento:

Posta un commento