martedì 5 novembre 2013

«Na vida espiritual
temos a mesma necessidade
de repetir continuamente
as mesmas orações,
os mesmos actos de fé,
de esperança
e de caridade,
para termos vida,
visto que a nossa vida
é uma participação continuada
da vida de Deus.»

Serva de Deus Irmã Lúcia de Jesus | 1907 - 2005
Apelos da Mensagem de Fátima, cap. 34
Senhor,
tal como na vida de todos os dias
necessito alimento, bebida,
descanso e trabalho,
também na vida espiritual
preciso continuamente de me dar conta
do Teu olhar sobre mim,
que me vivifica
e concede todas as graças
para cada momento.
Permanecer em Ti exige
permanecer atento à Tua vontade,
ao Teu amor,
à Tua presença.
Como o girassol
que a todo o momento se movimenta
orientando-se em busca da luz,
também eu Te quero procurar sempre,
Senhor. Ajuda-me!

lunedì 4 novembre 2013

PAPA FRANCESCO: LASCIARE CHE IL SIGNORE FACCIA DELLA NOSTRA VITA UN DONO D'AMORE
Città del Vaticano, 4 novembre 2013 (VIS). Alle 12:00 di ieri, domenica, il Santo Padre si è affacciato alla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico Vaticano per recitare l'Angelus con i fedeli convenuti in Piazza San Pietro. Papa Francesco ha dedicato la sua meditazione domenicale al Vangelo di San Luca che narra la conversione di Zaccheo. "Non c’è professione o condizione sociale, non c’è peccato o crimine di alcun genere che possa cancellare dalla memoria e dal cuore di Dio uno solo dei suoi figli. 'Dio ricorda', sempre, non dimentica nessuno di quelli che ha creato; Lui è Padre, sempre in attesa vigile e amorevole di veder rinascere nel cuore del figlio il desiderio del ritorno a casa. E quando riconosce quel desiderio, anche semplicemente accennato, e tante volte quasi incosciente, subito gli è accanto, e con il suo perdono gli rende più lieve il cammino della conversione e del ritorno".
"Se tu hai un peso sulla tua coscienza - ha detto il Papa - se tu hai vergogna di tante cose che hai commesso, fermati un po’, non spaventarti. Pensa che qualcuno ti aspetta perché mai ha smesso di ricordarti; e questo qualcuno è tuo Padre, è Dio che ti aspetta! Arrampicati, come ha fatto Zaccheo - ha esortato il Papa - sali sull’albero della voglia di essere perdonato; io ti assicuro che non sarai deluso. Gesù è misericordioso e mai si stanca di perdonare! Ricordatelo bene, così è Gesù. (...) Nel profondo del cuore, ascoltiamo la sua voce che ci dice: 'Oggi devo fermarmi a casa tua', cioè nel tuo cuore, nella tua vita. E accogliamolo con gioia: Lui può cambiarci, può trasformare il nostro cuore di pietra in cuore di carne, può liberarci dall’egoismo e fare della nostra vita un dono d’amore".


Il fiore del Perdono
Di Olga Fioravanti

Amaro sorriso
di un tramonto di autunno.
Cammino calpestando
mucchi di foglie secche
pensando alla mia casa,
una casa che non è più mia.
Cumuli di rovine
nei miei pensieri.
Vivo sperperando
E penso alla mia terra.
Grovigli di dolore per l’abbandono,
tristezza amara nel profondo del cuore.
Penso a mio padre
che sarà ancora là ad aspettare.
Il tempo forse,chissà,
da lui mi farà tornare
Mi inginocchierò davanti a lui
E abbracciandolo con amore
Egli mi darà un dono:
un profumato fiore,
il fiore del perdono





Paolo Curtaz 
Gesù intenerisce. O fa rabbia, fate voi. Parla di cose difficilissime come se fossero semplicissime, evidenti, normali. Osa chiedere cose improbabili, come invitare a cena gente che non conosci e che, anzi, tutti evitano, per testimoniare che il tuo cuore è altrove, che il tuo sguardo è profondo e stupito. Straordinario Gesù, al solito, che afferma delle cose incredibili e difficili come fossero le più semplici e scontate del mondo! Gesù chiede ai suoi discepoli - sul serio! - una tale libertà interiore da rasentare l'ingenuità. Gesù ammonisce: lascia stare i calcoli, evita di invitare qualcuno per averne un contraccambio, sii generoso nella tua amicizia, non essere uomo che misura la sua generosità. Quanti di noi hanno sperimentato che nell'amicizia, spesso, gioca un ruolo essenziale l'interesse. Quanti presunti "amici" svaniscono nel momento in cui la malasorte si accanisce contro di te! Così è, amici, che vi devo dire. Proviamoci, anche solo per sfida, vediamo se è davvero possibile vivere come Gesù. Sorridi, oggi, saluta anche se non sei salutato, sii gentile al tuo lavoro semplicemente perché (splendidamente) reso libero. Dio è gratis, come l'amore; la vita del discepolo diventa spogliazione come lo fu quella della Maestro... Perché se amiamo solo chi ci ama, o doniamo a chi ci dona in contraccambio, cosa facciamo di straordinario? Fanno così anche i pagani!

Il dono
Ci sono quelli che danno poco
del molto che hanno
e lo danno per ottenere riconoscenza;
ma questo segreto di desiderio
guasta i loro doni.
E ci sono quelli
che hanno poco e danno molto:
sono quelli che credono nella vita,
e nella generosità della vita,
e il loro scrigno non è mai vuoto.

Ci sono quelli che danno con gioia,
e quella gioia
è la loro ricompensa.
E ci sono quelli che danno con dolore
e questo dolore
è il loro battesimo.
E’ bene dare quanto si è richiesti,
ma è meglio dare quando,
pur non essendo richiesti,
si comprendono i bisogni degli altri.
Tutto ciò che hai
un giorno o l’altro sarà dato via:
perciò dà adesso,
così che la stagione del dare sia la tua,
non quella dei tuoi eredi.
(G. Kahlil Gibran)

Il sangue
non è indio, polinesiano o inglese.
Nessuno ha mai visto
Sangue ebreo
Sangue cristiano
Sangue mussulmano
Sangue buddista
Il sangue non è ricco, povero o benestante.
Il sangue è rosso
Disumano è chi lo versa
Non chi lo porta.
Ndjock Ngana

Puoi costruire la pace
Se hai cibo,
puoi sfamare.
Se hai acqua,
puoi dissetare.
Se hai cuore,
puoi amare.
Se hai generosità,
puoi donare.
Se hai dignità,
puoi educare.
Se hai pazienza,
puoi sopportare.
Se hai comprensione,
puoi tollerare.
Se hai indulgenza,
puoi perdonare.
E se sfami,
disseti, ami,
doni, educhi,
sopporti,
tolleri,
e perdoni,
puoi costruire la pace.
P. Camesasca

domenica 3 novembre 2013

Santa Teresa di Gesù 


SOPRA QUELLE PAROLE DEL CANTICO: «DILECTUS MEUS MIHI»
Tutta a lui mi sono data,

e in tal modo son cambiata,

che il mio Amato è sol per me,

ed io son per il mio Amato.



Quando il dolce Cacciatore

vibrò il dardo e mi colpì,

fra le braccia dell’amore

l’alma mia prigion finì,

e acquistando nuova vita

in tal modo s’è mutata,

che il mio Amato è sol per me,

ed io son per il mio Amato.



Da una freccia fui ferita

che veleno avea d’amore:

restò l’alma, così, unita,

stretta in uno al suo Creatore;

io non voglio ormai altro amore,

poiché a Dio mi sono data,

e il mio Amato è sol per me,

com’io son per il mio Amato.




LA SANTA MONTAGNA DELLA PALESTINA "IL MONTE CARMELO" 
ICarmelo è una catena montagnosa della lunghezza di oltre 25 km., che si estende dal golfo di Haifa, sul Mediterraneo, fino alla pianura di Esdrelon, in Palestina. L’altezza massima raggiunge i 546 metri.
Nella sacra Scrittura, dove è ricordato per la sua vegetazione lussureggiante, è richiamo a bellezza e fecondità. La tradizione, confermata dal nome che ancora gli danno gli arabi (Gebel Mar Elyas), lo lega al profeta Elia, benché la Bibbia ponga il profeta in relazione col Carmelo una sola volta (1 Re 18,19-46).
Comunque è su questo monte, già spiritualmente collegato ad Elia nella tradizione, che nella seconda metà del 1100 iniziano un'esperienza eremitica alcuni "devoti Deo peregrini" occidentali, probabilmente legati alle ultime crociate del secolo. Riuniti in comunità da Sant’Alberto Avogadro, patriarca di Gerusalemme (1206-1214), da lui ricevettero anche laRegola. In essa appare che questi eremiti si sono stabiliti "presso la fonte (di Elia)".
Questi "fratelli del Carmelo" vivono accanto a "una piccola chiesa dedicata a nostra Signora".
Verso la fine del secolo XIII, un pellegrino di passaggio al Monte Carmelo scrive infatti: "Sulle pendici di questo monte Carmelo dimorano gli eremiti latini che sono chiamati Fratelli del Carmelo. Vi hanno costruito una graziosa piccola chiesa dedicata alla Madonna".
E così risulta che i primi Carmelitani si sono votati fin dalle origini alla protezione di Maria. Senza dubbio vedevano in Lei il perfetto modello della loro vita contemplativa.
Il gruppo dei "fratelli", quando trasmigra nel ‘200 in Europa, si chiamava già "Ordine di Santa Maria del monte Carmelo", secondo il titolo - certamente già in uso - che appare per la prima volta in un documento pontificio di Innocenzo IV (1252).
È fuor di dubbio che già nella prima metà del 1200 l’Ordine è mariano, fondato in onore della Vergine, e che i religiosi si professano particolarmente dedicati alla Madre di Dio. Tale dedicazione - espressa fondamentalmente nella scelta di Maria quale "Signora" del primo "luogo" sul Carmelo - costituiva i "fratelli" persone poste al Suo totale servizio, che si esprimeva nella vita in molti segni di culto comunitario e privato.
Si può dire che la Vergine "del monte Carmelo", come viene sentita, venerata, contemplata dai suoi "fratelli" e da quanti in seguito parteciperanno alla loro vita religiosi, "confratres", terziarii -, è al centro dell’esperienza spirituale del gruppo costituitosi in Terra Santa, con il fine della perfezione evangelica, in una solitudine contemplativa centrata sulla preghiera continua e l’ascolto della Parola, in un clima di semplicità, povertà e lavoro, come la vita di Maria a Nazareth.
Senza voler accentuare troppo, si direbbe che i "fratelli del Carmelo" guardano a Maria di Nazareth, "ancella del Signore", come all’ispiratrice, guida, signora della vita. Per questo la sentiranno madre e sorella insieme, in un’atmosfera d’intimità orientata a vivere in pienezza la vita teologale "nel servizio di Cristo", in un clima di semplicità e di austerità. Il riferimento, che nel nome della Madonna si dà al monte, è semplicemente geografico-storico, quale indicazione del luogo dove i frati sono nati.
Per questo, in origine, il titolo "Santa Maria del monte Carmelo" non si riferisce ad una immagine speciale o ad un aspetto nuovo di culto. Tanto è vero che nella manifestazione concreta della loro "pietà", espressa subito anche nei titoli delle varie chiese, i Carmelitani accentueranno per lo più gli aspetti della Maternità divina, della Verginità, dell’Immacolata concezione, dell’Annunciazione.
Perciò, nella tradizione primitiva, "S. Maria del monte Carmelo" è semplicemente la Madonna del Vangelo, la purissima vergine Maria, che accoglie e custodisce la Parola e col suo "si" diventa madre del Figlio di Dio fatto uomo.
Della razza di questi primi fratelli Eremiti sono i Carmelitani e le Carmelitane, tutti uniti nello sforzo di guardare a Dio, con Maria, come Maria. Talmente vivono in sua compagnia che la chiameranno ben presto "sorella":
Maria è al Carmelo un mistero di presenza e di imitazione, e secondo l’immagine biblica divenuta tradizionale nell’Ordine: Maria è la bellezza del Carmelo. Questo luogo, già ammirato nei tempi antichi, che significa etimologicamente giardino, rinvia alla vita spirituale: Maria è il giardino di Dio. I primi eremiti furono affascinati dalla sua trasparenza: bella della gloria del Verbo.
Più Maria diventa la Regina della mia vita, più lo Spirito diventa la mia vita. In curioso impeto d’amore fiducioso ed ammirato, tutto carmelitano, Teresa di Gesù Bambino lasciava come suo ultimo scritto:
"O Maria se tu fossi Teresa
e io la Regina del cielo,
vorrei essere Teresa
perché tu sia la Regina del cielo".


Il Carmelo è tutto mariano.

        È tutto proteso a vivere con Maria tutti i misteri del Figlio suo Gesù.



«Tutte le immagini non mi fanno bene, non posso nutrirmi se non della verità. Per questo non ho mai desiderato visioni. Non si possono vedere, sulla terra, il Cielo, gli Angeli tali quali sono, preferisco aspettare dopo la morte» 
(Teresa di LisieuxNovissima verba, 5 agosto)


"È meglio vedere una volta che sentire cento volte". Così dice un proverbio arabo, che descrive bene l'esperienza fatta da una cinquantina di pellegrini del MEC che dal 27 dicembre 2012 al 3 gennaio 2013 hanno visitato i luoghi sacri della Terra Santa.
Guidati sapientemente da Andre Haddade condotti spiritualmente da P. Aldino Cazzago e da P. Alessandro Bezzi i pellegrini hanno visitato i luoghi più significativi della vita di Gesù e della storia carmelitana. Il pellegrinaggio è iniziato infatti sul Monte Carmelo, che ospitò i primi monaci poi consacratisi alla Madonna del monte Carmelo. Lì è stata letta la prima regola dei monaci dettata da S. Alberto, con un richiamo all'essenzialità ricordata dal profeta Elia.

Camminando per le strade di Gesù si è voluto verificare la veridicità del Vangelo.
Nel nord di Israele sono stati ripercorsi gli itinerari di Cristo vissuti attorno al lago di Tiberiade, con una sosta a Cana per riscoprire il valore della Famiglia e per rinnovare le promesse matrimoniali, a Tabghaa per ripetere con l'apostolo Pietro “Signore, Tu lo sai che ti amo!", a Nazareth per meditare il "sì" di Maria… e poi via alla volta di Betlemme, rivivendo i brani evangelici annunziati la notte di Natale.
A Gerusalemme – durante una suggestiva veglia presso il Getsemani – abbiamo pregato con l'invocazione di Gesù "Non la mia volontà ma la Tua", per concludere poi nella Basilica del Santo Sepolcro con la celebrazione della Messa alle cinque di mattina, tutti stretti davanti al luogo della Resurrezione. Insomma "un crescendo continuo per giungere al portento della visita al Santo Sepolcro" come è stato detto nell'assemblea conclusiva.

Il saluto finale alla terra di Gesù è avvenuto a Emmaus, prima del ritorno a casa, portando nel cuore più che semplici propositi insegnamenti da mettere in pratica:
- portare nella quotidianità una piccola parte della straordinarietà con cui Gesù ha vissuto la normalità della sua vita
- comprendere che la diversità è una ricchezza
- il cammino comune supera difetti e barriere
- esperienze come questa aiutano a costruire il MEC
- condividere il pellegrinaggio con gli amici di altre città favorisce i legami rendendo più grande il respiro ecclesiale vissuto nel MEC
Visto che il Movimento Ecclesiale Carmelitano affonda le origini proprio nella TerraSanta, questo pellegrinaggio ci ha permesso di ri-partire, ri-imparare, ri-iniziare da Cristo.
Gesù a casa nostra come a casa di Zaccheo
Oggi il Vangelo ci mostra che Zaccheo, che -anche se è ricco di soldi- è indigente di senso della vita. Questa povertà di spirito spinge il ricco pubblicano a salire su una pianta di sicomoro
per vedere il Messia. I bene materiali non colmavano la sua sete di infinito e si fece “medicante di Dio”, e così ebbe il dono di abitare nella grazia di Chi, entrando in casa sua, gli portava la vita eterna, piena.
            L’uomo è cercatore dell’Assoluto. Anche se procede a passi piccoli e incerti l’uomo è sempre in ricerca, ha il  “cuore inquieto”, come scriveva sant’Agostino...
http://kairosterzomillennio.blogspot.it

ESERCIZI SPIRITUALI
IL DONO DELLA COMUNIONE
Venerdì 01 Novembre 2013 10:27
Un viaggio nella Chiesa, “Il dono della Comunione”, è questo il tema degli Esercizi Spirituali organizzati dal Movimento Ecclesiale Carmelitano a Lignano Sabbiadoro, dal 31 ottobre al 3 novembre, nei giorni che Chiesa dedica alla solennità di tutti i Santi e alla commemorazione dei Fedeli Defunti. Prendono
parte a questo grande appuntamento ecclesiale, tutte le comunità del Mec presenti nel territorio nazionale e alcune rappresentanze delle comunità che sono presenti all’estero. A dettare le riflessioni il fondatore del Mec, Padre Antonio Maria Sicari.

“Gli Esercizi di quest’anno hanno come tema il dono della comunione – afferma Padre Antonio Maria Sicari nel corso della prima meditazione. Vogliamo ricostruire il percorso affettivo, di esperienza di santità che c’è dentro la parola comunione. Partiamo da questa semplicissima parola, la parola «Io», dentro la quale c’è un’infinita preziosità. Dio mi ha creato, mi ha voluto, mi ha pensato avendo davanti a sé suo Figlio Gesù. Ciascuno di noi è stato pensato così. Quando diciamo la parola io almeno noi cristiani dovremmo custodire questa certezza… «la certezza di essere amati». Il bisogno dell’uomo di comunicare con tutti gli altri è assolutamente grande. Cristo proviene dalla patria della divinità, dove l’io non è in conflitto con nessuno, il Padre è padre perché dona tutto, il Figlio è tale perché riceve tutto, lo Spirito Santo è tutto l’amore. Oggi abbiamo bisogno di realizzare relazioni sostanziali.  Gesù introduce una parola nuova: «Comunione»”.

http://youtu.be/pcc1fUADAno
L'archetipo mariano
Una chiesetta mariana edificata dagli eremiti sul Carmelo fu la prima testimonianza storica del fatto che la Vergine era scelta e onorata come “Signora del luogo” e che a lei si riconosceva il patronato (questione molto importante in epoca medievale, ai fini della identità). Antichissimo è l’uso dei carmelitani di promettere obbedienza “a Dio e alla vergine Maria” all’atto della professione (fatto testimoniato già nel 1281).
Da subito gli eremiti vengono chiamati “fratelli della Beata Vergine Maria” e –in base alle leggende di cui abbiamo più volte parlato– il termine fratelli acquistò via via una pregnanza di tipo propriamente familiare, fino a costituire problema per gli altri cristiani (i carmelitani vennero accusati di superbia ed eccessiva familiarità, e la questione venne portata davanti all’Università di Cambridge nel 1374!).  I Sommi Pontefici tuttavia confermarono l’uso.


Madonna del Carmelo - Giovan Battista Tiepolo - La Madonna del Carmelo e il Bambin Gesù mentre consegnano lo scapolare ai monaci

Le controversie spinsero opportunamente i carmelitani a riflettere sulla loro identità e portarono frutti di notevole interesse. 
La Regola dell’Ordine venne studiata come se descrivesse in filigrana la vita e l’esperienza della S. Vergine (Baconthorp). Particolare insistenza venne messa, a questo riguardo, sulle tre virtù teologali e sul tema della “purezza” di Maria. L’intera vita dei religiosi viene sistematicamente descritta come “vita mariana” cioè vissuta in familiarità e compagnia con la dolcissima Madre di Dio: tema che in seguito verrà approfondito in tutte le sue mistiche profondità, fino a che l’unione mistica con Lei verrà indicata come l’ideale di proprio ogni carmelitano.  
Fin dall’inizio a Maria vennero sistematicamente dedicate tutte le chiese dell’Ordine, soprattutto sotto il titolo della Annunziata, e il tema più sentito fu quello della purità della Vergine. Ugualmente antica è la devozione alla Immacolata Concezione: tutti temi mariani legati alla vocazione contemplativa che esige appunto la purificazione da ogni macchia di peccato in vista della totale dedizione a Dio fino al congiungimento materno-sponsale con Lui.

Interessante è ricordare che spesso i Pontefici in documenti ufficiali hanno considerato l’Ordine Carmelitano come “messo al mondo” da Maria, che ne era pertanto Madre, Fondatrice, Legislatrice: un Ordine nato come si mette al mondo un figlio che esprime tutta la Madre. 
Sarà poi la devozione dello Scapolare –verso la fine del secolo XIV– che estenderà a tutti i cristiani la possibilità di esperimentarsi –attraverso la protezione di quel sacro segno– particolarmente figli, perché particolarmente protetti..
Ecco come A. Bostio, un poeta carmelitano di fine secolo XIV, si rivolge a Maria rievocando le antiche leggende che la descrivevano in visita agli eremiti del Carmelo:
«O Madre Beata! 
Noi abbiamo tanto atteso Te che hai istituito il nostro Ordine, 
e l’hai organizzato e retto con tanta perfezione. 
Prostrati davanti a Te, 
o Madre tutta santa della famiglia carmelitana, 
noi tutti che abitiamo questa santa montagna 
dissetiamo i nostri cuori alle tue sorgenti. 
Noi con lealtà ci consideriamo 
diretti dalla tua mano, 
aiutati dal tuo soccorso, 
illuminati dalla tua luce. 
Trasforma noi in te e la nostra vita nella tua. 
Resta dunque tra noi, Signora Nostra. 
O Maria! Noi cerchiamo un rifugio nel tuo seno; 
bisogna che la Madre dimori con i figli, 
la Maestra con i suoi discepoli, 
l’abadessa con i suoi monaci»
(A. Bostio).

 

Scuola del Carisma
Trento  31 luglio 5 agosto 1998

L’archetipo eliano
Già i padri della Chiesa (S. Atanasio, S. Gerolamo, S. Cassiano) —parlando della vita monastica— avevano indicato ai cristiani, come iniziatore di un tale stile di vita, il profeta Elia che si era ritirato in solitudine sulla montagna del Carmelo, dove poi si erano formate, al suo seguito, delle confraternite di “figli dei profeti” che vivevano in comunità (cfr. 2 Re 2,3ss). 
Elia era perciò già universalmente considerato (da greci, latini, siriaci, bizantini) come fondatore del monachesimo. E tale era rimasto anche nella riflessione degli autori medievali. Nessuna meraviglia dunque che quel gruppo di eremiti —giunto sulla Santa Montagna sul finire del secolo XII, e radunato proprio “presso la fonte di Elia”— si considerasse erede di tutta la tradizione “carmelitana” e che col tempo elaborasse questa particolare primogenitura.

Nelle Costituzioni di Londra (che l’Ordine si diede nel capitolo del 1281) venne premessa una particolare Rubrica prima che aveva lo scopo di insegnare ai giovani carmelitani come rispondere a chi li interrogava sulla loro identità: «Per rendere testimonianza alla verità, affermiamo che, dal tempo dei profeti Elia ed Eliseo i quali vissero devotamente sul monte Carmelo, santi Padri del Vecchio e del Nuovo Testamento, come veri amanti della solitudine di quel monte favorevole alla contemplazione delle cose celesti, là, presso la fonte di Elia, vissero lodevolmente in santa penitenza, continuata incessantemente attraverso sante generazioni successive». 
Verso la fine del secolo XIII l’idea di una successione ereditaria ininterrotta —da Elia agli eremiti medievali— è già formalizzata ed esposta negli scritti degli autori dell’Ordine e la conseguente “spiritualità” tocca vertici di particolare bellezza. 
Si precisa così la comprensione del proprio originale carisma che trova la più esatta e affascinante esposizione in un testo del secolo XIV, intitolato L’istituzione dei primi monaci, nel quale si legge: 
«Duplice è il fine proposto ai seguaci di Elia. Il primo consiste nell’offrire al Signore un cuore puro, scevro da ogni macchia di peccato attuale; ed è un fine raggiungibile, con l’aiuto di Dio, attraverso il nostro sforzo personale, esplicato in una prassi virtuosa, informata dalla carità. L’altro fine invece supera le nostre forze e consiste nel poter noi –per divina condiscendenza– sperimentare in qualche misura la forza della divina presenza e gustare nell’intimo la soavità dell’eterna beatitudine non solamente dopo morte, ma fin da questa vita» (c. II). 
Il motto di Elia “Vive il Signore alla cui presenza io sto” diventa così l’ideale del carmelitano orante; come diventano emblematici certi episodi della sua vita: soprattutto la sua lunga ed estenuante fuga nel deserto –dove il profeta viene nutrito da un pane portato dagli angeli– e l’incontro con Dio sull’Oreb dove il Signore si manifesta “nel soffio di un vento leggero” (simbolo dell’intimità). 
Ma Elia viene anche considerato –sempre in base alle antiche leggende– come “primo devoto della Vergine” e anticipato imitatore della purezza di Lei (simboleggiata dal mantello bianco). 
Nel 1725 –quando si tratterà di adornare la basilica di S. Pietro con le statue dei fondatori dei vari Ordini religiosi– Benedetto XIII (vincendo le resistenze di molti) concederà ai Carmelitani di erigere una statua al Santo Profeta, con la scritta in latino: «L’intero Ordine carmelitano eresse questo simulacro al proprio Fondatore S. Elia profeta». 
Padre Antonio Maria Sicari ocd
ARCHETIPI CARMELITANI
Di solito gli appartenenti ad un Ordine religioso o a un Movimento, per comprendere e assimilare il loro carisma, si rifanno al proprio Fondatore e alla sua esperienza originaria per cercarvi il particolare tipo “di spiritualità, di vita, di apostolato, di tradizione” (cfr. MR 11) che essi devono “custodire, approfondire e sviluppare”. 
Per i carmelitani, le cose non stanno così: non ci sono dei fondatori veri e propri (anche se si conosce l’esistenza di un primitivo gruppo di eremiti che si stanziarono sul Carmelo e chiesero una “norma di vita” al Patriarca di Gerusalemme). Tuttavia da sempre vennero considerati come “Fondatori” sia il profeta Elia, che la Vergine Santa. 
Bisogna precisare attentamente: non si trattò semplicemente di due devozioni particolarmente coltivate, ma della persuasione di un rapporto privilegiato, uguale a quello che gli altri istituti hanno con i loro rispettivi “Fondatori e Fondatrici”, anzi molto più intenso e impegnativo. 
Venne affermata una relazione di origine, così intensa e unica e realistica che, per secoli (almeno fino al sec. XVIII), venne ritenuta da tutti i cristiani anche storicamente documentata e documentabile. E’ in questo senso che preferiamo oggi parlare d’archetipi, cioè di “modelli originari” del carisma stesso. 
La questione ha, come abbiamo visto, anche una componente geografica e biblico-patristica: i testi biblici che parlano della santa montagna del Carmelo erano normalmente commentati dai Padri della Chiesa e dagli scrittori spirituali sia in riferimento alla Santa Vergine (tema della bellezza sponsale, paradisiaca) sia in riferimento ad Elia (tema dell'alleanza gelosa). 
Inoltre non mancava, come abbiamo visto ancora, una ricca fioritura di leggende che legavano gli Eremiti Carmelitani sia alla figura del Profeta Elia (di cui sarebbero stati discendenti) sia alla figura della Vergine che sul Carmelo sarebbe stata pre-conosciuta, amata e onorata ininterrottamente fin dall’epoca dei più antichi profeti. 
Il fatto che, per secoli, siano state ritenute storiche sia la «discendenza elianica» sia la particolare «appartenenza mariana» fa intuire quanto profondamente questi due archetipi si siano radicati nella coscienza dei carmelitani, formandone l’inestirpabile identità. Ma vediamo le cose più da vicino.
Padre Antonio Maria Sicari


sabato 2 novembre 2013

Niente ti turbi,
niente ti spaventi.
Tutto passa,
Dio non cambia.
La pazienza 
ottiene tutto.
Chi ha Dio
ha tutto.
Dio solo basta.

Teresa di Gesù

Santa Teresa di Gesù
LA VERA FELICITÀ   (Meditazioni dell'anima a Dio VIII)
«Voi dite: venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi consolerò (Mt 11,28). Che altro vogliamo, Signore? Che domandiamo? Che cerchiamo? Per quale motivo la gente del mondo si perde se non per andare in cerca di felicità? O Dio, Dio mio! È possibile questo, Signore? Oh, che pena! Che grande accecamento! Noi cerchiamo infatti la felicità dov'è impossibile trovarla! Abbiate pietà, Creatore, delle vostre creature! Vedete, noi non capiamo noi stessi, né sappiamo quel che desideriamo, né siamo nel giusto chiedendo quel che chiediamo. Illuminateci, Signore; considerate che la vostra luce è più necessaria a noi che a quel cieco il quale era tale dalla nascita, perché questi desiderava vedere la luce e non poteva, ma noi, Signore, non vogliamo vedere. Oh, che male grave e incurabile! Qui, mio Dio, deve manifestarsi il vostro potere, qui deve brillare la vostra misericordia! Com'è insensato ciò che vi chiedo, mio vero Dio! Vi prego d'amare chi non vi ama, di aprire a chi non bussa alla vostra porta, di dar la salute a chi ha piacere d'essere infermo e va in cerca di malanni. Voi dite, mio Signore, che siete venuto a cercare i peccatori; eccoli, Signore, i veri peccatori. Non guardate alla nostra cecità, ma al sangue prezioso versato da vostro Figlio per noi. La vostra misericordia risplenda fra tanta malizia! Considerate, Signore, che siamo vostre creature; ci sia d'aiuto la vostra bontà e misericordia!»

LA MIA CASA
La mia casa è tutta sottosopra.
Non è pronta per gli ospiti.
Non è pronta nemmeno per me.
Signore Gesù, perché vuoi entrare?
Che cosa pensi di trovarci?
Non ho nulla di buono da offrirti:
la dispensa è vuota,
i letti sono da rifare,
la polvere è ovunque,
i piatti ancora da lavare.
E io non sono meglio.
Perché vuoi venire proprio a casa mia?
Sai che non sono un uomo buono.
Sai che non sono un uomo onesto.
Tuttavia, se proprio insisti
e se non hai paura di inciampare
nei miei peccati sparsi sul pavimento,
sappi che sei il benvenuto.
Oggi sarà per me un giorno nuovo.
Oggi non avrò paura di iniziare
le grandi pulizie.
Oggi non avrò vergogna della gente.
Se proprio vuoi,
entra nella mia vita
e fanne qualcosa di meglio.
Siediti pure alla mia tavola.
Io metterò i bicchieri
e tu li riempirai
con il vino buono della salvezza.

(dal “Hai un momento, Dio?” )

Curioso l’esattore freme alla gabella
mentre la folla rumoreggia intorno
al Profeta in un teso chiacchierio.
Davanti all’esattore due paganti
che egli lascia di stucco, all’improvviso,
e cerca qualcosa che  lo sorregga,
perché in altezza con Zaccheo
la madre natura è stata avara
Un sicomoro? Non lo disdegna l’esattore,
e come uno scoiattolo affamato
che cerca le ghiande sulla quercia,
così Zaccheo sale per vedere Gesù.
Ma ecco lo sguardo del Maestro,
come una calamita fissarsi su di lui,
e una voce:” Zaccheo, oggi starò a casa tua!…”
Un salto e poi il cercare un varco
tra la folla  che fa cerchio intorno.
Il piccolo esattore spingendo,
è ora con i dodici e il Maestro.
E parlano tra loro, mentre mormorii
nascono sulla bocca degli astanti.
E nella casa di Zaccheo entrò Gesù,
e da quella casa usci il peccato antico.
In quella casa entrò la grazia del Signore,
e da essa uscì Zaccheo, uomo nuovo.
Pierluigi Mirra

ZACCHEO
Mentre il Maestro a Gerico 
inizia la salita,
tu, Zaccheo, scendi dalla tua casa
e improvvisamente ti ritrovi
travolto da una fiumara umana
che ti spintona, ti avvolge, ti trascina.
Ma ecco che vicino
intravedi il sicomoro
e salvezza improvvisa
ecco ti offre l’albero frondoso.
Ti sollevi con immane fatica,
afferri un robusto ramo amico,
ti arrampichi e infine in alto arrivi.
Ora il tuo sguardo
libero spazia sull’affollata strada
e avvolto in una bianca luce
Il Maestro avanza e ti scova attento.
Si smorza l’assordante grido della folla
E la sua voce amica ti invita:
“Scendi subito Zaccheo,
oggi voglio fermarmi a casa tua! ”.
E tu ora agile ti muovi,
incroci il suo sguardo atteso,
spalanchi la porta del tuo cuore
ai poveri, che ora sono per te
fratelli e amici.
Rosarita De Martino


Alla sera di questa vita, mi presenterò davanti a te con le mani vuote, non ti chiedo infatti, Signore, di contare le mie opere. Tutte le nostre giustizie sono imperfette ai tuoi occhi. Voglio quindi rivestirmi della tua stessa Giustizia e ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di Te stesso. Non voglio altro Trono e altra Corona che te, o Amato!...
Santa Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo



Alla sera della vita saremo giudicati sull'amore. 
S. Giovanni della Croce
Una lacrima per i defunti evapora, 
un fiore sulla tomba appassisce, 
una preghiera, invece, 
arriva fino al cuore dell'Altissimo.
Dio e uomo  
Dio è soprattutto Dio sulla croce
e soprattutto uomo nella resurrezione.