mercoledì 19 febbraio 2014

La sinistra che deve fare la destra


di Arturo Diaconale

19 febbraio 2014EDITORIALI
Renzi come D’Alema, entrambi a Palazzo Chigi per manovre di Palazzo e senza investitura popolare? In apparenza è così. Ma nella sostanza la similitudine è molto più profonda. E riguarda la vera anomalia della politica italiana, quella che spingeva l’Avvocato Giovanni Agnelli a sostenere che nel nostro Paese solo un Governo di sinistra può realizzare politiche di destra.

Massimo D’Alema sostituì Romano Prodi alla guida del Governo grazie ad un’operazione condotta con spregiudicata abilità da Francesco Cossiga, l’uomo di Gladio e della lealtà atlantica dell’Italia. L’ex Presidente della Repubblica non era animato dall’intento di favorire il perfezionamento della democrazia dell’alternanza determinando la nascita del primo Governo a guida post-comunista della storia dell’Italia repubblicana. Voleva solo, sicuramente su sollecitazione dei massimi vertici della Nato (cioè degli Stati Uniti), creare le migliori condizioni affinché il nostro Paese potesse assicurare l’uso delle proprie basi militari e della propria partecipazione alla guerra che l’Alleanza Atlantica si accingeva a scatenare contro la Serbia di Milosevic.

Il cattolico Prodi avrebbe potuto garantire che l’Italia sarebbe entrata in guerra, per la prima volta dopo la fine del secondo conflitto mondiale, tenendo a freno le tensioni che sarebbero inevitabilmente venute dalla sinistra pacifista e antiatlantica che era forza determinante del suo Governo? Cossiga e i suoi ispiratori giudicarono opportunamente che Prodi non avrebbe potuto offrire alcuna garanzia in questo senso. Pensarono che solo un comunista avrebbe potuto fare guerra ad un Paese comunista tenendo a bada i propri comunisti. E realizzarono la manovra di Palazzo che portò il primo ex comunista a guidare il Governo della prima guerra dell’Italia repubblicana contro il comunista Milosevic. Un capolavoro! Ovviamente di applicazione della tesi di Agnelli secondo cui nel nostro Paese solo Governi di sinistra possono comportarsi come Governi di destra.

Matteo Renzi si accinge a compiere un’operazione del tutto simile a quella realizzata a suo tempo da D’Alema. Non deve portare il Paese ad entrare in guerra tenendo tranquilla la sua base pacifista. Deve realizzare quella serie di riforme che i Governi di centrodestra degli ultimi vent’anni non sono riusciti a compiere a causa dell’opposizione intransigente della propria parte politica. Dalle riforme istituzionali bocciate dal referendum promosso e vinto a suo tempo dal Partito Democratico all’abolizione, almeno per i primi tre anni dei nuovi assunti, di quell’articolo 18 contro cui il centrodestra si batté inutilmente a suo tempo, fino alla riduzione delle tasse e alla ridefinizione dei rapporti economici con l’Europa fino ad ora rimasti degli autentici tabù per la sinistra italiana.

Non c’è da stupirsi, allora, se Renzi trova resistenze nel suo partito e suscita simpatie e attese nel campo avversario. C’è da riflettere, semmai, sul fatto che il precedente di D’Alema non alimenta grandi speranze sulla durata del Governo di Renzi. Una volta che hanno esaurito il compito a cui sono stati chiamati, i Governi di sinistra che fanno politiche di destra vanno a casa. Ma c’è, soprattutto, da riflettere sulla difficoltà del nostro Paese di superare quell’anomalia che gli impedisce di essere normale. Una anomalia rappresentata dal ruolo egemonico della sinistra nella società nazionale, quel ruolo che impedisce il corretto funzionamento della democrazia dell’alternanza e subordina sempre e comunque il futuro del Paese a quella casta che sfrutta questa egemonia per perpetuare all’infinito i propri privilegi.

Fonte: L'Opinione

venerdì 14 febbraio 2014

Sottaceto


· Come parla Jorge Mario Bergoglio ·

13 febbraio 2014
La messa di venerdì 10 maggio in Casa Santa Marta è di quelle da ricordare. Papa Francesco ha fissato il tratto fondamentale di una personalità cristiana dicendo che «i cristiani sono uomini e donne gioiosi», di una gioia che non è provocata da motivi contingenti: è un dono del Signore che riempie l’interiorità della persona. Ma possiamo «imbottigliare» un poco di questa gioia — si è poi chiesto — per poterla portare sempre con noi?



Non so se attribuirlo alla nostalgia ma a volte mi sembra che gli venga fuori il chimico che ha dentro. L’espressione “imbottigliare” mi ha fatto pensare a provette, alambicchi e tutto l’armamentario di laboratorio. Mi è quasi parso di percepire gli odori del laboratorio di mio padre. Credo di non sbagliarmi stabilendo questa analogia perché dopo ha risposto con un «No» alla domanda sulla “imbottigliabilità” della gioia: «No, perché se noi vogliamo possedere questa gioia soltanto per noi — dice Bergoglio, a nostro uso e consumo si potrebbe aggiungere — finisce per andare a male, come il nostro cuore e, alla fine la nostra faccia non trasmette più la gioia bensì la nostalgia, una malinconia che non è sana. A volte questi cristiani malinconici hanno più la faccia da “cetriolini sott’aceto” che da persone gioiose che hanno una vita bella».

Non mi sbagliavo, quel «vino dell’estate» non condiviso — come quello di cui parla Ray Bradbury — finiva per inacidirsi. Diventava aceto. Un processo chimico per l’appunto.

«Ma non capisco perché ce l’ha coi miei cari eingelegte Gurken, i miei cetriolini sott'aceto. Manca solo che se la prenda con la birra» mi sono lamentato con un amico che mi perseguita con le sue storie. «Non ha niente contro i cetriolini, ma con chi ha una faccia inacidita» mi ha risposto.

Ho ammesso il mio errore. Questa delle facce inacidite non è una cosa nuova. Mi ha fatto venire in mente dei ricordi, nostalgie di un tempo in cui, nella scuola dei gesuiti, parlava di «non lasciar inacidire la gioia». Erano chiacchierate informali le nostre, fuori dall’orario di scuola e quel giorno ricordo che ci soffermammo a parlare dei parrocchiani che frequentavano la chiesa dell’istituto osservando che dominavano i musi lunghi, le “facce inacidite” appunto.

«La fede è gioia, la Parola di Dio è gioia. A voi piacciono le facce lunghe?» domandò allora, come domanda ancora oggi.

Jorge Milia