mercoledì 27 maggio 2015

Il Carmelo Secolare di Kinshasa lavora per far conoscere il messaggio di santa Teresa.



Nell'occasione del V Centenario della nascita di santa Teresa di Gesù, i membri dell'Ordine Secolare di Kinshasa hanno cominciato ad animare i programmi della radio cattolica Elikia, ed hanno girato alcune parrocchie dell'arcidiocesi della città per far conoscere la santa.
Nella parrocchia di san Luca, la presidente dell'Ordione Secolare, Marguerite Wumba, ha tenuto una conferenza dal titolo "Teresa d'Avila, donna dal volto biblico". Nel suo intervento la signora Wumba ha cominciato chiarendo la confusione frequente tra Teresa di Gesù Bambino, Teresa d'Avila e Teresa di Calcutta.
Poi ha evidenziato come la santa di Avila riunisce nella sua esperienza molte donne elogiate dalla Bibbia.
"Teresa è la Madre degli spirituali perché la Parola di Dio ha trovato in lei un terreno fertile; imitare l'esempio della Madre ci aiuta a far risplendere in noi la luce della Parola di Dio per mettere in pratica le opere buone capaci di trasformare la Chiesa e la nostra società".
Al termine, i cristiani della parrocchia di san Luca hano potuto comprare libri, statuine, immagini con le preghiere di Teresa, magliette ed altri oggetti del Centenario.
Piccole iniziative che avvicinano il messaggio di Santa Teresa di Gesù al popolo africano.

da \ carmelitaniscalzi.com

Commissione per l’Evangelizzazione e la Missione


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Rispondendo al Capitolo Generale 2013 la commissione per l’evangelizzazione e la missione dell’Ordine ha avviato un progetto che potrebbe impegnare tutta la famiglia carmelitana. Il 30 marzo è stata inviata una lettera della commissione con un piccolo fascicolo nelle tre lingue ufficiali dell’Ordine (italiano, spagnolo e inglese) ai provinciali, alle superiore generali e ai gruppi affiliati. La lettera esprime il desiderio della commissione di impegnarsi in un dialogo sull’evangelizzazione e la missione con tutta la famiglia carmelitana. Ci sono sette brevi riflessioni sul tema “Essere carmelitano oggi: una gioia che si rinnova e si comunica”. Ogni sezione contiene citazioni di Evangelii Gaudium di Papa Francesco e del messaggio finale del Capitolo Generale e inoltre un invito a riflettere e pregare. La lettera e il fascicolo possono essere scaricati dal sito web dell’Ordine http://www.ocarm.org/it/content/ocarm/lettera-commissione-levangelizzazione-e-missione
e, dove necessario, tradotto, stampato e distribuito per le comunità, monasteri, gruppi dei terziari e per singoli. Una breve sintesi delle riflessioni delle comunità, delle province o dei singoli può essere comunicata nella sezione del sito web dedicata appositamente. Queste sintesi saranno usate dalla commissione per promuovere la missione dell’Odine riguardo alla sfida dell’evangelizzazione di oggi.

Lectio: Giovedì, 28 Maggio, 2015

1) Preghiera
Concedi, Signore,
che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace,
e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Marco 10,46-52
In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!”
Allora Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!” E chiamarono il cieco dicendogli: “Coraggio! Alzati, ti chiama!” Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: “Che vuoi che io ti faccia?” E il cieco a lui:“Rabbunì, che io riabbia la vista!” E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.

3) Riflessione
• Il vangelo di oggi descrive la guarigione del cieco Bartimeo (Mc 10,46-52) che chiude il lungo insegnamento di Gesù sulla Croce. All’inizio dell’insegnamento, c’era la guarigione di un cieco anonimo (Mc 8,22-26). Le due guarigioni di ciechi sono il simbolo di ciò che avveniva tra Gesù e i discepoli.
• Marco 10,46-47: Il grido del cieco Bartimeo. Finalmente, dopo una lunga traversia, Gesù ed i discepoli giungono a Gerico, ultima fermata prima di salire verso Gerusalemme. Il cieco Bartimeo è seduto lungo la strada. Non può partecipare alla processione che accompagna Gesù. Ma lui grida, invocando l’aiuto di Gesù: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!” Lungo i secoli, mediante la pratica dei monaci del deserto, questa invocazione del povero Bartimeo divenne ciò che si è soliti chiamare “La preghiera di Gesù”. I monaci la ripetono verbalmente, tutto il tempo, e scende dalla bocca al cuore. La persona, dopo un poco di tempo, non prega più, nel senso che lei stessa diventa preghiera.
• Marco 10,48-51: Gesù ascolta il grido del cieco. Il grido del povero disturba. Coloro che vanno in processione cercano di farlo tacere. Ma “egli gridava più forte!” E Gesù, cosa fà? Ascolta il grido del povero, si ferma e lo manda a chiamare! Coloro che volevano far tacere il grido incomodo del povero, ora, a richiesta di Gesù, sono obbligati a portare il povero verso Gesù: “Coraggio, alzati, perché Gesù ti sta chiamando". Bartimeo lascia tutto e si dirige verso Gesù. Non aveva quasi niente. Appena un mantello. Ciò che aveva per coprire il suo corpo (cf. Es 22,25-26). Era la sua sicurezza, l’unica cosa che possedeva. Gesù chiede: “Cosa vuoi che io faccia?” Non basta gridare. Bisogna sapere perché si grida! “Rabbunì, Maestro mio! Che io riabbia la vista!” Bartimeo aveva invocato Gesù con pensieri non del tutto giusti, poiché il titolo di “Figlio di Davide” non era del tutto appropriato. Gesù stesso l’aveva criticato (Mc 12,35-37). Ma Bartimeo aveva più fede in Gesù di quanto esprimessero le sue idee su Gesù. Non esprime esigenze come fece Pietro. Sa dare la sua vita accettando Gesù senza imporre condizioni, ed il miracolo avvenne.
• Marco 10,52: La tua fede ti ha salvato. Gesù gli disse: "Va’, la tua fede ti ha salvato." In quello stesso istante Bartimeo iniziò a vedere di nuovo e seguiva Gesù lungo il cammino. La sua guarigione è frutto della sua fede in Gesù. Guarito, lui lascia tutto, segue Gesù lungo il cammino e sale con lui verso il Calvario a Gerusalemme. Bartimeo diventa discepolo modello per tutti noi che vogliamo “seguire Gesù lungo il cammino” in direzione verso Gerusalemme. In questa decisione di camminare con Gesù si trova la sorgente di coraggio e il seme della vittoria sulla croce. Poiché la croce non è una fatalità, né un’esigenza di Dio. E’ la conseguenza dell’impegno assunto con Dio, di servire i fratelli e di rifiutare il privilegio.
La fede è una forza che trasforma le persone. La guarigione del cieco Bartimeo chiarisce un aspetto molto importante di come deve essere la fede in Gesù. Pietro aveva detto a Gesù: “Tu sei il Cristo!” (Mc 8,29). La sua dottrina era giusta, poiché Gesù è il Cristo, il Messia. Ma quando Gesù disse che il Messia doveva soffrire, Pietro reagì e non accettò. Pietro aveva una giusta dottrina, ma la sua fede in Gesù non era molto giusta. Bartimeo, al contrario, aveva invocato Gesù con il titolo di “Figlio di Davide!” (Mc 10,47). A Gesù non piaceva molto questo titolo (Mc 12,35-37). Per questo, pur invocando Gesù con una dottrina non del tutto corretta, Bartimeo aveva fede e fu guarito! Diversamente da Pietro (Mc 8,32-33), credette più in Gesù che nelle idee che lui aveva su Gesù. Si convertì e seguì Gesù lungo il cammino verso il Calvario! (Mc 10,52). La comprensione totale della sequela di Gesù non si ottiene per mezzo di un insegnamento teorico, ma con l’impegno pratico, camminando con lui lungo il cammino del servizio e della gratuità, dalla Galilea fino a Gerusalemme. Chi insiste nel mantenere l’idea di Pietro, cioè, del Messia glorioso senza la croce, non capirà nulla di Gesù e non giungerà mai ad avere l’atteggiamento del vero discepolo. Chi crede in Gesù e si “dona” (Mc 8,35), accetta di “essere l’ultimo” (Mc 9,35), di “bere il calice e portare la croce” (Mc 10,38). Costui/costei come Bartimeo, pur avendo idee non del tutto corrette, riuscirà a percepire e “seguirà Gesù lungo il cammino” (Mc 10,52). In questa certezza di camminare con Gesù si trova la fonte di coraggio e il seme della vittoria sulla croce.

4) Per un confronto personale
• Una domanda indiscreta: “Nel mio modo di vivere la fede, sono come Pietro o come Bartimeo?
• Oggi, nella chiesa, la maggioranza della gente è come Pietro o come Bartimeo?

5) Preghiera finale
Buono è il Signore,
eterna la sua misericordia,
la sua fedeltà per ogni generazione. (Sal 99)

da \ O. Carm

Beati Voi. Don Fabio Rosini sulle Beatitudini

martedì 26 maggio 2015

Assemblea della Federazione di Santa Maria Maddalena de 'Pazzi


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Sr. M. Anastasia di Gerusalemme, Carmelo di Ravenna
Nei giorni 28-31 marzo 2011 si è svolta presso l’istituto “Il Carmelo” di Sassone la I Assemblea elettiva della Federazione “S. Maria Maddalena de’ Pazzi” dei Monasteri italiani del nostro Ordine, alla quale hanno partecipato le priore e le delegate degli 11 monasteri aderenti.
I lavori si sono svolti in un clima di profonda comunione tra sorelle, di collaborazione e intesa reciproche, di apertura e scambio, sempre sostenuti dalla speranza per questa nuova realtà, nata appena lo scorso anno.
La preghiera ha accompagnato tutti i momenti delle giornate, dalla celebrazione dell’Eucaristia, al canto della Liturgia corale, all’adorazione, anche prolungata, fatta tutte insieme, per chiedere allo Spirito la luce del discernimento nelle scelte da compiere.
Anche la presenza di p. Josef Jančář e p. Christian Körner, come la guida attenta e puntuale di p. Matteo Palumbo, assistente spirituale della Federazione, hanno contribuito a rendere i lavori più fruttuosi, più ricchi e attenti a tutte le situazioni e alle necessità delle diverse realtà che animano i nostri monasteri.
La prima giornata è stata dedicata al discernimento, all’ascolto della voce dello Spirito, come anche a rivivere, in una memoria di fede, il lungo cammino fatto negli anni passati, attraverso gesti e momenti di comunione fra i monasteri.
Insieme abbiamo potuto nuovamente rendere grazie al Signore per averci condotte, di generazione in generazione, fino a questo momento di grazia.
Il giorno 29 marzo, dopo aver vissuto la mattinata dando ampio spazio all’adorazione, nel pomeriggio abbiamo iniziato il momento dell’elezione. Lo Spirito santo ha donato come prima Presidente della Federazione dei nostri monasteri sr. M. Martina del Sacro Cuore, del monastero di Sutri.
L’Eucaristia di ringraziamento e la serata di gioiosa fraternità ci hanno preparate a vivere la giornata del 30 marzo con rinnovata gioia e apertura. La mattinata è stata dedicata all’elezione delle 4 Consigliere, mentre il pomeriggio ai lavori dell’Assemblea su alcuni temi per noi importanti, come i corsi di formazione, i rapporti e la collaborazione dei monasteri con le altre realtà della nostra Famiglia Carmelitana, in particolare con i padri, o anche le difficoltà più forti che alcuni monasteri si trovano ad affrontare per anzianità e scarsità di membri.
Anche la mattinata del 31 marzo è stata dedicata allo scambio fraterno in questo senso, sempre arricchito dalla viva partecipazione di tutte.
L’Eucaristia, ancora una volta, ci ha accompagnate nella chiusura di questo momento così significativo per la storia dei nostri Carmeli e per la crescita dei nostri rapporti di amicizia tra sorelle, chiamate a vivere tutte la stessa meravigliosa vocazione e profezia all’interno dell’Ordine e della Chiesa.

da \ O. Carm

Maria - Madre e Sorella del Carmelo


 Maria - Madre e Sorella del Carmelo

Fin dai primi decenni, due furono, nel Carmelo, le icone della Madonna contemplate come simbolo del dono vocazionale ricevuto da Dio: la Vergine della Annunciazione, e la Vergine Immacolata. 
La Vergine dell’Annunciazione: come evidenza esemplare della creatura totalmente accogliente verso il “Dio che viene” 
L’icona dell’Annunciazione coglie Maria nel momento in cui la Vergine purissima diventa Madre. 
La purità –un termine ricorrente nelle meditazioni mariane degli autori carmelitani– non riguarda tanto la purezza del corpo, nella sua integrità biologica, quanto l’orientamento totale dell’essere che si volge verso il Dio-Trinità senza frapporre nessun ostacolo, nessuna distrazione, nessuna macchia interiore o esteriore. E’ la totale trasparenza che permise a Maria di ascoltare l’annuncio dell’Angelo con tutta se stessa e di credere anche col suo corpo. Ed è ciò che permette ancora alla creatura-carmelitana di «meditare giorno e notte la Parola del Signore» fino a lasciarla inabitare in sé come in un tempio purissimo.
La maternità divina è il dono sublime con cui Dio rispose a tale purezza di Maria, colmata di ogni grazia.
L’icona dell’Annunciazione ci fa contemplare Maria nell’istante, perfettamente compiuto, in cui per la prima volta ella si lascia inabitare dalla Presenza del Figlio di Dio fatto uomo[i].
Come ogni donna incinta, Maria è tempio vivente per il suo Bambino: tutto in lei si piega ad accogliere, ospitare, proteggere il Dono che le viene fatto. 
Per la prima volta nella storia, una creatura può amare Dio con tutto il cuore, tutta l’anima, tutte le forze e il prossimo come se stessa (sono i due grandi comandamenti!) in un unico e indivisibile atto: perché quel Bambino è indivisibilmente il suo Dio e il suo prossimo.
Per la prima volta nella storia, una creatura umana può consegnare a Dio, in un unica offerta di sé, tutta la sua contemplazione e tutta la sua azione. 
In tutta la storia cristiana, mai nessuno potrà sperimentare il Mistero di Dio, in maniera più umana e più piena di quello che accadde durante quei primi nove mesi.
La Vergine Immacolata: come evidenza esemplare della creatura totalmente e anticipatamente accolta nel Mistero che dovrà inabitarla. 
Laltra icona di cui l’Ordine Carmelitano si è sempre mostrato innamorato è quella della Immacolata.
Anzi, si può dire che i carmelitani si impadronirono, per così dire di una tale festa, al punto che la Curia Romana di Avignone prese l’abitudine (che durò un paio di secoli) di solennizzarla nella Chiesa dei Carmelitani[ii], come solennizzava presso la chiesa degli altri ordini religiosi la festa del rispettivo Fondatore.
Ma i carmelitani si distinsero anche nella dottrina, sottolineando soprattutto un argomento teologico di particolare bellezza: Maria doveva essere preservata dal peccato originale, e lo fu, a causa della «identità della carne» che lei avrebbe condiviso con il Figlio di Dio.
La fede nella Immacolata Concezione lì portò a “pensare” la pienezza dell’avvenimento cristiano.
Pensare non solo una creatura che genera Cristo, ma una creatura “fatta per generarlo”.
Pensare non solo una creatura salvata dalla sua passione e morte, ma una creatura già anticipatamente redenta prima ancora di essere fatta!
Ciò voleva dire considerare l’avvenimento cristiano risalendo alla sua sorgente trinitaria, là dove Dio si preparava «una vergine di perfetta bellezza, prescelta da tutta l’eternità come Madre del Signore Gesù» («…Virginem perfecti decoris, ab aeterno Domini Jesu Matrem praelectam»)[iii].
Voleva dire risalire, con la contemplazione, là dove anche ogni altra creatura ­–assieme a Maria– è predestinata a Cristo: già eternamente avvolta dalla Sua misericordia, già eternamente salvata dal Suo sangue.
Ed i Carmelitani erano per così dire storicamente abituati a risalire verso le origini, anche solo pensando al loro Elia al quale il mistero dell’Immacolata era stato rivelato nove secoli prima che accadesse. E di quel mistero i lontanissimi «figli dei profeti» s’erano innamorati, mentre nella Chiesa ancora se ne discuteva…
Anche questo era amore alle origini! 
La Vergine purissima: come sintesi delle due icone precedenti 
Il popolo cristiano ha sempre visto uno stretto legame tra la Verginità di Maria (nel suo concepire Gesù in tutta purità di mente e di corpo) e la sua Immacolata concezione (nell’essere lei concepita senza alcuna macchia di peccato), tanto che spesso ha addirittura confuso le due verità. Gli stessi predicatori e maestri facilmente le sovrappongono.
Questa istintiva tendenza la si trova anche nelle «leggende» e nella «devozione» e nelle «riflessioni» dei carmelitani, ed essa nasconde forse una verità più profonda che oggi ci è dato riscoprire. 
  I due privilegi mariani sono infatti tra loro legati in maniera speculare:
-          la Verginità ci ricorda la maniera «totale» in cui Maria ha ospitato in sé la Presenza del Figlio di Dio incarnato, credendo «anche col suo corpo», ed è il primo privilegio che ci viene rivelato dalla Parola di Dio.
-          L’Immacolata concezione ci rivela che Maria stessa è stata creata per Gesù, concepita per Lui, già prevenuta e redenta dal Suo sangue. E’ il privilegio che la Chiesa ha custodito per secoli e secoli, prima di comprenderlo appieno e di definirlo, ma è anche il privilegio originario, il primo in ordine di tempo. Quello che preannuncia e prepara l’incarnazione stessa. 
Se, come Vergine della Annunciazione, Maria contiene in sé il suo Figlio divino, ed è totalmente curvata su di Lui, per adorarLo e proteggerLo, come Vergine Immacolata, ella è totalmente e anticipatamente contenuta da Lui, plasmata da Lui, (per questo Dante la chiama “Figlia del tuo Figlio”!). 
La Vergine dell’annunciazione e la Vergine Immacolata sono dunque due immagini, due icone, che descrivono come è fatta la creatura che Dio destina a Cristo: è fatta per generare Gesù perché è stata da Lui generata; è fatta per generare il Salvatore perché è stata da Lui anticipatamente salvata.
E’ assieme che le due icone descrivono –in una circolarità virtuosa– il mistero dell’esistenza cristiana.
L’intera storia del Carmelo ruota attorno a queste due immagini esemplari, ed è tutta costruita su di esse. 
Chi, vocazionalmente e carismaticamente, si sente descritto dalla icona dell’Annunciazione è chiamato a riprodurre nella Chiesa il “tipo umano” della creatura che irresistibilmente vuole scendere ­–qualsiasi cosa sia chiamata a fare– nel profondo mistero del suo cuore, là dove già abita il Figlio incarnato di Dio, e l’intera Trinità. Sarà questo il tipo umano che sarà sperimentato e descritto nell’epoca d’oro del Carmelo.  Ne diamo soltanto due esempi.
S. Teresa d’Avila non solo immaginerà l’essere umano come una splendida dimora del Dio Trinità, ma terrà quest’icona mariana come espressiva dello sguardo con cui contemplerà quotidianamente se stessa e le sue monache. Esclamerà allora: «Che spettacolo meraviglioso vedere Colui il quale può riempire mille mondi delle sue grandezze, rinchiudersi in uno spazio così piccolo (cioè: nel cuore credente)! Allo stesso modo ha voluto rannicchiarsi nel grembo della sua Santissima Madre» (Cammino di Perfezione, red. Esc., 48,3). Ed Elisabetta della Trinità commenterà così, con tanta felicità, i suoi pochi Natali trascorsi in monastero: «Il  Natale al Carmelo è una cosa unica! La sera mi sono messa in coro e lì ho trascorso tutta la veglia, come la Vergine Santa, nell’attesa del piccolo Dio che questa volta stava per nascere non più nella mangiatoia, ma nella mia anima, nelle nostre anime, perché Egli è veramente l’Emmanuele, il Dio con noi» (L. 155).
Madre del Verbo, dimmi il tuo mistero
quando Dio si incarnò dentro di te.
Dimmi come vivesti sulla terra
immersa in costante adorazione.
Avvolta in una pace totale, ineffabile.
Con quel tuo silenzio misterioso,
andavi sempre più penetrando
nell’Essere insondabile,
quando portavi in te il Dono di Dio.
O Madre, custodiscimi sempre
nell’abbraccio divino! (P. 87).
Dentro di me, nella mia anima
si compie il sublime mistero,
si rinnova l’Incarnazione.
Io più non vivo, Lui vive in me. (P. 76). 
Chi, invece, vocazionalmente e carismaticamente, si sente più descritto dalla icona dell’Immacolata è chiamato a riprodurre nella Chiesa il  “tipo umano”  della creatura che riconduce il dramma della redenzione alle sue più profonde radici:  non solo là dove la creatura lotta col suo Dio e Salvatore,  ma là dove la creatura riconosce che Dio ha vinto da sempre;  non solo là dove la creatura “cede” a Dio, ma dove si lascia “prevenire” e “generare”.
Sarà questa, in particolare, l’esperienza di S. Teresa di Lisieux: ella rivendicherà in ogni maniera il suo diritto a sentirsi «immersa nella misericordia», «immersa nell’amore e nel perdono» non perché «peccatrice», ma perché «prevenuta anche dal peccare» [iv].
  I vari titoli mariani: 
-          Maria è Madre perché genitrice  del Figlio di Dio, ma genitrice anche dell’Ordine Carmelitano e dei singoli religiosi che sono suoi figli “come una sorta di primizia ecclesiale”; i quali, a loro volta, sono veramente figli solo se restano nel suo grembo e continuavano a lasciarsi da lei plasmare.
-          Maria è Vergine perché tutta disponibile all’amore del Padre e tutta pura nella accoglienza del Verbo; a loro volta i carmelitani sono “vergini” (con una esperienza di secoli e secoli: risalente ad Elia!) perché interamente dediti a quell’orazione che è “virtus castissima”, come diceva Dionigi l’Areopagita.
Maria è Immacolata perché tutta preparata per Cristo e per la sua salvezza, perché già anticipatamente redenta. L’Ordine Carmelitano onora questo mistero e lo sente particolarmente suo perché lo porta in qualche maniera nel suo «codice genetico»: esso sa – in forza delle sue antichissime tradizioni – che cosa vuol dire sentirsi scelti e salvati fin dalla notte dei tempi. 
E’ chiaro che non stiamo qui vantando – una volta ancora! – privilegi scarsamente difendibili sul piano della storia o della stretta teologia.  Stiamo semplicemente elencando le «persuasioni di coscienza» che accompagnarono l’Ordine Carmelitano nella sua secolare evoluzione.
Non temiamo di dire, per altro, che fu quest’alta coscienza di sé che ha permesso all’Ordine –soprattutto alla sua parte più mariana: quella femminile– di produrre «personalità mariane» o «marie-formi» di inarrivabile grandezza anche «magisteriale».
Tali furono, fuor di ogni dubbio Teresa d’Avila, Teresa di Lisieux, Elisabetta della Trinità, Edith Stein, per ricordare solo le più celebri. E, per gli aspetti più profondi, anche S. Giovanni della Croce può essere inserito in questo elenco «sponsale».  
La «Madre di tutti» 
Nel secolo XIV si diffuse il racconto della visione di un monaco cistercense che aveva visto Maria raccogliere sotto il suo manto, come Madre misericordiosa, un numero infinito di figli. Tra i carmelitani subito l’immagine fu ripresa e diffusa – in base a un’altra visione, beninteso – e il titolo che l’icona ebbe fu quello splendido di «Mater omnium: Madre di tutti»: e tutti, sia la vergine che i suoi figli, erano rivestiti di bianco. 
L’episodio, discutibile nella sua genesi, mostra tuttavia che la coscienza dell’Ordine si era da tempo protesa ad universalizzare i suoi doni, mettendoli a disposizione di tutto il popolo cristiano.
A questa profonda necessità si riallaccia la storia dello «Scapolare»[v] e dei suoi «privilegi».
E’ una storia che di fatto si imporrà nella Chiesa, al punto tale che l’icona della «Madonna del Carmine» e quella della «Madonna dello Scapolare» si sovrapporranno l’una all’altra e riempiranno il mondo.
La notizia della visione di S. Simone Stock[vi] risale a un’epoca (il sec. XIV) in cui molti Ordini religiosi ne vantano di simili (e tutte legate alla protezione celeste concessa per mezzo santo abito) e offrono analoghi privilegi (in particolare la certezza dell’eterna salvezza).
A tale visione si sarebbe poi legato un «privilegio» concesso da papa Giovanni XXII –sempre in seguito a una visione avuta dal pontefice–  che garantiva ai «veramente devoti» la salvezza eterna e la liberazione dal Purgatorio il primo sabato dopo la morte. 
Di tutto ciò non ci sono prove storiche certe, ma storico è il fatto che la Chiesa accolse, e in seguito ratificò, la predicazione di questo privilegio e le assicurazioni in esso contenute, chiedendo ai cristiani – come è ovvio – di vivere e morire in grazia di Dio, dopo aver particolarmente onorato la Vergine Santa, soprattutto con una vita casta. 
Ma ciò che importa non è garantire in tutti i dettagli la storicità del miracolo originario, quanto osservare stupefatti la storicità del miracolo che con la predicazione dello Scapolare si originò: la devozione a «Maria Carmelitana».     
Le cronache dei secoli immediatamente successivi parlano «di infiniti confratelli di massima devotione et concorso, specialmente in Sicilia, nel Regno di Napoli e in Lombardia».
Al tempo di S. Teresa d’Avila, pare che – in occasione della visita del Generale dell’Ordine – ricevettero lo scapolare più di duecentomila fedeli.
Della Spagna si diceva, sul finire del secolo XVI: «Non c’è casa dove non portino l’abito del Carmelo… Non sembra forse la Spagna, con la Lusitania, un grande convento di carmelitani?»
La cosa importante fu che le «confraternite dello Scapolare» si estesero anche là dove non c’erano chiese o conventi di carmelitani, col risultato che la «devozione alla Madonna del Carmine» si universalizzò e si radicò in tutto il popolo di Dio.
In tal modo lo Scapolare divenne, assieme al SS. Rosario, la devozione mariana più popolare al mondo.
Lo hanno portato i regnanti di Francia e di Spagna (e, nei primi secoli, anche quelli d’Inghilterra), non meno dei Sommi Pontefici, fino ai nostri giorni. 
Questo ci basta per concludere che «nel codice genetico carmelitano» ci sta anche una naturale propensione, o meglio: «una predestinazione» a coinvolgere nelle sue vicende l’intero popolo di Dio.
Certo: tutti i carismi sono dati per l’edificazione della Chiesa, ma ognuno deve costruire una parte dell’edificio.
«La storia poetica e spirituale dei Carmelitani» dei primi secoli sembra indicare una tendenza a disseminare il carisma dell’Ordine dovunque.[vii]
 Maria, Sorella del Carmelo 
I primi carmelitani, nel loro guardare a Maria, non erano interessati a vedere fenomeni particolari. Chiamare Maria sorella significa sentire Maria accanto a noi, a noi familiare. E Maria, come sorella che ci sta accanto, creatura come noi, ci invita a vivere il mistero che ci costituisce e che sta dentro di noi, quel mistero che noi riusciamo a percepire, per grazia di Dio, attraverso la nostra interiorità. Interiorità continuamente desiderata, scoperta, abbandonata e ritrovata. Occorre, ancora una volta, focalizzare la nostra attenzione per rafforzarci in questa dimensione della nostra interiorità, che ci è propria, ma che anche ha bisogno costantemente di essere rivisitata e ricompresa. Ci muoviamo in tre direzioni.
 La Prima direzione: la dimensione umana
Perché ci sia interiorità bisogna che ci sia una “spina dorsale”, occorre essere uomini e donne nel pieno della maturità;  bisogna che ci sia un “io” vero, una persona che sa pensare, scegliere, decidere, una persona che vive la propria libertà e la propria responsabilità. Nella vita quotidiana occorre dirsi: “Io voglio questo, questo desidero, e allora decido”. Certamente questo implica un vero discernimento, una verità profonda con se stessi, per cui ci si pone la domanda: “Ma sono davvero io a volere questo?”, “Io, cosa voglio davvero, cosa desidero nel più profondo di me?”. Dobbiamo imparare a dare voce ai nostri pensieri, ai nostri sentimenti, ai nostri veri desideri. Maria è la donna libera, vera che ascolta ciò che c’è nel suo cuore, ascolta e ricorda, fa memoria del mistero che l’ha avvolta e allora sceglie, decide. 
La seconda direzione: la non superficialità
Essere uomini e donne di interiorità significa non essere superficiali. Oggi anche la comunicazione sociale non ci aiuta ad andare alla profondità delle cose, anzi, il rischio è di non arrivare a non sentire più stupore e compassione; non essere superficiali significa rimanere ancorati ai nostri veri sentimenti, non lasciarci prendere dall’abitudine, dal “tutto scontato”. Interiorità significa allora filtrare ciò che ascoltiamo e vediamo educandoci ad un vero spirito critico che sa andare al cuore, al centro delle cose. Maria è la donna che approfondisce le cose, che non ha paura di fare anche domande al Signore.
 La terza direzione: abitati da una presenza
E’ centrale nell’esperienza di Maria la consapevolezza di essere abitata da una Presenza  e questo è al centro del cristianesimo: noi siamo “Tempio di Dio”. La nostra interiorità è abitata da Dio, è dimora permanente di questo Dio. Dio è presenza nascosta, non evidente, ma Maria lo sente. Maria ci insegna soprattutto a vivere questa presenza di Dio in noi, ci invita a prendere sempre di più consapevolezza che noi non siamo mai soli, ci insegna ad accorgerci di questa presenza così delicata e così stravolgente.
Sono importanti, allora, anche i segni esterni. Quanto importante che anche l’ambiente in cui viviamo risplenda della bellezza che attinge da questa Presenza che sta nel cuore di ogni luogo e alla radice di ogni cosa. Abbiamo bisogno di segni; abbiamo bisogno di essere segni gli uni per gli altri per richiamarci a vicenda il mistero che ci abita.
Abbiamo bisogno degli occhi, delle mani, dei nostri occhi degli occhi degli altri, delle nostre mani, delle mani degli altri, per compiere quei gesti, fatti talvolta di silenzio, gesti di cura e di vicinanza, di consolazione e di condivisione, che rivelano la presenza di Dio nel mondo, in ciascuno di noi e che ogni giorno, ogni ora, ogni istante risvegliano il mondo, ciascuno di noi, in quel profondo mistero dal quale veniamo e al quale torneremo, Dio nostro Padre.
 PER L’ORAZIONE CARMELITANA

Parola di Dio: Lc 1,34-38 
34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.
Un pensiero di Teresa d’Avila 
«Che spettacolo meraviglioso vedere Colui il quale può riempire mille mondi delle sue grandezze, rinchiudersi in uno spazio così piccolo (cioè: nel cuore credente)! Allo stesso modo ha voluto rannicchiarsi nel grembo della sua Santissima Madre» (Cammino di Perfezione, red. Esc., 48,3).
 Un pensiero di Elisabetta della Trinità 
«Il  Natale al Carmelo è una cosa unica! La sera mi sono messa in coro e lì ho trascorso tutta la veglia, come la Vergine Santa, nell’attesa del piccolo Dio che questa volta stava per nascere non più nella mangiatoia, ma nella mia anima, nelle nostre anime, perché Egli è veramente l’Emmanuele, il Dio con noi» (L. 155).
Madre del Verbo, dimmi il tuo mistero
quando Dio si incarnò dentro di te.
Dimmi come vivesti sulla terra
immersa in costante adorazione.
Avvolta in una pace totale, ineffabile.
Con quel tuo silenzio misterioso,
andavi sempre più penetrando
nell’Essere insondabile,
quando portavi in te il Dono di Dio.
O Madre, custodiscimi sempre
nell’abbraccio divino!» (P. 87).
«Dentro di me, nella mia anima
si compie il sublime mistero,
si rinnova l’Incarnazione.
Io più non vivo, Lui vive in me» (P. 76). 
Un pensiero di Teresa di Lisieux 
Lo so: « colui al quale si rimette  meno, ama meno »; ma so anche che Gesù mi ha rimesso di più che a Santa Maddalena, poiché mi ha rimesso in anticipo, impedendomi di cadere. Ah, come vorrei poter spiegare quello che sento!... Ecco un esempio che esprimerà un poco il mio pensiero. Supponiamo che il figlio di un abile dottore incontri sul suo cammino una pietra che lo faccia cadere e che in questa caduta si rompa un arto. Subito il padre va da lui, lo rialza con amore, cura le sue ferite, impiegando per questo tutte le risorse della sua arte e ben presto il figlio, completamente guarito, gli manifesta la propria ricono- scenza. Certo questo figlio ha perfettamente ragione di amare suo padre! Ma farò anche un'altra supposizione. Il padre, avendo saputo che sulla strada di suo figlio si trovava una pietra, si affretta ad andare davanti a lui e la rimuove (senza essere visto da nessuno). Certamente, questo figlio, oggetto della sua tenerezza previdente, non SAPENDO la sventura da cui è liberato dal padre non gli manifesterà la propria riconoscenza e l'amerà meno che se fosse stato guarito da lui... ma se viene a conoscere il pericolo al quale è sfuggito, non l'amerà forse di più? Ebbene, sono io quella bambina oggetto dell'amore previdente di un Padre il quale non ha mandato il suo Verbo per riscattare i giusti, ma i peccatori. Egli vuole che io l'ami perché mi ha rimesso, non molto, ma tutto. Non ha aspettato che l'ami molto come Santa Maddalena, ma ha voluto che IO SAPPIA di essere stata amata di un amore di ineffabile previdenza, affinché ora io lo ami alla follia! Ho sentito dire che non si era mai incontrata un'anima pura che ami più di un'anima penitente, ah, come vorrei smentire queste parole!... (Manoscritto A 120) 
Sr. Miriam Bo
Carmelitana di S. Teresa di Torino



[i] Il carmelitano Giovanni di Hildesheim, nel 1370 chiama Maria: «Vergine cristifera, Madre cristifera, tempio vivo del Dio vivente, sacrario e santuario dello Spirito Santo» (Defensorium ).
[ii] G. Baconthorpe, che ne dà notizia in un suo trattato, ne approfitta per chiedere al Papa  l’approvazione esplicita della festa e della dottrina, altrimenti si rischia un peccato di «dissimulazione»… Cfr. L’Immacolata Concezione di Maria e i dottori Carmelitani, estratto da Il Monte Carmelo (XV-XVI), p. 21.
[iii] A. Bostio, in Speculum Carmelitanum, Antuerpiae 1680, n. 1699.
[iv] Cfr. Teresa e l’Immacolata, in A.-M. Sicari, La teologia di S. Teresa di Lisieux, Dottore della Chiesa, Milano-Roma 1997, pp. 260-264.
[v] Lo «scapolare» è parte dell’abito carmelitano è segno della protezione che l’abito concede. Una particolare sottolineatura teologica viene data in tutta la vicenda anche al mantello bianco.
[vi] La visione di S. Simone Stock però sarebbe avvenuta verso il 1251, e quella di Giovanni XXII verso il 1322.
[vii] Tutta questa parte è tratta da A. Sicari, La storia poetica e spirituale dei Carmelitani, nei secoli XIII-XV. Parte seconda, Brescia 1999, pro manuscripto.

da \ O. Carm

Lectio: Mercoledì, 27 Maggio, 2015

Tempo ordinario
1) Preghiera
Concedi, Signore,
che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace,
e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo
Dal Vangelo secondo Marco 10,32-45
In quel tempo, Gesù, prendendo in disparte i Dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà”.
E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: “Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo”. Egli disse loro: “Cosa volete che io faccia per voi?” Gli risposero: “Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Gesù disse loro: “Voi non sapete ciò che domandate. Potere bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?” Gli risposero: “Lo possiamo”. E Gesù disse: “Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”.
All’udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”.

3) Riflessione
• Il vangelo di oggi narra il terzo annuncio della passione e, di nuovo, come nelle volte precedenti, ci mostra l’incoerenza dei discepoli (cf. Mc 8,31-33 e Mc 9,30-37). Gesù insiste nel servizio e nel dono della propria vita, e loro continuano a discutere sui primi posti nel Regno, uno a destra e l’altro a sinistra del trono. Tutto indica, quindi, che i discepoli continuano ad essere ciechi. Segno che l’ideologia dominante dell’epoca era penetrata profondamente nella loro mentalità. Malgrado il fatto di aver vissuto diversi anni con Gesù, loro non avevano cambiato il loro modo di vedere le cose. Guardavano Gesù con lo sguardo di prima. Volevano essere retribuiti per il fatto di seguire Gesù.
• Marco 10,32-34: Il terzo annuncio della passione. Erano in cammino verso Gerusalemme. Gesù li precedeva. Aveva fretta. Sapeva che l’avrebbero ucciso. Il profeta Isaia l’aveva annunciato (Is 50,4-6; 53,1-10). La sua morte non era il frutto di un destino cieco o di un piano prestabilito, ma la conseguenza dell’impegno assunto con la missione che ricevette dal Padre insieme agli esclusi del suo tempo. Per questo Gesù avverte i discepoli sulla tortura e la morte che affronterà a Gerusalemme. Il discepolo deve seguire il maestro, anche se se si tratta di soffrire con lui. I discepoli erano spaventati, e coloro che stavano dietro avevano paura. Non capivano cosa stava succedendo. La sofferenza non andava d’accordo con l’idea che avevano del messia.
• Marco 10,35-37: La richiesta del primo posto. I discepoli non solo non capiscono, ma continuano con le loro ambizioni personali. Giacomo e Giovanni chiedono un posto nella gloria del Regno, uno alla destra e l’altro alla sinistra di Gesù. Vogliono passare davanti a Pietro! Non capiscono la proposta di Gesù. Sono preoccupati solo dei propri interessi. Ciò rispecchia le tensioni ed il poco intendimento esistenti nelle comunità, al tempo di Marco, e che esistono fino ad oggi nelle nostre comunità. Nel vangelo di Matteo è la madre di Giacomo e di Giovanni che rivolge questa richiesta per i figli (Mt 20,20). Probabilmente, dinanzi alla situazione difficile di povertà e mancanza di lavoro crescente di quell’epoca, la madre intercede per i figli e cerca di garantire un impiego per loro nella venuta del Regno di cui Gesù parlava tanto.
• Marco 10,38-40: La risposta di Gesù. Gesù reagisce con fermezza: “Voi non sapete ciò che state chiedendo!” E chiede se sono capaci di bere il calice che lui, Gesù, berrà e se sono disposti a ricevere il battesimo che lui riceverà. E’ il calice della sofferenza, il battesimo di sangue! Gesù vuole sapere se loro, invece di un posto d’onore, accettano di dare la vita fino alla morte. I due rispondono: “Lo possiamo!” Sembra una risposta non pensata, perché, pochi giorni dopo, abbandoneranno Gesù e lo lasceranno solo nell’ora della sofferenza (Mc 14,50). Loro non hanno molta coscienza critica, né percepiscono la loro realtà personale. Quanto al posto di onore nel Regno accanto a Gesù, quello lo concede il Padre. Ciò che lui, Gesù, può offrire, è il calice e il battesimo, la sofferenza e la croce.
• Marco 10,41-44: Tra di voi, non sia così. Alla fine della sua istruzione sulla Croce, Gesù parla di nuovo, sull’esercizio del potere (Mc 9,33-35). In quel tempo, coloro che ostentavano il potere nell’Impero Romano non si occupavano della gente. Agivano secondo i propri interessi (Mc 6,17-29). L’Impero Romano controllava il mondo e lo manteneva sottomesso con la forza delle armi e, così, attraverso i tributi, le tasse e le imposte, riusciva a concentrare la ricchezza della gente nelle mani di pochi a Roma. La società era caratterizzata dall’esercizio repressivo ed abusivo del potere. Gesù ha un’altra proposta. Dice: “Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti”. Insegna contro i privilegi e contro la rivalità. Rovescia il sistema ed insiste nel servizio, quale rimedio contro l’ambizione personale. La comunità deve presentare un’alternativa per la convivenza umana.
• Marco 10,45: Il riassunto della vita di Gesù. Gesù definisce la sua missione e la sua vita: “Il Figlio dell’Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la propria vita in riscatto di molti”. Gesù è il Messia Servo, annunciato dal profeta Isaia (cf. Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). Imparò da sua madre che disse all’angelo: “Ecco l’ancella del Signore!” (Lc 1,38). Proposta totalmente nuova per la società di quel tempo. In questa frase in cui lui definisce la sua vita, appaiono i tre titoli più antichi, usati dai primi cristiani per esprimere e comunicare agli altri ciò che significava per loro: Figlio dell’Uomo, Servo di Yavé, colui che riscatta gli esclusi (colui che libera, che salva). Umanizzare la vita, servire i fratelli e le sorelle, accogliere gli esclusi.

4) Per un confronto personale
• Giacomo e Giovanni chiedono il primo posto nel Regno. Oggi molte persone pregano per chiedere denaro, promozioni, guarigioni, successo. Cosa cerco io nella mia relazione con Dio e cosa chiedo a Dio nella preghiera?
• Umanizzare la vita, servire i fratelli e le sorelle. Accogliere gli esclusi. E’ il programma di Gesù, è il nostro programma. Come le metto in pratica?

5) Preghiera finale
Il Signore ha manifestato la sua salvezza,
agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa di Israele. (Sal 97)

da \ O. Carm

Visita dell’Ambasciatore dell’Iran presso la Santa Sede in Casa Generalizia


17//05//2015

P. Oscar I. Aparicio, Archivista Generale OCD
Recentemente hanno visitato la Curia Generale OCD e l'Archivio una piccola delegazione di autorità e personalità iraniane.
La delegazione era presieduta non dall'Ambasciatore dell'Iran, ma, da Hojjat ol Eslam Seyyed Ali Ghazi Asghar, insigne studioso e Rappresentante della Guida Suprema della Repubblica Islamica dell'Iran. Lo acompagnavano l'Ambasciatore dell'Iran presso la Santa Sede, un noto teologo iraniano e due traduttori, per l'italiano e per l'inglese, in veste di giornalisti.
Il motivo della visita era una prima conoscenza della vita degli Scalzi e vedere le lettere e i documenti relativi al passaggio dei carmelitani scalzi in Persia nei secoli XVII e XVIII.
Io e i delegati abbiamo iniziato con una interessante conversazione nel parlatorio della Casa Generalizia OCD sul riconoscere la grande importanza della fede in Dio per ambedue le religioni e sul non permettere che si offendano le religioni con le caricature o altro; in seguito abbiamo parlato delle necessità della lotta contro la povertà del mondo come ci ricorda Papa Francesco.
Dopo ho mostrato loro i luoghi importanti della Casa: la cappella, la sacrestia (mi domandavano l'uso dei paramenti liturgici), il refettorio e il giardino. Sono seguite domande sulla nostra vita quotidiana, sul tempo dedicato alla preghiera, sulle nostre celle, se preghiamo in esse; ne han voluto vedere una.
Poi ho mostrato loro una lettera del grande Abate di Persia custodita nell'Archivio e altri documenti della nostra storia in Persia; hanno ammirato anche una cartina della fine del secolo XVIII. Mi hanno chiesto la digitalizzazione dei documenti persiani per poterli inserire nel loro Archivio di Stato. Ho regalato loro una Guida dell'Archivio Generale OCD.

Con i saluti è terminata la visita della Delegazione dell'Iran nel nostro paese. Speriamo che serva per avvicinare le due religioni, cristiana ed islamica, perché possano vivere nella pace e nel mutuo rispetto.


da \ carmelitaniscalzi.com

Attività Teresiane in Cile



17//05//2015
Attività Teresiane in Cile

Nell'ambito del V centenario della nascita della nostra madre Teresa di Gesù, la famiglia dell'Ordine dei Carmelitani Scalzi, ha programmato una serie di attività artistiche ed accademiche.
Dal 18 aprile al 10 maggio la compagnia teatrale "La Calderona" presenta a Santiago del Cile il testo del premiato drammaturgo spagnolo Juan Mayorga, "La Lengua en pedazos". Un'opera che inscena il dialogo tra Teresa d'Avila e un inquisitore. La base è il Libro della Vita di Teresa, il dialogo si incentra sulla riflessione del potere della parola e della mistica, così determinanti nella grande santa abulense.
È stata così grande l'attesa per l'opera e il successo riscosso, che nelle successive rappresentazioni ha registrato il tutto esaurito. Si prevede un secondo turno di repliche per il prossimo giugno.
Insieme a questo è in programma un Congresso Teresiano per i giorni 20 e 21 di agosto 2015 presso la Pontificia Università Cattolica del Cile: siete tutti invitati.
L'esperienza di Dio condivisa da santa Teresa di Gesù continui ad animarci e ad aiutarci nella nostra amicizia con Dio.

da \ carmelitaniscalzi.com

Lectio: Martedì, 26 Maggio, 2015

Tempo ordinario

1) Preghiera

Concedi, Signore,
che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace,
e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco 10,28-31
In quel tempo, Pietro disse a Gesù: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”.
Gesù gli rispose: “In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna. E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi”.

3) Riflessione

• Nel vangelo di ieri, Gesù parlava della conversazione tra i discepoli sui beni materiali: distanziarsi dalle cose, vendere tutto, dare ai poveri e seguire Gesù. Ossia, come Gesù, devono vivere in totale gratuità, mettendo la propria vita nella mano di Dio, servendo i fratelli e le sorelle (Mc 10,17-27). Nel vangelo di oggi Gesù spiega meglio come deve essere questa vita di gratuità e di servizio di coloro che abbandonano tutto per lui, Gesù, e per il Vangelo (Mc 10,28-31).
• Marco 10,28-31: Cento volte, ma d’ora in poi con persecuzioni. Pietro osserva: "Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito". E’ come se dicesse: “Abbiamo fatto ciò che il Signore chiese al giovane ricco. Lasciammo tutto e ti abbiamo seguito. Spiegaci, come deve essere la nostra vita?” Pietro vuole che Gesù spieghi un poco di più il nuovo modo di vivere nel servizio e nella gratuità. La risposta di Gesù è bella, profonda e simbolica: "In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna. E molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi”. Il tipo di vita che scaturisce dal dono di tutto è l’esempio del Regno che Gesù vuole instaurare: (a) Estende la famiglia e crea comunità, aumenta cento volte il numero di fratelli e sorelle. (b) Produce la condivisione di beni, poiché tutti avranno cento volte di più case e campi. La provvidenza divina si incarna e passa per l’organizzazione fraterna, dove tutto è di tutti e non ci sono più persone nel bisogno. Loro mettono in pratica la legge di Dio che chiede “tra di voi non ci siano poveri” (Dt 15,4-11). Fu ciò che fecero i primi cristiani (At 2,42-45). E’ il vissuto perfetto del servizio e della gratuità. (c) Non devono aspettare in cambio nessun vantaggio, nessuna sicurezza, nessun tipo di promozione. Anzi in questa vita avranno tutto questo, ma con persecuzioni. Poiché, coloro che in questo mondo organizzato, a partire dall’egoismo e dagli interessi di gruppi e persone, vivono l’amore gratuito ed il dono di sé, saranno crocifissi come lo fu Gesù. (d) Saranno perseguitati in questo mondo, ma nel mondo futuro avranno la vita eterna di cui parlava il giovane ricco.
• Gesù è la scelta dei poveri. Una duplice schiavitù marcava la situazione della gente all’epoca di Gesù: la schiavitù della politica di Erode, appoggiata dall’impero romano e mantenuta da tutto un sistema ben organizzato di sfruttamento e di repressione, e la schiavitù della religione ufficiale, mantenuta dalle autorità religiose dell’epoca. Per questo, il clan, la famiglia, la comunità, si stava disintegrando e una gran parte della gente viveva esclusa, emarginata, senza dimora, nella religione, nella società. Per questo c’erano diversi movimenti che cercavano un nuovo modo di vivere in comunità: esseni, farisei e, più tardi, gli zeloti. Nella comunità di Gesù c’era qualcosa di nuovo che la rendeva diversa dagli altri gruppi. Era l’atteggiamento verso i poveri e gli esclusi. Le comunità dei farisei vivevano separate. La parola “fariseo” vuol dire “separato”. Vivevano separati dalla gente impura. Molti farisei consideravano la gente ignorante e maledetta (Gv 7,49), in peccato (Gv 9,34). Gesù e la sua comunità, al contrario, vivevano insieme alle persone escluse, considerate impure: pubblicani, peccatori, prostitute, lebbrosi (Mc 2,16; 1,41; Lc 7,37). Gesù riconosce la ricchezza e il valore che i poveri posseggono (Mt 11,25-26; Lc 21,1-4). Li proclama felici, perché il Regno è loro, è dei poveri (Lc 6,20; Mt 5,3). Definisce la sua missione: “annunciare la Buona Novella ai poveri” (Lc 4, 18). Lui stesso vive da povero. Non possiede nulla per sé, nemmeno una pietra dove reclinare il capo (Lc 9,58). E a chi vuole seguirlo per condividere la stessa sorte, ordina di scegliere: o Dio o il denaro! (Mt 6,24). Ordina di scegliere a favore dei poveri! (Mc 10,21) La povertà che caratterizzava la vita di Gesù e dei discepoli, caratterizzava anche la missione. Al contrario di altri missionari (Mt 23,15), i discepoli e le discepole di Gesù non potevano portare nulla, né oro, né denaro, né due tuniche, né borsa, né sandali (Mt 10,9-10). Dovevano avere fiducia nell’ospitalità (Lc 9,4; 10,5-6). E se fossero stati accolti dalla gente, dovevano lavorare come tutti gli altri e vivere di ciò che ricevevano in cambio (Lc 10,7-8). Inoltre, dovevano occuparsi dei malati e dei bisognosi (Lc 10,9; Mt 10,8). Allora potevano dire alla gente: “Il Regno di Dio è in mezzo a voi!” (Lc 10,9).

4) Per un confronto personale

• Tu, nella tua vita, come metti in pratica la proposta di Pietro: “Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”?
• Condivisione, gratuità, servizio, accoglienza agli esclusi sono i segni del Regno. Come le vivo oggi?

5) Preghiera finale

Tutti i confini della terra hanno veduto
la salvezza del nostro Dio.
Acclami al Signore tutta la terra,
gridate, esultate con canti di gioia. (Sal 97)

da \ O.Carm

domenica 24 maggio 2015

Santa Maria Maddalena de' Pazzi, Vergine (festa)


St.Mary Magdalen de Pazzi.jpg
Liturgico: 
Lunedì, 25 Maggio, 2015
Maria Maddalena porta il nome della nobile famiglia de' Pazzi di Firenze, che già nel secolo XV aveva un grande influsso politico. Nata il 2 aprile 1566, fu educata piamente, e fin dalla fanciullezza dimostrò senso profondo della presenza di Dio, amore ardente all'Eucarestia e forte inclinazione per lo spirito della penitenza.
Su consiglio del suo confessore, fu ammessa alla prima comunione all'età di 10 anni, contrariamente ai costumi dell'epoca. A diciassette anni venne accettata dalle monache carmelitane di Santa Maria degli Angeli di Firenze, sua città natale. Durante il noviziato una violenta malattia durata due mesi la ridusse in fin di vita, tanto che le fu concesso di anticipare la professione. Ma si riprese. Fu per tre anni sottomaestra, sagrestana e per sei anni maestra delle novizie; ebbe anche la cura delle giovani professe e nel 1604 fu eletta sottopriora. Indicibili sofferenze fisiche e una dura prova spirituale misero alla prova la sua pazienza e fu arricchita da Dio di grazie straordinarie. Morì il 25 maggio del 1607. Beatificata nel 1626, venne canonizzata il 22 aprile 1669.
Ad un'intensa vita spirituale unì la coscienziosa osservanza dei voti religiosi, e condusse una vita nascosta di preghiera ed abnegazione. Fu presa dall' "ansiato desiderio" del rinnovamento della Chiesa: urgenza della riforma ed anelito dell'espansione, offrendosi perchè i "cristi" (i sacerdoti) fossero di nuovo luce del mondo e gli infedeli ritornassero nel grembo della Chiesa. "Chiave di volta del suo edificio spirituale (sviluppato però in modo non propriamente organico) è l'amore: creati da Dio con amore e per amore, è per tale via che dobbiamo tornare a Lui; l'amore è la misura del progresso nel ritorno dell'anima a Dio. La principale funzione dell'amore è di unire l'anima a Dio. La vita spirituale come un circolo, animato dall'amore, che in Dio ha il punto di partenza e di arrivo". Santa Maria Maddalena de' Pazzi fu anche teneramente devota della Madonna e contribuì notevolmente ad approfondire la devozione mariana carmelitana alla "Vergine Purissima", affermando che la bellezza di Maria fu la sua purezza, che la unì al Verbo nella divina maternità.

Le sue esperienze mistiche sono raccolte nei "manoscritti originali", come sono chiamati gli appunti che le consorelle stendevano su quello che lei faceva o diceva nelle sue estasi ed "eccessi di amore divino" e dei quali ne facevano una certa "verifica" con la santa stessa. Cioè: i Quaranta Giorni, i Colloqui, le Revelatione e intelligentie, la Probatione e la Rinnovatione della Chiesa, insieme gli Avvisi e le Lettere.

da \ O. Carm

Bollettino Elettronico per i Laici Carmelitani II-No2-MMXV



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Con grande gioia vi presentiamo la nuova edizione del bollettino elettronico per il Laicato Carmelitano. In questa terzo numero vogliamo condividere due importanti eventi che hanno visto riunirsi un grande numero di persone: il Congresso del Terz’Ordine dei Carmelitani di Asia, Australia e Oceania che si è svolto nelle Filippine, e il raduno dei Laici Carmelitani delle tre Province italiane che si è svolto a Sassone (Roma). Questo numero del bollettino mette in luce anche la figura della nostra sorella Santa Teresa di Gesù, Dottore della Chiesa, mentre la Famiglia Carmelitana in tutto il mondo sta celebrando il V Centenario della sua nascita. Vi ringraziamo per la lettura di questo bollettino elettronico e per i suggerimenti che costantemente ci inviate per i prossimi numeri. Dio vi benedica!
Tutte le notizie sul Laicato e la Gioventù Carmelitana, si prega di inviare a: lay@ocarm.org
Per favore clicca qui per scaricare il bollettino elettronico
http://ocarm.org/ebook/laybulletin/no3/No2-15IT.pdf

da \ O. Carm

Lectio: Lunedì, 25 Maggio, 2015

Tempo ordinario

1) Preghiera

Concedi, Signore,
che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace,
e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco 10,17-27
In quel tempo, mentre Gesù usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?” Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre”.
Egli allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: “Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: “Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!” I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: “Figlioli, com’è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”.
Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: “E chi mai si può salvare?” Ma Gesù, guardandoli, disse: “Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio”.

3) Riflessione

• Il vangelo di oggi narra due fatti: (a) racconta la storia dell’uomo ricco che chiede come raggiungere la vita eterna (Mc 10,17-22), e (b) Gesù avverte sul pericolo delle ricchezze (Mc 10,23-27). L’uomo ricco non accetta la proposta di Gesù, poiché era molto ricco. Una persona ricca è protetta dalla sicurezza che le viene data dalla ricchezza. Ha difficoltà ad aprire la mano e a lasciar andare questa sicurezza. Afferrata ai vantaggi dei suoi beni, vive preoccupata per difendere i suoi propri interessi. Una persona povera non è abituata ad avere questa preoccupazione. Ma ci possono essere poveri con la mentalità di ricchi. E allora il desiderio delle ricchezze crea in loro dipendenza e fa sì che anche loro diventino schiavi del consumismo. Non hanno tempo per dedicarsi al servizio del prossimo. Con questi problemi nella mente, problemi di persone e di paesi, leggiamo e meditiamo il testo dell’uomo ricco.
• Marco 10,17-19: L’osservanza dei comandamenti e la vita eterna. Una persona arriva vicino a Gesù e chiede: “Maestro buono, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” Il vangelo di Matteo informa che si trattava di un giovane (Mt 19,20.22). Gesù risponde bruscamente: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo!” Gesù distoglie l’attenzione da sé per portarla verso Dio, poiché ciò che importa è fare la volontà di Dio, rivelare il progetto del Padre. Poi Gesù afferma: “Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre”. É importante osservare sempre la risposta di Gesù. Il giovane aveva chiesto qualcosa sulla vita eterna. Voleva vivere insieme a Dio! Ma Gesù non menziona i tre primi comandamenti che definiscono la nostra relazione con Dio! Lui ricordò solo quelli che indicano un rispetto per la vita insieme agli altri! Per Gesù, riusciamo a stare bene con Dio solo se sappiamo stare bene con il prossimo. Non serve a nulla ingannarsi. La porta per giungere a Dio è il prossimo.
• Marco 10,20: Osservare i comandamenti, a cosa serve? L’uomo risponde dicendo che osservava i comandamenti fin dalla sua gioventù. Ciò che è strano è quanto segue. Lui voleva sapere qual era il cammino della vita. Ora, il cammino della vita era e continua ad essere: fare la volontà di Dio espressa nei comandamenti. Vuol dire che lui osservava i comandamenti senza sapere a cosa servissero. Altrimenti, non avrebbe posto nessuna domanda. E’ quanto succede oggi a molti cattolici: non sanno dire a cosa serve essere cattolici. ”Sono nato in un paese cattolico, per questo sono cattolico!” E’ un’abitudine!
• Marco 10,21-22: Condividere i beni con i poveri e seguire Gesù. Udendo la risposta del giovane “Gesù lo guardò e lo amò e gli disse: Una cosa ti manca: va’, vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri ed avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi!” L’osservanza dei comandamenti non è che il primo gradino di una scala che va più in alto. Gesù chiede di più! L’osservanza dei comandamenti prepara la persona a poter giungere al dono totale di sé a favore del prossimo. Gesù chiede molto, ma lo chiede con molto amore. Il giovane non accetta la proposta di Gesù e se ne va, “perché era molto ricco”.
• Marco 10,23-27: Il cammello e la cruna dell’ago. Dopo che il giovane se ne andò, Gesù commentò la sua decisione: Quanto difficilmente coloro che hanno le ricchezze entreranno nel Regno di Dio! I discepoli rimasero ammirati. Gesù ripete la stessa frase ed aggiunge: È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”! L’espressione “entrare nel Regno” indica non solo ed in primo luogo l’entrata in cielo dopo la morte, ma anche e soprattutto l’entrata nella comunità attorno a Gesù. La comunità è e deve essere un modello del regno. L’allusione all’impossibilità da parte di un cammello di entrare per la cruna di un ago viene da un proverbio popolare del tempo usato dalla gente per dire che una cosa era umanamente impossibile. I discepoli si stupiscono dinanzi all’affermazione di Gesù e si chiedono tra di loro: "Allora, chi può salvarsi?" Segno, questo, che non avevano capito la risposta di Gesù all’uomo ricco: “Va’, vendi tutto, dallo ai poveri e seguimi” Il giovane aveva osservato i comandamenti fin dalla sua gioventù, ma senza capire il perché dell’osservanza. Qualcosa di simile stava avvenendo con i discepoli. Loro avevano già abbandonato tutti i beni come richiesto da Gesù al giovane ricco, ma senza capire il perché dell’abbandono! Se avessero capito, non si sarebbero stupiti dinanzi all’esigenza di Gesù. Quando la ricchezza o il desiderio di ricchezza occupa il cuore e lo sguardo, la persona non riesce a percepire il senso del vangelo. Solo Dio può aiutare! Gesù guarda i discepoli e dice: "Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio. Presso Dio tutto è possibile."

4) Per un confronto personale

• Una persona che vive preoccupata per la sua ricchezza o che vive volendo comprare le cose di cui la televisione fa propaganda, può liberarsi di tutto per seguire Gesù e vivere in pace in una comunità cristiana? E’ possibile? Cosa pensi tu? Come fai e cosa fai tu?
• Conosci qualcuno che è riuscito ad abbandonare tutto per il Regno? Cosa significa per noi oggi: “Va’, vendi tutto, dallo ai poveri”? Come capire e praticare oggi i consigli che Gesù dà al giovane ricco?

5) Preghiera finale

Renderò grazie al Signore con tutto il cuore,
nel consesso dei giusti e nell’assemblea.
Grandi sono le opere del Signore:
le contemplino coloro che le amano. (Sal 110)

da \ O. Carm

sabato 23 maggio 2015

Don Paolo Zamengo SDB - Atterra lo Spirito

Atterra lo Spirito Gv 15, 26-27.16, 12-15



A Gerusalemme atterra lo Spirito della Pentecoste e la natura ha un fremito. Due immagini mi catturano: il vento e il fuoco. Lo Spirito è libero come il vento e avvolgente come il fuoco.

“Come il vento che soffia e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va, così lo Spirito Santo agisce con novità sorprendente in tutto il mondo. È potenza di Dio che sa trarre il bene anche dal male”. Questo è il cuore della Pentecoste. Lo Spirito è libero, incontenibile. Non rispetta confini, steccati, regole e calcoli. Agisce ovunque, a modo suo, e, spesso, crea sorprese. Perché fa cose nuove, suscita atteggiamenti insospettati e risveglia impensate energie.



I primi cristiani si trovarono di fronte ad una sorpresa mai prima immaginata: i pagani che non appartenevano al popolo di Israele, si convertivano al Vangelo. Una gioia ma anche una spina. Perché la presenza dei convertiti li obbligava a rivedere il modo di pensare.

“Come il fuoco illumina e riscalda così lo Spirito conduce sulla via della fede e della carità coloro che non conoscono Dio, ma lo cercano con cuore sincero”. I pompieri di turno, fortunatamente, non riescono a spegnere questo fuoco. Perché rende i cuori ardenti, li getta in imprese che sembrano impossibili, li guida per sentietri impervi e inusitati. Da sempre i passi della fede e della carità non sono facili. Eppure lo Spirito non disarma di fronte agli ostacoli e sostiene coloro che ascoltano la sua voce, che è la voce stessa di Gesù.

Il bello è che tutto accade in modo estremamente semplice e, all’apparenza, incerto e dimesso. Lo Spirito opera servendosi di uomini e donne che non sono perfetti o santi, ma che gli offrono spazio nella loro esistenza.

Il compito che attendeva gli apostoli era immenso ed enorme il carico che Gesù metteva sulle loro spalle. Spropositato per le loro capacità. A guardarli bene e da vicino, si poteva essere certi di un fallimento.

Nessuno di loro aveva una competenza biblica. Erano del tutto sforniti di capacità gestionali. Ignoravano i trucchi del moderno marketing per piazzare il loro messaggio. Quanto a coraggio non sembravano cambiati da quel giorno in cui avevano abbandonato Gesù, fuggendo in modo vigliacco. Il Cenacolo era sempre stato il loro rifugio perché avevano ancora paura. Paura di un giudizio e paura di fare la fine tragica di Gesù.

Ma perché Gesù si affidava proprio a questa incerta e mal assortita compagnia? C’erano dei pescatori, c’era un esattore delle imposte, c’era uno tirato fuori all’ultimo momento per far quadrare il numero dodici, dopo la morte di Giuda. Perché mettere nelle loro mani il futuro di una missione che gli era costata fatiche e sudore, lacrime e sangue, la sua stessa vita?

Gesù li conosce bene, nel profondo. Sa dei loro entusiasmi e delle loro fragilità, della loro grettezza e della loro fede. Gesù però non si limita ad affidare loro un compito sovrumano, ma li mette anche nelle mani sicure dello Spirito. Sarà lui a “guidare a tutta la verità”. Sarà lui a sostenerli.

Toccheranno con mano la sua azione e riconosceranno la sua opera. Rimarranno sorpresi di fronte alle novità che egli prepara. E, vaccinati dal peccato più grande, quello dell’orgoglio e della presunzione, non potranno mai dire che è tutto merito loro. Si conoscono bene e sanno che c’è un Altro che opera attraverso loro e nonostante i loro limiti.

Ma allora se è lo Spirito il grande protagonista, Gesù non chiede nulla ai suoi? Gesù chiede il cuore. Chiede di essere amato veramente. Non un amore fatto di parole, di vaghe promesse, ma un amore concreto, un amore ben riconoscibile dai frutti che produce.

Con presenza discreta ma sicura, lo Spirito produrrà cambiamenti inspiegabili. A partire da loro stessi che affrontano il mare aperto della storia e andranno incontro ad ostilità e rifiuti, senza paura. Sono proprio loro la prova, con il loro coraggio e la loro fiducia.

Oggi come allora, Gesù fa a noi che vogliamo essere suoi discepoli, e a tutti quelli che vogliono imbarcarsi nell’avventura del Regno, la stessa proposta e la stessa offerta. Ci manda al largo, nel mare aperto della storia, su piccole imbarcazioni che sembrano fatte apposta per essere travolte e naufragare. Ma ci chiede di amarlo, con tutto il cuore.

In cambio ci dona il suo Spirito.

E stranamente, miracolosamente, quelle piccole fragili barche portano dovunque il seme buono del Vangelo.

Bozza del Documento Conclusivo del Capitolo


22//05//2015

Questa giornata del Capitolo Generale è iniziata con la preghiera delle Lodi e la celebrazione dell'Eucarestia, animata dal gruppo dell'Asia Orientale-Oceania.
Più tardi, in aula capitolare P. Daniel Chowning, Definitore Generale, ha riassunto le proposte dei gruppi geografico-linguistici sul tema del "Governo dell'Ordine". P. Daniel ha assicurato anche la moderazione del dibattito seguito alla sua esposizione.

Dopo la pausa, P. Javier Mena, Definitore Generale e membro della commissione incaricata della redazione del Documento Conclusivo del Capitolo, ha presentato ai Capitolari la prima versione del testo.
Dopo la lettura della bozza del Documento, il P. Generale ha chiesto ai Capitolari di riflettere su di esso sia personalmente che in gruppo, per suggerire alla commissione possibili modifiche. Una volta raccolte tutte le proposte, la commissione presenterà domani mattina ai Capitolari il testo definitivo per la sua approvazione.

Chiuso il processo diocesano per la beatificazione di Madre Mary Ellerker of the Blessed Sacrament

Mother-Mary-Ellerker.jpg
Il 16 maggio 2015, nella chiesa Holy Rosary Church di Port of Spain a Trinidad e Tobago, l’arcivescovo Mons. Joseph Harris, CSSp, ha concluso la fase diocesana del processo di beatificazione della serva di Dio Madre Mary Ellerker of the Blessed Sacrament (1875-1949), fondatrice delle Suore “Corpus Christi Carmelites”. Ora il processo verrà consegnato alla Congregazione per le Cause dei Santi per la fase romana.

Lectio: Domenica, 24 Maggio, 2015 La testimonianza dello Spirito santo e la testimonianza dei discepoli

Giovanni 15, 26-27. 16, 12-15
1. Orazione iniziale

Quando verrà il Consolatore, o Padre mio? Quando mi raggiungerà il tuo Spirito di verità? Il Signore Gesù ce lo ha promesso, ha detto che lo avrebbe mandato dal tuo grembo fino a noi. Padre, spalanca allora il tuo cuore e invialo dai cieli santi, dalle tue alte dimore! Non tardare più, ma adempi la promessa antica; salvaci oggi, per sempre! Apri e libera il tuo Amore per noi, perché anch’io sia aperto e liberato da te, in te. Questa tua Parola di oggi sia il luogo santo del nostro incontro, sia la stanza nuziale per l’immersione in te, o Trinità Amore! Vieni in me e io in te; abita in me e io in te. Rimani, Padre! Rimani o Figlio Gesù Cristo! Rimani per sempre, Spirito Consolatore, non lasciarmi più! Amen.
2. Lettura
a) Per inserire il brano nel suo contesto:
I pochi versetti che la liturgia ci offre oggi per la meditazione appartengono al grande discorso di addio rivolto da Gesù ai suoi discepoli prima della Passione, che Giovanni estende da 13, 31 fino alla fine del cap. 17. Qui Gesù comincia a parlare delle conseguenze inevitabili della sequela e della scelta di fede e amore per Lui; il discepolo deve essere pronto a soffrire persecuzione da parte del mondo. Ma in questa lotta, in questo dolore, c’è una Consolazione, c’è un Difensore, un Avvocato che testimonia per noi e ci salva: il dono dello Spirito illumina la vicenda umana del discepolo e la ricolma di speranza viva. Egli è inviato per farci comprendere il mistero di Cristo e per renderci partecipi di esso.
b) Per aiutare nella lettura del brano:
15, 26-27: Gesù annuncia l’invio dello Spirito santo, quale Consolatore, quale Avvocato difensore; sarà Lui ad agire nel processo accusatorio che il mondo intenta contro i discepoli di Cristo. Sarà Lui a renderli forti nella persecuzione. Lo Spirito rende testimonianza al mondo riguardo al Signore Gesù; egli difende il Cristo, contestato, accusato, rifiutato. Ma è necessaria anche la testimonianza dei discepoli; lo Spirito deve servirsi di loro per proclamare con potenza il Signore Gesù in questo mondo. E’ la bellezza della nostra vita trasformata in testimonianza d’amore e fedeltà a Cristo.
16, 12: Gesù pone i suoi discepoli – e quindi anche noi – di fronte alla loro condizione di povertà, di incapacità, per la quale non è loro dato di comprendere molto né delle parole di Gesù, né delle parole della Scrittura. La sua verità è ancora un peso, che non possono ricevere, sollevare e portare.
16, 13-15: In questi ultimi versetti, la Parola di Gesù rivela ai discepoli quale sarà l’azione del suo Spirito nei loro confronti. Sarà Lui a guidarli in tutta la verità, cioè farà loro comprendere il mistero di Gesù in tutta la sua portata, nella totalità della sua verità. Egli guiderà, rivelerà, annuncerà, illuminerà, portando a noi discepoli le parole stesse del Padre. E così saremo condotti nell’incontro con Dio; per grazia saremo resi capaci di comprendere le profondità del Padre e del Figlio.
c) Il testo:
Giovanni 15, 26-27. 16, 12-1515, 26 Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; 27e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio.
16, 12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà.
3. Un momento di silenzio orante
Ho letto il brano, ho cercato di comprendere la sua struttura, di afferrare le parole di Gesù, di entrare in contatto con le presenze che qui mi vengono offerte. Ora mi fermo, mi soffermo. Cerco di aprire ancora di più il mio cuore, la mia mente, tutto il mio essere, perché questo incontro con il santo evangelo di Gesù sia incontro d’amore, d’amicizia vera, di trasformazione. Faccio silenzio. Ripeto solo: “Vieni Spirito santo”. Di tanto in tanto, posso intervallare questo spazio di silenzio e ascolto, cantando sottovoce queste parole: “Manda il tuo Spirito e rinnova la terra”. Mi faccio terra silenziosa, terra in attesa…
4. Alcune domande
Adesso mi lascio scrutare dallo sguardo del Padre, mi lascio raggiungere dalla Presenza viva del Figlio, mi lascio avvolgere dal fuoco purificatore dello Spirito santo. Davanti alla Parola del Signore non voglio fuggire, né nascondermi; anzi, desidero mostrarmi a Lui in tutta verità, così come sono, povero, malato, bisognoso del suo aiuto, della guarigione che può venire solo da Lui. Lascio che la sua voce mi raggiunga; lascio che Lui mi interroghi.
a) “Quando verrà il Paraclito”. Gesù mi pone subito di fronte a una realtà ben precisa; Lui apre davanti a me un tempo nuovo, un tempo diverso e mi dice che c’è un’attesa nella mia vita. Sta per arrivare il Paraclito, lo Spirito santo. Non so se ci sia mai stato veramente spazio, in me, per questa attesa santa, amorosa. Mi chiedo, davanti a questo vangelo, se io abbia mai pensato a questo dono preparato per me; se mi sia mai reso conto che il Signore si prende cura di me, tanto da volermi mandare il suo Spirito, che è consolazione. Mi pesa, in questo momento di grazia, la mia distrazione, la mia leggerezza, la mia chiusura. Perché, Signore, io ti ho sempre atteso così poco, perché così fragile, così ipocrita è stata la mia attenzione per te? Tu mandi Qualcuno a cercarmi e io nemmeno me ne accorgo, nemmeno mostro di interessarmi. Perdonami, Signore, Amico fedele, Amico vero!
b) “Anche voi mi renderete testimonianza”. Afferma questo, Gesù, rivolgendosi ai suoi discepoli di allora e di oggi; parla con Pietro, Giacomo, Giovanni, con Nicodemo, Giuseppe di Arimatea, con Maddalena, Marta, Lazzaro; parla con Stefano, Paolo, Lorenzo… parla ancora oggi, qui, a casa mia. Parla proprio a me e mi dice: “Anche tu mi renderai testimonianza”. Signore, mi spavento e tremo! So che la testimonianza è sofferenza, è martirio… Preferisco restare chiuso in camera, correre via sullo scooter, fare viaggi lontani, andare a Messa, magari cantare nel coro, frequentare il gruppo lectio, ma poi scappo via. Ho paura, tu lo sai. Perché perdere la faccia davanti a tutti: ai miei compagni di scuola, di università, di squadra, ai miei amici, che mi invitano ad uscire con loro? Perché questa grande fatica? Non posso essere cristiano lo stesso? Mi sento messo in crisi da questa tua Parola così semplice, eppure così sconvolgente; vorrei quasi chiudere la Bibbia e andarmene via. Cerco di resistere, Signore; aiutami tu! Torno a leggere, ripetendo le tue parole. Vado fino in fondo e trovo: “perché siete stati con me fin dal principio”. Signore, tu mi ferisci il cuore, tu strappi il velo della mia cecità e menzogna! Davvero, anch’io ti ho conosciuto fin da principio, come dice san Giovanni (1 Gv 2, 13); da sempre tu mi conosci e mi ami. Mi tornano in mente quelle volte che a Messa io ti ho ascoltato, ti ho accolto, ho amato e gioito della tua Parola, che era fin dal principio. Sì, è vero: anch’io sono con te fin dal principio, come i tuoi discepoli. Tu sei il mio principio e la mia fine; tu sei l’intera mia esistenza! Come faccio, Signore, a non testimoniare? Come posso continuare a tacere così? No, io parlerò di te, Amico e racconterò che tu sei l’Amore vero, che sei la felicità! Vieni con me, o Gesù, non lasciarmi solo e sarò tuo testimone in questo mondo.
c) “Vi guiderà alla verità tutta intera”. Un’altra parola impegnativa. Lo Spirito è inviato per guidarmi. Non so se mi sento abbastanza docile, pronto, disponibile, aperto. Devo lasciarmi prendere per mano, condurre dove non so, dove non vorrei, dove non mi sarei mai immaginato di dover andare. Ho sempre programmato a puntino i miei spostamenti, le mie decisioni di cambiare; me la sono sempre cavata bene da solo. E adesso, Signore, tu mi dici che un Altro mi guiderà. Non è una scelta facile, te lo confesso. Però voglio provare, voglio accoglierti, o Tu, che sei l’Amore. Depongo davanti a te la mia autosufficienza, la mia convinzione testarda di bastare a me stesso, di far bene da solo, di capire dove devo andare. Mi spoglio, o Gesù, della mia veste di gloria, getto via il mio mantello e ti seguo. Mi lascio afferrare dal tuo Spirito. Mi condurrà nel deserto, come ha fatto con te (cf. Lc 4, 1)? Aprirà la mia vita, come ha aperto il grembo della vergine Maria (Lc 1, 35)? Mi investirà, come già ha fatto con Pietro, con gli altri, con quanti credevano alla predicazione, come ci è narrato negli Atti degli apostoli? Non so cosa mi accadrà, ma voglio dirti di sì. Mi impegno, oggi, qui, a lasciarmi condurre, accompagnare, guidare dal tuo Spirito. Faccio alleanza con lo Spirito santo, in questa Pentecoste. Lo scrivo sul mio diario, o sulla Bibbia, mentre tu, o mio Dio, lo stai scrivendo sul mio cuore. Da oggi sono un uomo nuovo! Grazie, Padre mio.
5. Una chiave di lettura
Con la forza che mi è stata data dall’incontro con Gesù, torno a leggere il brano evangelico. Lo ripercorro, cercando di scorgere una pista precisa, il solco tracciato per me, perché possa giungere alla vera luce. Mi sembra di poter individuare un cammino in tre tappe, tre incontri, tre grandi rivelazioni, che sono tre doni immensi, inestimabili, al cui confronto l’oro è come un po’ di sabbia e come fango. I doni di Gesù sono questi: il Paraclito, la testimonianza, il Padre.
Chiedo, in questo momento, la grazia di poterli accogliere nel mio spirito, nella mia vita.
* Lo Spirito santo Paraclito
In un primo momento questo termine può suonare un po’ strano; mi confonde, mi disorienta. So che è una parola greca abbastanza diffusa, già dall’antichità, un po’ in tutto il mondo mediterraneo. San Giovanni l’ha usata anche poco più sopra, dicendo: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paraclito, perché rimanga con voi per sempre” (Gv 14, 16) e rivelando che lo Spirito viene a consolare, a rimanere accanto, a difendere e proteggere. Qui, però, in questo versetto, sembra emergere una sfumatura diversa: lo Spirito si presenta a noi come l’Avvocato, cioè colui che si fa accanto a noi nel giudizio, nelle accuse, nel tribunale della persecuzione. Lo sappiamo, tutta la storia, anche quella dei nostri giorni, porta nel suo cuore l’accusa, il disprezzo, la condanna per il Signore Gesù e per quanti lo amano. E’ storia quotidiana di tutti. Al banco degli accusati, accanto a Gesù, sediamo anche noi. Ma non da soli. Abbiamo un Avvocato. Lo Spirito del Signore viene e agisce in giudizio a nostro favore: fa dei discorsi, rende testimonianza, cerca di convincere e di provare. E’ immensa la sua opera in mezzo a noi, per noi. Presso il Padre, nostro Avvocato è Gesù, come scrive Giovanni nella sua prima lettera (1 Gv 2, 1); ma presso il mondo, nostro Avvocato è lo Spirito, che egli manda a noi dal Padre. Non dobbiamo preparare prima la nostra difesa (Lc 21, 14), pensando di poterci discolpare da soli, ma dobbiamo fare spazio al soffio dello Spirito santo dentro di noi, lasciare che sia lui a parlare, a dire, a provare. Anche Paolo ha dovuto fare questa esperienza dura; lo scrive nella sua prima lettera a Timoteo: “Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato” (2 Tim 4, 16). E davvero è così: non c’è difesa per noi, non innocenza, liberazione, scarcerazione vera, se non nel rapporto intimo con lo Spirito del Signore. Egli viene mandato a noi, affinché ci lasciamo prendere dalla sua presenza, come in un abbraccio, come in rapporto intimo e intenso di amicizia, di confidenza, abbandono e amore.
* La testimonianza
Comincio a comprendere, continuando ad accogliere le parole di questo vangelo nel mio cuore, che il rapporto di noi discepoli con lo Spirito santo ha lo scopo di renderci capaci di dare la nostra testimonianza su Gesù. Noi veniamo uniti inscindibilmente con lo Spirito santo, veniamo afferrati da Lui, presi nel suo fuoco, che è l’Amore reciproco del Padre e del Figlio, per diventare anche noi luminosi, anche noi fonti d’amore in questo mondo.
Rendere testimonianza significa attestare con chiarezza, dandone le prove. Per primo è lo Spirito a fare ciò, continuamente, in ogni luogo, in ogni tempo; con potenza egli opera, in noi e attorno a noi. E’ Lui che muove i cuori, che cambia i nostri pensieri alteri e induriti, che riavvicina, riconcilia, spinge al perdono, all’unione; è ancora Lui che guarisce l’anima, la psiche, il corpo e il cuore malati. E Lui che insegna, ammaestra e rende docili, rende saggi i semplici, i poveri, i puri. Rende testimonianza del Signore Gesù, il Salvatore, attraverso tutte queste sue operazioni, lievi tocchi d’amore e di comunione sulle nostre terre desolate e riarse. Lui attesta del Crocifisso, del Sofferente per amore; grida riguardo al Risorto, che ha sconfitto e calpestato la morte per sempre; testimonia del Vivente, del Glorificato, di Colui che è con noi fino alla fine dei tempi. Ecco, questa è la testimonianza. Lo Spirito la introduce nel nostro mondo, la porta fino a noi; non possiamo restare indifferenti, continuare a sonnecchiare, a scegliere un po’ qui, un po’ là. E’ Lui la verità. E di verità ce n’è una sola: quella di Dio, il Figlio suo Gesù Cristo. Siamo chiamati a testimoniare tutto questo, cioè a porre, a impegnare la nostra vita per amore di questa verità. Testimoniare è diventare martiri, per amore. Non da soli; non per forza nostra, per sapienza nostra. “Anche voi mi renderete testimonianza”, dice Gesù. Ma la nostra testimonianza può sussistere solamente dentro la testimonianza dello Spirito santo; non sono testimonianze parallele, ma vite fuse insieme: quella dello Spirito e la nostra. Questo accade davanti agli infiniti tribunali del mondo, ogni giorno. La nostra vita, allora, diventa luogo sacro, quasi santuario, della testimonianza al Signore Gesù. Non importa compiere grandi imprese, dimostrare sapienza e intelligenza, attirare folle di gente; no, basta una cosa sola: dire al mondo che il Signore è vivo, che è qui, in mezzo a noi e annunciare la sua misericordia, il suo infinito amore.
* Il Padre
Il contatto con lo Spirito santo, il lasciarci abbracciare e invadere da Lui, ci porta al Signore Gesù; ci conduce fino al suo cuore, fino alla sorgente del suo amore. E da lì noi giungiamo al Padre, noi riceviamo il Padre. Non avevamo nulla, nulla abbiamo potuto portare con noi, venendo in questo mondo ed ora, ecco, siamo stracolmi di doni! Impossibile contenerli tutti. Occorre lasciarli traboccare, lasciarli fluire al di fuori, verso i fratelli e le sorelle che ci è dato di incontrare, o anche solo di sfiorare appena, per brevissime esperienza di vita.
Lo Spirito parla di Gesù e usa le parole del Padre; egli ripete a noi ciò che ode nel grembo del Padre. E’ il Padre la sua dimora, la sua casa; venendo a noi, lo Spirito porta con sé l’impronta, il sigillo di quella dimora, di quel luogo di comunione infinita, che è il seno del Padre. E noi capiamo bene che quella è la nostra casa; riconosciamo il luogo della nostra origine e del nostro fine. Riscopriamo, ricevendo lo Spirito di Gesù, che anche noi veniamo dal Padre, che da Lui nasciamo e in Lui viviamo. Se cerchiamo noi stessi, se vogliamo ritrovare la via, il senso del nostro vivere qui, tutto questo sta scritto nelle parole che lo Spirito pronuncia per noi, dentro di noi, riguardo a noi. Occorre davvero un grande silenzio per poterle ascoltare, per comprenderle. Occorre ritornare a casa, ripensare finalmente a nostro Padre e dire, dentro di noi: “Sì, basta ormai! Troppo tempo ho vagato lontano, già mi sono perso… Tornerò da mio Padre”. Vedo quante meraviglie può operare lo Spirito della verità, che il mio Signore Gesù Cristo manda a me dal Padre. Non sarà Pentecoste, se non mi lascerò prendere da Lui, portare con Lui fino al grembo del Padre, dove già mi attende il Cristo, dove già arde per me il fuoco dello Spirito santo.
6. Un momento di preghiera
Ecco, questo è forse il momento più bello della lectio, è come raggiungere la vetta e poter contemplare da quassù tutto il paesaggio della salita compiuta; è poter riposare nella pace del cuore, nella gioia per i doni ricevuti e per gli impegni presi, in questo nuovo inizio di vita. Mi faccio aiutare dalle parole di un salmo:
Salmo 68 (La tenerezza del Padre è la dimora del povero)
Rit. Abbà Padre, sono tuo figlio!
Signore, io innalzo a te la mia preghiera,
nel tempo della benevolenza;
per la grandezza della tua bontà, rispondimi,
per la fedeltà della tua salvezza, o Dio.
Rispondimi, Signore, benefica è la tua grazia;
volgiti a me nella tua grande tenerezza.
Non nascondere il volto al tuo servo,
sono in pericolo: presto, rispondimi.
Avvicinati a me, riscattami,
salvami dai miei nemici.
Loderò il nome di Dio con il canto,
lo esalterò con azioni di grazie!
Vedano gli umili e si rallegrino;
si ravvivi il cuore di chi cerca Dio,
poiché il Signore ascolta i poveri
e non disprezza i suoi che sono prigionieri.
A lui acclamino i cieli e la terra,
i mari e quanto in essi si muove.
Perché Dio salverà Sion, ricostruirà le città di Giuda:
vi abiteranno e ne avranno il possesso.
La stirpe dei suoi servi ne sarà erede,
e chi ama il suo nome vi porrà dimora.
7. Preghiera finale
Grazie, o Padre, per la venuta del Consolatore, dell’Avvocato; grazie per la sua testimonianza su Gesù nel mondo e in me, nella mia vita. Grazie, perché è Lui che mi rende capace di ricevere e di portare il peso glorioso del tuo Figlio e mio Signore. Grazie, perché egli mi guida nella verità, mi consegna alla verità tutta intera e mi rivela le parole che Tu stesso pronunci. Grazie, Padre mio, perché nella tua bontà e tenerezza tu mi hai raggiunto, oggi e mi hai attirato a te, mi hai fatto entrare nella casa del tuo cuore; mi hai immerso nel fuoco d’amore trinitario, dove tu e il Figlio Gesù siete una cosa sola nel bacio infinito dello Spirito santo. Qui sono anch’io e per questo la mia gioia è traboccante. Ti prego, Padre, fa’ che io doni a tutti questa gioia, nella testimonianza amorosa di Gesù salvatore, in ogni giorno della mia vita. Amen.

da \ O.Carm