mercoledì 30 aprile 2014

NON SOLO PAROLE NUOVE La Chiesa di Francesco raccontata dal "suo" teologo


Conversazione tra il vaticanista Paolo Rodari e monsignor Víctor Manuel Fernández, nel volume "Il progetto di Francesco. Dove vuole portare la Chiesa". Teologo e rettore della Pontificia Università Cattolica argentina di Buenos Aires, creato arcivescovo da Papa Francesco, è stato uno dei più stretti collaboratori dell’allora cardinale Bergoglio nella stesura, nel 2007, del documento di Aparecida
Giovanna Pasqualin Traversa


Che il Papa venuto “quasi dalla fine del mondo” avrebbe portato una ventata nuova nella Chiesa si era intuito subito, fin dalla sua prima apparizione sulla Loggia delle benedizioni, la sera del 13 marzo dello scorso anno davanti ad una folla bagnata. A sorpresa, come l’improvvisa e provvidenziale interruzione della pioggerellina insistente che, complice la notizia della fumata bianca, aveva mandato in tilt il traffico di Roma e costretto a lunghe scarpinate verso piazza san Pietro. Ombrelli chiusi dunque, distanza ridotta tra le persone, quell’atmosfera sospesa che precede un grande evento, in mezzo a chi fino a poco prima azzardava pronostici, non ultimo quello del gruppetto di ragazzi accanto a noi, certi che il nuovo Papa sarebbe stato argentino come quel Messi, autore, la sera prima, di una memorabile doppietta contro il Milan nel ritorno degli ottavi di Champions League. Un modo informale, inedito per immaginare un Papa, ma rivelatosi con il senno di poi non così lontano dalla realtà.
La sensazione è al tempo stesso di rinnovamento, anzitutto spirituale e fondato sulla conversione del cuore, e di continuità, ma da un diverso angolo prospettico, quello appunto della “fine del mondo”, della “periferia” perché, spiega lo stesso Papa Francesco, la realtà si percepisce “meglio dalla periferia piuttosto che dal centro”. Una Chiesa dunque che esce da se stessa, non chiusa o autoreferenziale, una Chiesa che abbraccia e non esclude; missionaria e “ospedale da campo”, “povera e per i poveri”, “samaritana”. Ma non dovrebbe essere così da sempre? E le periferie non erano forse amate anche da Gesù che proprio in una di esse decise addirittura di nascere? Quale, allora, la novità del Pontefice, e dove Francesco sta portando e porterà la Chiesa? A cercare le risposte a domande che tutti si stanno ponendo da mesi è Paolo Rodari, vaticanista del quotidiano “Repubblica”, dando voce a monsignor Víctor Manuel Fernández, teologo e rettore della Pontificia Università cattolica argentina di Buenos Aires, creato arcivescovo da Papa Francesco in una delle sue primissime nomine episcopali, e uno dei più stretti collaboratori dell’allora cardinale Bergoglio nella stesura, nel 2007, del documento di Aparecida. Dalla conversazione tra i due nasce il volume “Il progetto di Francesco. Dove vuole portare la Chiesa” (ed. Emi 2014), sviluppatosi intorno all’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, autentico programma di pontificato. 
Le persone cambiano quando si sentono amate; per questo, secondo il Pontefice, la Chiesa deve annunciare anzitutto il “cuore” del Vangelo: l’amore e la misericordia del Padre, quell’essenziale che attrae perché risponde alle esigenze più profonde dell’uomo e consente la successiva ricezione, al suo interno, di precetti e principi morali. Sano realismo che fa gli fa rilanciare la “gerarchia nelle verità” affermata da San Tommaso e riproposta dal Concilio, e si traduce in opzione per il positivo rispetto al negativo: è preferibile, ad esempio, parlare della bellezza del matrimonio e dell’armonia creata dall’alleanza uomo-donna che non tuonare contro le nozze gay. Nell’affermazione dei cosiddetti principi “non negoziabili” il Papa chiede insomma stile, proporzioni e accenti diversi. E proporzione, chiarisce mons. Fernández, “non è mutilazione” del messaggio evangelico. Puntualizzazione oggi necessaria di fronte a chi, “sfigurando l'insegnamento di Benedetto XVI”, ha sostenuto che da quei princìpi dipendesse tutto l'insegnamento della Chiesa, deformando così il volto del cristianesimo. Per questo sono ingiusti gli attacchi e le critiche più o meno velate che oggi Francesco riceve da taluni settori del mondo cattolico e non, e da “fanatici” che finiscono per “convertire alcuni princìpi in una battaglia permanente”. Sui temi etici, in particolare la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale, il Pontefice è “molto categorico” ma altrettanto convinto, come scrive nell’“Evangelii Gaudium”, che ogni verità si comprenda meglio “se la si mette in relazione con l’armoniosa totalità del messaggio cristiano” in cui tutte le verità “si illuminano reciprocamente”. E il cuore della fede è sempre e solo il kerygma. 
Papa Francesco è uomo che tende sempre la mano e, coerente con la sua idea di “cultura dell’incontro”, nella riforma della Curia romana sembra optare per un processo “gentile”, senza imposizioni dall’alto. Per alcuni temi “sensibili” ha chiesto che vengano discussi e approfonditi all’interno di specifici Sinodi. Uno stile, anch’esso, che non gli risparmia riserve e critiche, osserva mons. Fernández, da chi non riesce a cogliere lo spirito di fede e carità che lo sottende e si arrocca su un presunto “onore della Chiesa” da preservare. Ma Francesco procede sicuro: i suoi gesti, le sue parole e azioni, che tanta eco suscitano in tutto il mondo e a volte fanno discutere, sono quelli di chi non si perde in discussioni oziose ma ha ben chiaro davanti a sé l’obiettivo, con la pazienza e i tempi necessari per conseguirlo.
Fonte:agensir

RAPITO DA 9 MESI Tutti con la famiglia per padre Dall'Oglio


“Chiediamo a chi lo detiene di dare a Paolo la possibilità di tornare alla sua libertà e ai suoi cari, e a tutte le istituzioni di continuare ad adoperarsi in tal senso”. Trentadue parole, centosessantotto caratteri. Sta tutto racchiuso in questo spazio, se ci si limita al “contatore” telematico, l’appello che i familiari del gesuita padre Paolo Dall’Oglio, rapito in Siria il 29 luglio 2013, lanciano oggi, in coincidenza con l’anniversario dei nove mesi dal suo sequestro. Dall’Oglio, 59 anni, romano, è scomparso nella regione settentrionale di Raqqa e, secondo quanto reso noto nei giorni scorsi da fonti degli insorti, sarebbe vivo e in mano ai fondamentalisti islamici dell’Isis, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Tutte le fonti hanno finora confermato che padre Paolo è vivo e si trova in una delle prigioni dell’Isis - formazione di derivazione qaedista ma in conflitto con l’altra fazione ispirata ad Al Qaeda, il Fronte al-Nusra - che da oltre un anno ha conquistato ampie zone della Siria Nord e Nord-Orientale. Da parte dell’unità di crisi del ministero degli Esteri italiano la vicenda viene seguita con il massimo riserbo. Fonti vicine ai negoziati “in corso” hanno riferito che da mesi ci sono contatti a vari livelli in Siria e all’estero per la sua liberazione.
Fin qui la cronaca. Ma nessuna parola umana è in grado di descrivere adeguatamente l’instancabile impegno degli “apostoli della pace” dei nostri giorni, che pagano prezzi altissimi semplicemente per il fatto di prendere posizione. Mai per la guerra e la violenza, sempre per il dialogo e la riconciliazione. Sempre a favore dell’uomo, e mai per tutte le caricature che ne deformano le sembianze fino ad arrivare ad annientarlo. Trentadue parole, centosessantotto caratteri. Un appello essenziale, sobrio, riservato, asciutto, che i lettori del Sir e dei settimanali cattolici si sentono di condividere, e lo fanno con fermezza e con slancio, in tutta la sua drammatica attualità e urgenza. Ricordando, insieme a padre Dall’Oglio, anche i due missionari vicentini rapiti in Camerun all’inizio del mese, Gianantonio Allegri e Giampaolo Marta, e i religiosi e le religiose che hanno subito la stessa sorte in Iran, Iraq e in molte altre parti del mondo. “Penso a padre Paolo”, aveva detto Papa Francesco il 31 luglio scorso, due giorni dopo che si erano perse le tracce del suo confratello. E nell’udienza del 9 aprile, Francesco ha citato il nome di un gesuita che ha perso la vita in Siria, padre Freans van der Lugt, per ripetere il grido di dolore - “Basta violenza in Siria!” - che aveva caratterizzato la giornata di preghiera del 7 settembre scorso, in piazza San Pietro. “Nel silenzio della Croce tace il fragore delle armi e parla il linguaggio della riconciliazione, del perdono, del dialogo, della pace”, il grido sussurrato del Papa. Perché la violenza, e la guerra, non portano mai in quella direzione.

Fonte: agensir

lunedì 28 aprile 2014

S.Giovanni Paolo II....la sua poesia più bella...la sua immagine più familiare.....



            Lo stupore

Seno di bosco discende
al ritmo di montuose fiumare.
Questo ritmo mi rivela Te,
il Verbo Primordiale.
Com'è stupendo il Tuo silenzio
in tutto ciò che da ogni dove propala
un mondo reale...
che assieme al seno di bosco
scende giù da ogni versante...
tutto ciò che con sé trascina
l'argentata cascata del torrente,
che dal monte cade ritmato,
trasportato dalla propria corrente...
- dove trasportato?

Che hai detto, torrente di monte?
In che luogo t'incontri con me?
Con me che sono altresì perituro
come te, siffatto...
Ma cosiffatto come te?
(Di fermarmi qui, acconsenti -
consentimi di fermarmi al varco,
ecco uno di questi semplici portenti. )
Non si stupisce una fiumara scendente
e silenziosamente discendono i boschi
al ritmo del torrente
- però un umano si meraviglia.
Il varco che un mondo trapassa attraverso l'uomo
è dello stupore la soglia,
(una volta, proprio questo portento fu nominato "Adamo". )
Ed era solo, col suo stupore,
tra le creature senza meraviglia
- per le quali esistere e trascorrere era sufficiente.
L'uomo, con loro, scorreva sull'onda dello stupore!
Meravigliandosi, sempre emergeva
dal maroso che lo trasportava,
come per dire a tutto il mondo:
"fermati! - in me hai un porto,
in me c'è quel luogo d'incontro
col Primordiale Verbo" -
"fermati, questo trapasso ha un senso,
ha un senso... ha un senso... ha un senso!"
 Papa Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla) 

giovedì 24 aprile 2014

OBBEDIRE E' MEGLIO: IL NUOVO LIBRO DI COSTANZA MIRIANO



Parlo dei miei amici che mi hanno insegnato l'obbedienza: alla propria realtà, alla vita, alla vocazione, al matrimonio, ai figli

di Camillo Langone

Costanza, cosa preparerai di bello per il pranzo di Pasqua? Io infornerò l'agnello e spero che non si asciughi troppo, è la cosa che più mi preoccupa.
Da me il piatto forte sarà l'agnello in fricassea.
Non ricordo com'è l'agnello in fricassea.
Cotto semplicemente con olio sale e pepe. A fine cottura si aggiunge un uovo sbattuto e il succo di un limone. Una vecchia ricetta imparata come tutte dalla mamma, che a sua volta l'ha imparata da qualche donna della famiglia. Lo servirò con i carciofi, le erbe amare, la scarola...
E cosa stai preparando di bello per i tuoi lettori anzi lettrici? (Mi piace sminuire le scrittrici ipotizzando che il loro pubblico sia solo femminile mentre io mi voglio immaginare scrittore per entrambi i sessi).
A proposito di agnello ho appena consegnato alla Sonzogno un libro che uscirà a metà maggio: si chiama "Obbedire è meglio" e il sottotitolo è "Le regole della compagnia dell'agnello". La compagnia sono i miei amici che mi hanno insegnato appunto l'obbedienza: alla propria realtà, alla vita, alla vocazione, al matrimonio, ai figli...
Orrore! L'obbedienza ai figli?
L'obbedienza nel senso che, se sei sposato e hai figli, anche se dici o pensi di non amare più il marito o la moglie devi rimanere nella tua condizione, ubbidendo alla necessità di custodire i figli.
Adesso ho capito.
Devo anche farti notare che i miei libri non li leggono solo le femmine!
Mah. Passando ad altro: tu che vai a messa più di me e per giunta a Roma, con Papa Francesco hai notato un aumento della partecipazione? Io no, ma vivo a Parma, città straordinariamente impermeabile allo Spirito.
Devo dire la verità, sì. Nella parrocchia dove vado a messa tutte le mattine c'è davvero più gente. Io prima ero molto fiera di essere Miss Messa, sai, mi piace vincere facile, ero l'unica under settantacinque... Invece ultimamente almeno una decina di nuove persone si sono aggiunte. Non è una folla, ma è un aumento sensibile.
E riguardo le confessioni? Il Papa punta molto sulla confessione, trovo molto importante la foto in cui si confessa inginocchiato: non capisco cosa possa fare di più per rilanciare questo sacramento.
Non sono in grado di dire se le confessioni siano aumentate, dovrei chiedere a padre Maurizio Botta o a padre Emidio Alessandrini, due fra i tanti che a Roma trascorrono ogni giorno ore e ore a confessare. Però posso dire che facendo delle interviste per Rai Vaticano ho raccolto testimonianze di persone che grazie a questo Papa non hanno più paura di avvicinarsi al confessionale.
Io saranno vent'anni che non mi confesso, ogni domenica ci penso se non altro perché vorrei comunicarmi, poi lascio perdere perché odiare odio meno, ma disprezzare disprezzo sempre tanto. E mentre so che odiare non va bene, non sono tanto sicuro che disprezzare persone disprezzabili non sia giusto.
Dovresti confessarti: attraverso il sacramento Dio ci guarisce. Non è per chi ha superato il problema, ma per chi ne soffre. I sacramenti sono per gente disperata, fiacca, traditrice. La confessione non è la terapia, è la tac, la risonanza magnetica, l'accertamento medico. La terapia è l'obbedienza alla nostra realtà.
A proposito di persone disprezzabili, tu conosci, a parte monsignor Luigi Negri, qualche uomo di chiesa che negli animalisti riconosca i nemici dell'uomo, gli eterni gnostici?
Be', conosco un prete che ha insegnato a mio figlio a sparare agli uccelli.
Sparare agli uccelli? Fantastico!
Ha portato Tommaso in cima al campanile e hanno sparato ai piccioni col fucile.
Purtroppo è vietato e non ti chiederò il nome di quel prete meraviglioso. Oggi è pieno di persone che si dicono cristiane e poi scopri che sono vegetariane. Se a Pasqua incontri qualcuno che si rifiuta di mangiare l'agnello tu cosa gli dici?
Gli dico che se vuole essere vegetariano faccia pure, ci sono tante patologie psichiatriche in giro, e poi visto da vicino nessuno è normale. Gesù la carne la mangiava, Dio ce l'ha data per nutrirci e non possiamo essere più sapienti di Dio. Gli direi anche che, certo, è bene non maltrattare gli animali per il gusto di farlo, ma mangiarli è perfettamente nel disegno di Dio, mentre nessuno si preoccupa dei bambini uccisi quando stanno al sicuro sotto il cuore della loro mamma. Un vegetariano che non sia antiabortista è ridicolo.
Tu pensi che il Papa riuscirà a impedire apostasia e apocalisse? Io ad esempio non capisco perché non abbia chiuso lo Ior e buttato via la chiave. Speravo che il proscioglimento di Gotti Tedeschi rendesse evidente a tutti la natura irredimibile dello Ior che lo aveva calunniato.
Gotti Tedeschi è una persona della cui onestà e competenza non ho mai dubitato perché lo conosco personalmente, e anche se non so niente né di Ior né di finanza mi era molto dispiaciuto il trattamento che aveva subìto. Sono contenta che la giustizia gli abbia dato ragione. Mi piacerebbe che il Papa lo incontrasse e gli desse modo di spiegarsi anche con lui.
Ma tu sei ottimista o pessimista? Il figlio dell'uomo, quando tornerà, troverà la fede sulla terra?
Non lo so, se lo chiedeva anche Gesù. Io penso che ci siano domande di cui non mi devo occupare, sai quella frase che sta sui gadget cattolici? "Dio esiste ma non sei tu, rilassati". Ecco, io sono rilassata su queste questioni. Piuttosto sono molto molto preoccupata di fare bene la mia parte nel disegno divino.
Cercherò di rilassarmi, e di cuocere bene l'agnello.
Buona Pasqua, Costanza.
Buona Pasqua, Camillo.

Nota di BastaBugie: per informazioni sui precedenti libri di Costanza Miriano clicca nei link seguenti
1) SPOSATI E SII SOTTOMESSA
Pratica estrema per donne senza paura
Conferenza di Costanza Miriano e Mario Palmaro
http://www.amicideltimone-staggia.it/it/edizioni.php?id=2
2) SPOSALA E MUORI PER LEI
Uomini veri per donne senza paura
Conferenza di Costanza Miriano e Giorgio Carbone
http://www.amicideltimone-staggia.it/it/edizioni.php?id=56

Titolo originale: La compagnia dell'agnello
Fonte: Il Foglio, 16/04/2014
Pubblicato su BastaBugie n. 346


Fonte: bastabugie.it

DOPO LA DECISIONE DEL GOVERNO Archivi delle stragi? È grandissimo il potere dei burocrati


Daria Bonfietti, presidente dell'Associazione familiari vittime della strage di Ustica, mette in guardia: "Non sempre vi sono comportamenti corretti. Ad esempio, c'è chi ha avuto per le mani un tracciato radar e, anziché consegnarlo il giorno dopo al magistrato, lo ha nascosto. Così pure l'uso della secretazione dipendeva dalla linea politica che alcune persone portavano avanti"
Francesco Rossi

Una possibilità per affermare la verità storica e politica su vicende oscure della storia d’Italia a cavallo tra anni Sessanta e Ottanta.Daria Bonfietti, presidente dell’Associazione familiari vittime della strage di Ustica, vede positivamente il decreto del governo Renzi con il quale sono stati “declassificati” i documenti relativi alle stragi di Ustica (1980), Peteano (1972), Italicus (1974), piazza Fontana (1969), piazza della Loggia (1974), Gioia Tauro (1970), stazione di Bologna (1980) e Rapido 904 (1984).

Pare che Renzi abbia fatto cadere il “segreto di Stato” – così titolano alcuni quotidiani – su queste stragi, eppure in realtà parliamo di altro…
“Per troppi anni è invalso l’uso di questo slogan, perché colpisce l’immaginario collettivo, così ancora oggi lo troviamo a sproposito. Su queste stragi non è mai stato posto il segreto di Stato dai governi verso i magistrati che hanno indagato. Ci sono invece criteri di riservatezza posti su atti e documenti prodotti al riguardo”. 

Dunque, a cosa si riferisce il decreto? 
“Il presidente del Consiglio ha tolto la secretazione su tutti gli atti che la pubblica amministrazione ha compiuto rispetto a queste vicende. Tutti i dipendenti della pubblica amministrazione, dei ministeri e dei servizi segreti sono tenuti a rispettare delle procedure nel registrare le loro carte, secondo vari livelli di segretezza. Queste, oggi, sono molto importanti per una ricostruzione storica e politica delle stragi che hanno sconvolto il nostro Paese”. 

Ci sono degli elementi che possono venire alla luce, rimasti finora nascosti in qualche archivio nonostante le indagini della magistratura e i processi? 
“Sulle stragi si sa già tanto. Per esempio, che la bomba alla stazione di Bologna l’hanno messa Mambro e Fioravanti, o che l’aereo di Ustica è stato abbattuto. Ci mancano però altre informazioni, che si possono raccogliere andando ad analizzare documenti e testimonianze succedutesi nel tempo. La ricostruzione storica e politica è molto importante per scrivere le motivazioni vere di ciascuna strage. Pubbliche amministrazioni, ministeri, servizi segreti sono fatti da uomini: ciascuno aveva le sue idee, predisposizioni, i suoi orientamenti politici, serviva un padrone piuttosto che un altro. Tutto questo ha influito sulle indagini”. 

Dice che i giudici non hanno fatto luce, nonostante ci fossero i documenti? 

“I giudici non potevano sapere dov’erano certi documenti, né conoscere certe posizioni. Ci sono elementi che vengono fuori nel corso della storia, magari quando il procedimento giudiziario è già chiuso. Tutte queste carte ora devono confluire all’archivio di Stato affinché gli storici – e anche i magistrati se hanno riaperto delle indagini – possano andare a verificare per stabilire verità più complete. Da presidente del Copasir, Massimo D’Alema ci disse che aveva trovato 103 archivi in pubblici uffici ai quali neppure lui riusciva ad accedere. Ci sono però delle regole anche nella secretazione degli archivi, e questo è il momento scelto da Renzi per rendere pubblici, nel rispetto della legge, determinati documenti”. 

Tutti gli atti ora dovrebbero confluire all’Archivio di Stato: operazione lunga e impegnativa. Non c’è il rischio che alcune carte “scomode” restino in qualche scantinato, o vadano definitivamente distrutte? 
“Non c’è dubbio che il potere della burocrazia è grandissimo. Non sempre vi sono comportamenti corretti: proprio di questo stiamo parlando. Ad esempio, c’è chi ha avuto per le mani un tracciato radar e, anziché consegnarlo il giorno dopo al magistrato, lo ha nascosto. Così pure l’uso della secretazione dipendeva dalla linea politica che alcune persone portavano avanti”. 

Cosa avverrà della mole di atti e documenti che arriveranno all’Archivio di Stato? 
“Mi chiedo come si riuscirà nel breve/medio periodo a dare corso a questo processo di ricostruzione storica. Ci vogliono delle grandi risorse umane e finanziarie, con professionisti in grado d’intervenire e di utilizzare in maniera corretta questo materiale. Altrimenti il provvedimento varato dal governo resta lettera morta, con il rischio di fare della demagogia”.

Fonte: agensir

Minacce alla pace in Filippine e Afghanistan

Afghanistan, spoglio dei voti delle elezioni presidenziali del 5 aprile

di Michele Zanzucchi

fonte: Città Nuova
7 giorni, 7 notizie: un fungo minaccia le banane; chiude Abu Ghraib; dialogo in Venezuela; pacificazione nella Penisola araba; violenze a Basilan; brogli a Kabul; palestinesi e Shoah

Mercoledì 16 aprile: allarme banane
Si chiama “malattia di Panama” – o Fusarium wilt – il fungo parassita che ha contaminato intere piantagioni in Asia, Africa e Medio Oriente. Il timore espresso dalla Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’agricoltura e l’alimentazione, è che il fungo rapidamente arrivi anche in America Latina e nei Caraibi, principali produttori di banane al mondo. Il problema è duplice, come si può ben intuire: da una parte è l’equilibrio nutrizionale delle regioni colpite (si mangiano banane come il pane) che fa paura, dall’altro è il riflesso sul commercio di questi Paesi e sull’influenza sul Pil di decine di diverse nazioni produttrici. Non esiste cura e il fungo può sopravvivere 30 anni: quindi per il momento c’è spazio solo per la prevenzione.
Giovedì 17 aprile: chiude Abu Ghraib
Finalmente il ministro della Giustizia iracheno ha decretato la chiusura di uno dei luoghi più tristi legati all’azione in Iraq degli Stati Uniti con i suoi alleati, nel 2003. Si tratta del carcere di Abu Ghraib, che ancora contiene 2400 detenuti, teatro di torture e abusi sui detenuti prima da parte di Saddam Hussein e delle sue milizie, poi degli stessi statunitensi. 32 chilometri da Baghdad, 115 ettari, 24 torri di guardia: la prigione verrà svuotata per motivi di sicurezza, visto che il luogo appare sempre più nel mirino dei terroristi.
Venerdì 18 aprile: Venezuela, si dialoga
Le trattative tra il governo del presidente Maduro e le opposizioni sono giunte al loro secondo appuntamento. Nulla di particolarmente risolutivo, ma le parti continuano a parlarsi. Brasile, Colombia ed Ecuador sono promotori del dialogo, dopo mesi di disordini, 41 morti e più di seicento feriti, mentre il degrado economico del Paese pare giunto a un punto di non ritorno. Grande peso viene dato, nei fatti, alla mediazione della Santa Sede, in particolare del suo nunzio, mons. Aldo Giordano. Che cerca di tenere assieme un dialogo apparentemente impossibile.
Sabato 19 aprile: ricucitura nella Penisola araba
Il Qatar da qualche tempo ha alzato la cresta. La piccola penisola che si erge nel Golfo Persico dalla più grande Penisola araba, forte di una ricchissima dotazione di fondi sovrani, attivissima in campo immobiliare e nell’acquisizione di partecipazioni azionarie in aziende europee e statunitensi, da qualche tempo fa cavaliere solo rispetto ai suoi vicini della Penisola. Così sul dossier siriano, così su quello egiziano, con un parallelismo notevole nei confronti della politica estera Usa. Il 5 marzo Arabia Saudita, Emirati e Bahrein avevano ritirato i loro ambasciatori accusando il Qatar di ingerenze nei loro affari interni. Ora la riconciliazione, i cui termini non sono ancora noti.
Domenica 20 aprile: pace difficile nelle Filippine
A Basilan, isola meridionale dell’arcipelago filippino, sono ripresi i violenti scontri tra le forze governative e i guerriglieri del Fronte islamico di liberazione Moro (Milf). L’accordo di pace, siglato il 27 marzo scorso, prevedeva la creazione di una zona autonoma musulmana nel sud dell’isola di Mindanao, il disarmo dei guerriglieri ed elezioni regionali per un Parlamento autonomo. Tutto sembra ora rimesso in questione, anche perché non pochi a Manila criticano l’accordo, stipulato con un gruppo che ha legami ideologici e parentali con il gruppo qaedista di Abu Sayyaf.
Lunedì 21 aprile: le schede perse dell’Afghanistan
Dopo le elezioni presidenziali del 5 aprile, il caos sembra regnare negli organismi statali deputati alla divulgazione dei risultati elettorali. Le accuse di brogli e di irregolarità procedurali si accavallano con i primi risultati che trapelano dalle maglie della complessa burocrazia afghana. La competizione, che sembra ormai riguardare solo l’ex ministro delle Finanze Ashraf Ghani (32 per cento delle preferenze) e l’ex ministro degli Esteri Abdulla Abdullah (44 per cento), pare dover continuare a lungo. Dopo tredici anni di presidenza Karzai, la situazione rischia di diventare ancora più caotica di quanto non lo fosse prima delle elezioni.
Martedì 22 aprile: Abu Mazen e la Shoah
Grandi speranze si accendono in Israele per il messaggio che il presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, starebbe per indirizzare ai vicini israeliani in occasione della Giornata della memoria della Shoah, che sarà celebrata il 28 aprile prossimo. Il giornale israeliano progressista Haaretz, sembra, è venuto a conoscenza del progetto. E tutto ciò dopo che una trentina di universitari palestinesi hanno fatto visita ad Auschwitz.

martedì 22 aprile 2014

"Voglio la mamma" diventa associazione



Avevamo detto resistenza? Faremo resistenza davvero. Voglio la mamma sarà più di un libro. Il 25 aprile ci costituiremo ufficialmente in associazione, con l'ambizione di ramificarci in tutti gli ottomila comuni italiani: un circolo in ogni borgo, quartiere, città. Con aggregazioni provinciali e regionali che dovranno svolgere cinque compiti precisi:

1. DIVULGARE "VOGLIO LA MAMMA" E I 20 PUNTI. Il quattordicesimo capitolo di "Voglio la mamma" noto come "I 20 punti" rappresenta la sintesi-manifesto del nostro impegno associativo. Chiunque voglia combattere per l'affermazione per uno o più punti del manifesto, divulgandolo e ampliando dunque le sacche di resistenza all'affermazione del caos irrazionalistico, è invitato a partecipare al lavoro dell'associazione.

2. EVIDENZIARE L'ESSENZIALE. Gli attivisti di "Voglio la mamma", che tra loro e con gli altri si chiameranno "amici", lavoreranno per evidenziare l'essenziale dell'essere umano, che si declina su tre questioni: nascere, amare, morire. Rispetto all'essenziale è inaccettabile qualsiasi forma di compravendita o oppressione, così come qualsiasi deviazione dal diritto naturale, partendo sempre piuttosto dalla tutela del diritto del più debole.

3. PROMUOVERE L'AMICIZIA. Ogni circolo di "Voglio la mamma" lavorerà per sostenere in amicizia ogni attività di associazioni e singoli che si ritrovino nelle idee promosse con "i 20 punti". In termini esemplificativi saremo al fianco di Manif pour tous per l'attività di sostegno alla famiglia naturale, delle Sentinelle in piedi per l'attività di difesa della libertà di espressione, della Marcia per la vita per il diritto dei bambini a nascere e degli anziani malati a non essere soppressi, mettendoci a disposizione in termini concreti di tutte le realtà laiche ed ecclesiali con cui in amicizia saranno evidenziabili ragioni d'amicizia.

4. INTERAGIRE CON LE ISTITUZIONI. L'attività di costante monitoraggio del territorio sarà compito principale di ogni circolo di "Voglio la mamma", con la finalità di interagire con le istituzioni per segnalare tutte le violazioni dei diritti dei più deboli a partire dai bambini e dagli anziani malati. Particolare attenzione sarà rivolta alla corretta attività delle istituzioni scolastiche, affinché non sia scippato ai genitori il diritto di educare i propri figli, e alle realtà ospedaliere e di cura, affinché non vengano compiute violazioni in materia di diritto alla vita. Particolare attenzione sarà richiesta ai circoli di "Voglio la mamma" rispetto alle modulistiche e agli aspetti burocratici con cui le amministrazioni locali dovessero provare a violare i diritti della famiglia, ad esempio sostituendo alla dicitura "madre" e "padre" la definizione "genitore 1" e "genitore 2".

5. CONTRIBUIRE ALL'OSSERVATORIO "VLM". Ogni settimana verrà inviata via email agli amici soci di "Voglio la mamma" copia di "VLM" che sarà un osservatorio settimanale sui temi analizzati dal volume. I circoli territoriali sono chiamati a contribuire alla redazione dell'osservatorio, inviando notizie e denunce raccolte nel proprio ambito locale. "VLM" diventerà così uno strumento di costante informazione per rendere note a livello nazionale le violazioni al diritto dei più deboli che verranno perpetrate a livello locale.

Per richiedere le modalità di costituzione di un circolo "Voglio la mamma" basterà scrivere a adinolfivogliolamamma@gmail che è l'email a cui si possono anche richiedere copie del libro, a un mese dall'uscita ormai esaurito in libreria e in attesa della seconda ristampa. Il tour di presentazione del volume, che ripartirà sabato prossimo 26 aprile da Palagiano in provincia di Taranto dove poche settimane fa è stato ucciso dalla criminalità organizzata un bambino di tre anni, sarà anche occasione per presentare alla stampa e alle istituzioni locali i circoli dell'associazione, ove siano costituiti.

La vita è sacra ed è il primo dei diritti


I bambini hanno diritto a un padre e a una madre

Incontrando l’Ufficio internazionale per l’Infanzia e il Movimento per la Vita, Papa Francesco ha detto che “Occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo …. In una società ben costituita, i privilegi devono essere solo per i bambini e per gli anziani. Perché il futuro di un popolo è in mano loro! I bambini, perché certamente avranno la forza di portare avanti la storia, e gli anziani perché portano in sé la saggezza di un popolo e devono trasmettere questa saggezza”. E ancora: "L'aborto e l'infanticidio sono delitti abominevoli".

Link ai testi completi

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/speeches/2014/april/documents/papa-francesco_20140411_movim-per-la-vita_it.html

http://www.vatican.va/holy_father/francesco/speeches/2014/april/documents/papa-francesco_20140411_ufficio-cattolico-infanzia_it.html r />

Fecondazione et eterologa?


Tra inverno demografico e ricerca di un figlio a qualunque costo


Sono sempre di forte attualità le sfide portate dalla biotecnologia alla procreazione umana. Nel panorama internazionale sono molti i Paesi dove è possibile il ricorso alla fecondazione eterologa. In ultimo anche l’Italia: è recente la sentenza della Corte costituzionale che ha abolito il divieto di fecondazione eterologa medicalmente assistita, aprendo di fatto uno scenario problematico e preoccupante.

Nel link di seguito (http://www.avvenire.it/Lettere/Pagine/direttore-risponde-uteri-in-affitto-verita-stravolta.aspx ) è disponibile il Dossier raccolto dal quotidiano cattolico “Avvenire” sull’argomento e dove, tra l’altro, si trovano interventi sull’attuale legislazione in altri Paesi (Gran Bretagna, Francia, India, U.S.A., America Latina, Russia, Cina) dove la fecondazione eterologa e il cosiddetto fenomeno dell’ utero in affitto è legale o comunque consentito. Da parte nostra mettiamo a disposizione, in allegato e nelle varie lingue disponibili, l’articolo “Procreazione assistita e FIVET” di Jean-Louis Bruguès, contenuto nel Lexicon (Termini ambigui e discussi su famiglia vita e questioni etiche) a cura del Pontificio Consiglio per la Famiglia. L’articolo, pur non essendo particolarmente aggiornato sugli ultimi sviluppi tecnologici e giuridici, è tuttavia un prezioso strumento per inquadrare correttamente la problematica.
Lexicon - Assisted Procreation and IVF-ET (arabic version).pdf
Lexikon - Assistierte Fortpflanzung und In-vitro-Fertilisation mit Embryo-Transfer.pdf
Lexicon - Assisted Procreation and IVF-ET (russian version).pdf
Lexicon - Procreazione assistita e FIVET.pdf Léxico - Proçriacão assisitida e FIVE FIVET

PACE AD OGNI CASA



Gli auguri del Presidente del PCF, S.E. Mons. Vincenzo Paglia


“In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa!”

Il Risorto chiede ai suoi discepoli di fare come lui ha fatto con la sua vita, morte e resurrezione: entrare nelle case, ovunque e comunque esse siano, e portare la pace vera, quella che il mondo non conosce finché non avrà conosciuto Lui, e il Padre che lo ha mandato.

Auguri per una Pasqua risorta!

Giovanni Paolo II: il "di più" della santità


di P. Aldino CAZZAGO ocd

Dal «santo subito» alla canonizzazione

Domenica 27 aprile giungerà a compimento un evento che ha mosso i primi passi venerdì 8 aprile 2005. In quella ventosa mattina, al termine dell’omelia della messa esequiale, da una stracolma Piazza San Pietro si alzava un grido e una richiesta: dichiarare «Santo subito» quel vescovo proveniente «da un paese lontano» col nome di Karol Wojtyła e vissuto a Roma per 26 anni 5 mesi e 17 giorni con il nome di Giovanni Paolo II, quel vescovo che ora migliaia di fedeli accompagnavano per l’ultimo viaggio. Su quella piazza pareva di essere tornati indietro di qualche secolo quando la canonizzazione non passava attraverso un lungo processo, ma era vox populi.

Il processo o - come si preferisce dire oggi - l’«inchiesta sulla vita, le virtù e la fama di santità» del servo di Dio Giovanni Paolo II era iniziato il 13 maggio 2005, a poco più di un mese dalla sua morte avvenuta, come tutti ricordano, il 2 aprile e si era concluso il 19 dicembre 2009 con il decreto attestante che Giovanni Paolo II aveva vissuto in modo eroico le virtù cardinali e teologali. Il successivo riconoscimento della guarigione dal morbo di Parkinson di suor Marie Simon Mormand per intercessione dello stesso Giovanni Paolo II aveva spalancato le porte della beatificazione avvenuta il 1° maggio 2011.
Il 5 luglio dello scorso anno papa Francesco ha autorizzato la pubblicazione del decreto che riconosce come miracolosa una seconda guarigione: quella di una madre di famiglia del Costa Rica avvenuta proprio il giorno della beatificazione di Giovanni Paolo II. Solo dopo il riconoscimento di questo secondo miracolo, durante il concistoro del 30 settembre scorso, papa Francesco ha annunciato che il Beato Giovanni Paolo II e il Beato papa Giovanni XXIII sarebbero stati canonizzati il 27 aprile del 2014, domenica della Divina Misericordia.

«C’era in lui un qualcosa “di più”»

Commentando ne L’Osservatore Romano il riconoscimento del secondo miracolo, il Cardinale di Cracovia Stanisław Dziwisz, che per molti anni fu segretario di Karol Wojtyła, ha scritto: «Ho passato quasi quarant’anni accanto a un santo, lavorando al suo fianco a Cracovia e in Vaticano. Mi hanno chiesto qualche volta quando Giovanni Paolo II è diventato santo. Penso che lo sia diventato fin dalla giovinezza. Karol Wojtyła era un ragazzo normale, acuto e sensibile, pieno di energia e di gioia di vivere. Ma fin dall’inizio c’era in lui un qualcosa “di più”».
«Ma fin dall’inizio c’era in lui un qualcosa “di più!» ha detto il cardinale Dziwisz. Proviamo allora a chiederci che cosa può significare questo “di più”.
Partiamo da una semplice constatazione. Quando Dio si dona all’uomo lo fa sempre in maniera totale e senza calcolare quello che poi l’uomo farà del dono del suo amore. Per fare un esempio il Dio che si dona a quel bambino che un giorno diventerà San Giovanni Bosco è lo stesso Dio che si dona a un altro bambino che, invece trascurerà o, peggio ancora, tradirà del tutto, non importa qui sapere per quali cause, questo dono. Dove sta allora la differenza? La differenza non sta dalla parte di Dio che è sempre lo stesso, ma dalla parte dell’uomo, nella diversa intensità della loro risposta all’amore di Dio: nel primo caso una risposta piena, nel secondo una risposta scarsa o addirittura mancata del tutto.
Dio offre il suo amore a tutti gli uomini, ma essi, lungo il corso di una intera vita, rispondono in maniera assai differente: chi poco, chi in maniera discontinua, chi per una fase della vita, chi entro una modalità pur buona e chi, durante tutto l’arco della vita, in modo eroico. Il campo di verifica di questa eroicità è meno astratto e impalpabile di quanto si pensi, perché si tratta di una concreta esistenza plasmata dalle virtù cardinali e teologali. Se la vita spirituale di un cristiano si lascia modellare da esse, chi vive accanto a lui ben presto se ne accorge. La cosiddetta fama di santità, necessaria anche solo per dar avvio all’inchiesta sulla vita di un cristiano parte proprio dalla diffusa registrazione di questo dato. L’indagine su tutta la vita di Karol Wojtyła è perciò servita ad accertare che durante la sua esistenza egli ha vissuto in modo eroico, secondo appunto quel “di più”, le virtù che innervano la normale vita cristiana.
Perché l’inchiesta sulla vita di un fedele si concluda positivamente con la relativa beatificazione non è sufficiente che egli abbia scritto bei libri di carattere teologico o spirituale, o abbia compiuto qualche gesto eroico o sia ritenuto “santo” anche solo da un piccolo gruppo di persone. Condizione indispensabile, benché non ancora sufficiente per l’eventuale beatificazione, è accertare, grazie alla testimonianza orale o scritta di testimoni oculari, che il soggetto abbia esercitato in maniera costante, cioè non saltuaria e con animo pronto e colmo d’amore le virtù della fede, della speranza, della carità, quella della fortezza, della prudenza, della giustizia e della temperanza. In una parola, come ha scritto il cardinale Angelo Amato, che egli abbia avuto un «atteggiamento costante – un habitus – di carità, come espressione di una continua comunione di grazia con Dio Trinità».
La lunga e accurata inchiesta sulla vita di Giovani Paolo II non ha fatto altro che confermare quanto per i più stretti collaboratori dello stesso pontefice è sempre stata un’evidenza: l’aver egli condotto, alla luce delle virtù, una vita santa.
Conclusione

Nessuno meglio di un santo percepisce e vive drammaticamente la sproporzione tra l’amore di Dio per lui e la sua risposta, per quanto eroica, a questa sovrabbondanza d’amore. Per il Beato Giovanni Paolo II le cose non sono andate diversamente. Tra i molteplici testi che potrebbero esser portati a dimostrazione di ciò, ci limitiamo ad alcuni versi di Canto del Dio nascosto, composti nel 1944, quando egli ha 24 anni ed è solo un semplice seminarista in una Cracovia, devastata dalla guerra:

«L’amore mi ha spiegato ogni cosa,
l’amore ha risolto tutto per me –
perciò ammiro questo Amore
dovunque Esso si trovi».

All’ultima strofa così conclude:
«O Signore, perdona al mio pensiero che non Ti ama ancora abbastanza,
perdona al mio amore, Signore, ch’è sì terribilmente incatenato al pensiero
che Ti sperde in pensieri freddi come la corrente
e non ti avvolge in brucianti falò».

Il filosofo Stanisław Grygiel, uno dei più profondi conoscitori della vita e del pensiero di Karol Wojtyła, ha raccontato che il giorno dell’elezione, il 16 ottobre 1978, il Cardinale Wyszyński tracciò al Cardinale Léon-Etienne Duval questo ritratto di Giovanni Paolo II: «È un mistico, poeta, pastore, filosofo, santo … ma non è un buon amministratore». Quelle parole non erano solo l’esatta fotografia del periodo polacco della vita del giovane, del sacerdote e vescovo Karol Wojtyła, ma - come l’inchiesta canonica ha accertato - anche l’anticipazione di come avrebbe vissuto da vero discepolo di Cristo redentore dell’uomo.

Fonte: mec-carmel.org

Marco Roncalli: Giovanni XXIII santo perché si abbandonò alla volontà di Dio



“Giovanni XXIII, mediante l’abbandono quotidiano alla volontà di Dio, ha vissuto una purificazione che gli ha permesso di distaccarsi completamente da se stesso e di aderire a Cristo, lasciando così emergere quella santità che la Chiesa ha poi ufficialmente riconosciuto”. Queste parole di Papa Francesco riassumono con efficacia il profilo spirituale Giovanni XXIII che il 27 aprile diverrà Santo.

Lo conferma Marco Roncalli, pronipote e biografo del “Papa buono”, al microfono di Fabio Colagrande:

R. - Va innanzitutto individuato questo filo conduttore che attraversa un po’ tutta la parabola umana e spirituale di Roncalli, che è appunto questo anelito continuo alla santità che noi troviamo documentato - si potrebbe dire - anno dopo anno, stagione dopo stagione, in una lettera, in una pagina di diario, in un testo o in un appunto… Ma troviamo anche la consapevolezza che anche la santità presuppone questa docilità allo Spirito, questo lasciarsi plasmare da Dio. E poi, certo, forse c’era già tutto riassunto, oltre che nei primi aneliti alla santità, nei primi proponimenti quasi angelici che traspaiono nel Giornale dell’Anima, c’è già un primo sigillo proprio in quel motto che lui sceglie quando viene consacrato vescovo, che è appunto "Oboedientia et Pax". Credo che proprio qui sia importante sottolineare come, tra l’altro, questo passaggio è anche già il culmine proprio del senso totale di questa Canonizzazione: c’è proprio l’adesione totale al Vangelo, c’è questa volontà di vivere nella santità, di cercarla come traguardo, ma traguardo possibile, senza nemmeno considerarla un traguardo lontano. Abbandonarsi alla volontà di Dio vuol dire anche che Dio poi ti permette di raggiungere questi obiettivi, che di per sé - nella visione di Roncalli - non sono qualcosa di sovraumano, ma sono - alla portata di tutti nel momento in cui uno ce la metta tutta, ma si lascia anche plasmare da Dio.

D. - Papa Francesco ha voluto canonizzare insieme Papa Roncalli e Papa Wojtyla, con una scelta molto precisa...

R. - Era già successo con Giovanni Paolo II stesso, quando nel Duemila aveva beatificato Pio IX e, appunto, Giovanni XXIII. Oggi si ripete con Francesco che canonizza Papa Roncalli e Papa Wojtyla: questa immagine, una specie di tandem… Alcuni storici commentatori - credo anche con un po’ di buon senso - parlano anche di una specie di bilanciamento, ma bilanciamento in che senso? Che questo concetto di santità può arrivare anche attraverso delle sensibilità molto diverse, perché - credo sia inutile negarlo - sono due Papi con due stili, due sensibilità e forse anche due modi di vivere la santità: in Giovanni Paolo II, mi sembra molto più accentuata questa dimensione mistica, forse anche coltivata nel suo rapporto forte con Dio; in Roncalli è forse più evidente questa sovrapposizione di santità, che è tanto privata quando pubblica. Comunque, in tutte e due i casi direi certamente nella stessa fedeltà al Vangelo.

D. - Già nelle prime giornate del Pontificato di Giovanni XXIII ci furono diversi segni di novità, che sorpresero molti osservatori. Non è vero?

R. - Direi che ci sono dei segnali molto forti: dalla normalizzazione - per esempio - subito della Curia all’ampliamento del numero dei porporati con il nuovo Concistoro, che non si faceva da tempo, dando subito - anche in questo - un segno fortissimo dalla figura di Giovanni Battista Montini. Ma poi penso anche a quelle immagini che sono rimaste molto forti, impresse nella mente di chi le ha vissute, di chi le ha viste allora o di chi le rivede anche oggi, quando ripassano nei repertori: il fatto, per esempio, di essere andato subito al Bambino Gesù, a visitare i bambini e poi gli infermi negli ospedali; penso a quel Santo Stefano con i carcerarti di Regina Coeli; ma direi anche nella presa di possesso - come si chiamava allora - in Laterano. Parlando del Laterano - come sapete - lui ci ritorna, subito, alla fine di novembre (del 1958 ndr), quando va a visitare quello che era stato il suo seminario. Anche qui è molto bello richiamare quello che ha detto, a braccio, parlando con i giovani chierici: non solo richiama gli anni della sua formazione, ma a questi alunni del seminario dice subito che “si sente confuso quando ricorre verso di me questo appellativo ‘Santità’”. E poi dice: “Ragazzi, figlioli, pregate il Signore perché mi conceda questa grazia della santità che mi si attribuisce”. E poi aggiunge: “Perché altro è il dire o il crederci e altro è essere santo!”.

D. - Ricordiamo anche che quando Giovanni XXIII, il 25 gennaio del ’59 annuncia a San Paolo fuori le Mura di voler indire il Concilio siamo in un’epoca storica in cui alcuni teologi credono che l’epoca dei Concili debba considerarsi ormai definitivamente chiusa…

R. - Sì, di fatto, in apparenza con questa definizione anche dell’infallibilità pontificia, che necessità c’era di far arrivare da ogni parte del globo a Roma più di 2.800 padri? Invece qui è la forza e il coraggio di Giovanni XXIII, che con una decisione straordinariamente - direi proprio - personale - perché sì si consulta con qualche immediato collaboratore, ma non è che fa studiare, come tanti suoi predecessori avevano fatto, questo progetto del Concilio, ma sentendosi anche ispirato, una volta avuto il conforto dal cardinale Tardini e da altre persone - lo annuncia e sbalordisce anche per certi versi e ammutolisce diversi cardinali che apprendono questo annuncio il 25 gennaio del ’59. Da lì in poi, come sapete, il lungo cammino di preparazione, addirittura più lungo dello stesso svolgimento del Concilio, con dei momenti importanti, con dei radiomessaggi, dove era chiaro che Giovanni XXIII invitava veramente la Chiesa a riflettere su se stessa e sulla sua responsabilità verso gli uomini, ad avere questo atteggiamento nuovo. Basterebbe ricordare alcune frasi del famoso discorso Gaudet Mater Ecclesia, quando il Concilio - dopo la preparazione - apre: userei una frase sola, questo ribadire che la Chiesa preferisce usare la medicina della misericordia, un’altra delle parole che torna in modo molto forte in questi giorni.


Radio Vaticana

UN VESCOVO E DUE PAPI - Li ho ammirati per la loro pietà e umanità

Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, rievoca il primo incontro con Roncalli a Parigi nel 1951. La richiesta dal Concilio di proclamarlo Santo per acclamazione e la prudenza di Paolo VI. La spinta della "Pacem in terris". L'incontro con Giovanni Paolo II, nei giorni della lettera all'onorevole Berlinguer. La visita del Papa polacco, in diocesi, il 19 marzo 1990 per incontrare il mondo del lavoro
Luigi Bettazzi

Noi salutiamo il Papa come “Vicario” di Cristo. E se è vero che ogni cristiano per il battesimo è inserito in Cristo (e quindi è “vicario” di Cristo), e il sacerdote, per la sua ordinazione e il suo compito, è - come si diceva un tempo - un “altro Cristo”, il Papa è in misura particolare “Vicario di Cristo” in quanto ne rappresenta e ne continua il compito di grande Profeta, grande Sacerdote, grande Pastore. Assurto a un compito immenso, il Papa resta uomo, con tutte le caratteristiche e i limiti di un’umanità che, pur al servizio dell’umanità perfetta di un Dio che si è fatto uomo, rimane un’umanità imperfetta. Il grande insegnamento che ci ha dato Papa Benedetto con le sue dimissioni è stata la coscienza dei propri limiti, derivata dall’età e dalla situazione concreta, che gli ha fatto trasmettere il “servizio” (ministero) a cui arrivava a sentirsi inadeguato, al nuovo “servitore” che lo Spirito avrebbe designato servendosi dei cardinali.
Ed è così che a suo tempo i cardinali, trovatisi a designare il successore di Papa Pio XII, avevano nominato il cardinale Roncalli come “Papa di transizione” che preparasse il papato all’arcivescovo di Milano, il non ancora cardinale monsignor Montini. Non ebbi modo di incontrare Giovanni perché, accordatosi col mio arcivescovo, il cardinale Lercaro, sulla sostituzione del vescovo ausiliare di Bologna, aveva già firmato la nomina di mons. Baroni a vescovo di Albenga - il che permise ai cardinali di renderla pubblica - ma non aveva firmato la mia, e dovetti attendere la conferma di Paolo VI.
Avevo incontrato il nunzio Roncalli nel 1951 a Parigi, dove m’ero recato per esercitarmi un po’ nel francese, in una visita, suggeritami dal mio arcivescovo di allora (il cardinale Nasalli Rocca di Corneliano). Monsignor Roncalli mi aveva intrattenuto parlando del più e del meno (i francesi dicevano che “era un gran diplomatico”, perché era capace di parlare per due ore... senza dire niente!) e comunicandomi che una dei suoi due hobby, accanto a quello dei libri antichi, era l’interessamento alle visite pastorali di san Carlo Borromeo nella diocesi di Bergamo, dove - riflettei successivamente - portava il Concilio di Trento; e Roncalli si rendeva conto di quanto fosse importante un Concilio ecumenico per la vita della Chiesa.
Va detto che anche l’importanza del Concilio Vaticano II emerse nel suo svolgersi. I documenti preparati riassumevano più o meno quanto si era già detto o fatto; e fu l’assemblea a sollecitare un rinnovamento che guardasse l’avvenire, pur partendo dal passato; e Papa Giovanni ne confermò la volontà. Avremmo voluto che il Concilio lo proclamasse Santo “per acclamazione”, e furono diversi gli interventi e le iniziative in questo senso. Ma Paolo VI, che veniva sollecitato anche perché promuovesse la beatificazione di Pio XII, preferì avviare per ambedue il processo normale di beatificazione.
Lo stemma scelto da Papa Roncalli quando era diventato vescovo si rifaceva al motto del cardinale Baronio “obbedientia e pax”. E aveva sempre accettato tutto per obbedienza. Mi disse una nipote del famoso padre Lombardi - il “microfono di Dio” nel dopoguerra - che questi, recatosi da Papa Giovanni per suggerirgli le innovazioni da portare nella Chiesa, si sentì rispondere: “Ma lei crede che sia qui per governare la Chiesa? Io sono qui per vedere cosa fa lo Spirito Santo”. E la pace fu la seconda grande transizione indotta da Giovanni XXIII. L’essere stato determinante per bloccare lo scontro tra Usa e Urss nella “crisi di Cuba” del 1962 gli suggerì di scrivere la “Pacem in terris”, un’Enciclica sulla pace, rivolta “a tutti gli uomini di buona volontà”. Questo rivolgersi a tutta l’umanità anche al di fuori dei limiti della Chiesa confermava l’invito ai cristiani a non rinchiudersi in se stessi, ma a sentirsi lievito e fermento entro un’umanità in cammino verso il Regno di Dio.
Quest’ultimo aspetto fu da me particolarmente sentito da quando dall’alto mi si propose di assumermi responsabilità (prima nazionale, poi internazionale) all’interno di Pax Christi, Movimento cattolico internazionale per la pace. E questo ha segnato anche il mio rapporto con Papa Giovanni Paolo II, venuto dal mondo dominato dal comunismo. Anche il mio primo incontro, al termine di un’udienza pubblica in cui il segretario italiano fece notare che ero “un vescovo noto in Italia” (aveva fatto clamore lo scambio di lettere con l’on. Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano), e il Papa rispose, incrociando le braccia e con atteggiamento di riprovazione, che “è noto in tutto il mondo!”. Volle anche che lo incontrassi a Castel Gandolfo insieme all’allora presidente italiano di giustizia e pace per rammaricarsi che esprimessimo più critiche verso il mondo occidentale - che era quello in cui vivevamo - che non verso quello comunista, prevedendo - lui che “lo conosceva dal di dentro” - che il comunismo non sarebbe finito se non con una guerra! Ed invece è caduto senza una guerra, grazie a Dio, ma anche grazie al Papa polacco, che ha saputo in vari modi far crescere e difendere l’aspirazione alla libertà al di dentro di quel mondo.
Devo anche aggiungere che Giovanni Paolo II accettò di venire ad Ivrea per una delle visite pastorali che faceva il giorno di san Giuseppe in luoghi tipici del lavoro. E venne il 19 marzo 1990 per il mondo dell’informatica (l’Olivetti) a Ivrea, a cui aggiunsi quello dell’automobile (la Lancia) di Chivasso, e la Messa del 19 all’Abbazia di san Benigno Canavese (l’agricoltura e il terziario). Il Papa fu molto soddisfatto della visita, tanto da ricordarmelo due mesi dopo a Roma, alla beatificazione di Pier Giorgio Frassati.
Sono due Papi che hanno dato tanto alla Chiesa e al mondo. Li ho ammirati per la loro pietà e la loro umanità. Ora li prego per la Chiesa, per il mondo, e anche per me.

Fonte:agensir

Flora Gualdani racconta la sua esperienza sul fronte della vita



Pubblichiamo la prima parte della testimonianza pubblica tenuta da Flora Gualdani nella diocesi di Termoli in occasione della Giornata della donna, l’8 marzo 2014.
Flora sarà premiata il 3 maggio al convegno nazionale per la Vita che si terrà presso Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, tutto il giorno, con incontri tecnici, testimonianze, relazioni per giovani…

IL MIO OSPEDALE DA CAMPO
SUL FRONTE DELLA VITA


Dentro la grotta di Betlemme, nel 1964 un’ostetrica toscana fu travolta da un’intuizione. Mentre il Concilio Vaticano II discuteva, lei apriva un ospedale da campo usando il suo ettaro di eredità. La storia di “Casa Betlemme”, dove l’Humanae vitae ha trovato attuazione grazie agli insegnamenti di Giovanni Paolo II sulla teologia del corpo. Una straordinaria esperienza pastorale, in cui il genio femminile ha coniugato azione e contemplazione, la carità nella verità. Da mezzo secolo va avanti in silenzio con un suo stile.

Buonasera a tutti. Vi ringrazio di avermi invitato a questo convegno. Per me è un onore. Sono venuta da lontano a raccontarvi cosa è l’opera di “Casa Betlemme”: è una mia esperienza personale che va avanti ormai da cinquant’anni e si pone a servizio delle encicliche Humanae vitae ed Evangelium vitae, come sapete il capitolo più criticato di tutta la dottrina cattolica. Vi racconterò la storia, i frutti e lo stile che ho usato. Usando un’immagine cara all’attuale pontefice, Casa Betlemme possiamo definirla un “ospedale da campo” sul fronte scottante della vita nascente. Da ostetrica, ho passato la vita dentro gli ospedali, però ad un certo punto ho capito che dovevo aprire un ospedale speciale a casa mia, nel mio campo, per aiutare donne ferite e sofferenti. Ma anche per aiutare la mia amata Chiesa a dare attuazione a quelle due encicliche.

Come nacque Casa Betlemme

Feci nascere la prima bambina nel Natale del 1955 a Firenze. Da allora ho condiviso a fianco di migliaia di donne la sofferenza e la gioia di dare la vita. Altre volte i drammi, in troppi casi la solitudine. Da giovane, mentre facevo l’ostetrica, giravo molto per il mondo e rimasi turbata incontrando donne che volavano all’estero per abortire. Percepivo che era urgente fare qualcosa, ne parlai in giro ma i tempi non erano maturi e così m’incamminai da sola. Durante il primo viaggio a Betlemme, nell’agosto 1964, dentro la grotta di Betlemme un’intuizione forte mi travolse. Capii che il futuro sarebbe passato da quella grotta, che la procreatica sarebbe diventata una questione epocale e drammatica. Compresi che l’uomo dovrà tornare a genuflettersi davanti al Creatore, e che il terzo millennio dovrà riscoprire la spiritualità dell’Incarnazione.

Mi sentii interpellata professionalmente e personalmente. Rientrata in Italia trovai in reparto una giovane malata di cancro che non intendeva abortire, nemmeno davanti al consulto di tre specialisti i quali avevano autorizzato l’interruzione della gravidanza in base alla legge Rocco che vigeva allora. Le rimasi accanto, la bambina nacque, era sana e aveva due bellissimi occhi azzurri. Era nato il mio primo amore. Me la portai a casa tenendola con me finché quella madre coraggiosa, lentamente, guarì. E oggi fa la nonna. Perché Dio è regale, restituisce vita per vita.

Sul momento pensai che la cosa sarebbe finita lì, invece quel bambino diventò il primo di una lunga serie. Il Signore evidentemente aveva un progetto. Ma dato che è un Padre buono, i suoi piani te li fa capire poco a poco, altrimenti ti spaventeresti e scapperesti. A quell’epoca non esistevano i servizi sociali o la rete del volontariato come oggi. Capitava che una mamma morisse di parto, o che una prostituta abbandonasse in ospedale il bambino appena nato. E così un bambino tirava l’altro, come le ciliegie. Tanti bambini in affidamento a casa mia, per qualche mese o per più di vent’anni. Collaboravo con il Tribunale per i Minorenni, il reparto di pediatria, i servizi sociali. E lo facevo gratis.  Intanto il mio vescovo, di ritorno dal Concilio Vaticano II, mi ordinò che finché fossi stata viva avrei dovuto tenere con me l’Eucarestia. Così la vecchia stalla dei miei genitori contadini diventò una cappellina, un cenacolo permanente di preghiera che, oggi come allora, rappresenta il cuore e il motore  di tutta l’opera.

Negli anni settanta, quelli della legge 194, cominciarono a bussare alla mia porta le ragazze madri, in cerca di un sostegno per non abortire. E io le accoglievo. Ad un certo punto la mia abitazione diventò stretta. Il mio babbo era un arguto contadino che, sopravvissuto alla prigionia in Germania, dopo la grande guerra aveva faticato dieci anni da emigrante in America per comprarsi un paio di ettari da coltivare in libertà. Gli chiesi la divisione dell’eredità e usai il mio ettaro di terra per costruirci alcune casette immerse in un grande parco. Le ho tirate su con grossi sacrifici personali e l’aiuto di tanti amici. E’ nata in questo modo Casa Betlemme, il “Santuario della vita umana”. E’ un ospedale da campo perché piazzato in questo ettaro di campo, alle porte di Arezzo. Ci ho consumato la mia esistenza e tutti i miei beni, e sono felice di averlo fatto. I primi reparti che ho aperto sono stati quindi il “pronto soccorso” per le maternità difficili, con l’accoglienza e l’assistenza a donne sole e disperate, che arrivano qui da ogni religione e cultura, tentate dall’aborto.
La cappella di Casa Betlemme
I primi frutti: capitale umano e dolore risolto.

In questi primi cinquant’anni di servizio abbiamo complessivamente tolto dalla pena di morte qualche centinaio di piccoli innocenti, restituendo ad altrettante mamme la libertà di non abortire. Sono frutti di “capitale umano” e di tanto dolore risolto. Non ho mai tenuto i conti: non c’era tempo e poi sono allergica alla burocrazia. L’unica cifra di cui sono sicura è che mai nessuna donna è tornata da me pentita di aver accolto la vita: né la undicenne incinta, né la vittima di violenza, né la prostituta.

L’ambulatorio ostetrico è uno speciale confessionale laico, e dopo mezzo secolo so che la donna è indotta all’aborto non tanto da motivi economici ma soprattutto dalla paura di  sentirsi sola. Quindi ciò che conta è che la donna si senta amata, non lasciata sola. La donna che si sente amata non abortisce. Lo dico per esperienza. Deve sentirsi preziosa a motivo di quel suo stato interessante, che deve essere “interessante” per la società intera, perché l’utero gravido è tabernacolo che dà futuro alla storia. Davanti ad una gestante dovremmo sempre genufletterci riconoscenti! Una volta una donna mi raccontò di aver stracciato il certificato dell’aborto dopo avermi visto attraversare la strada per entrare in un bar. Probabilmente stavo andando a prendere un caffè, ma lei vedendomi si era ricordata di un lungo colloquio che avevamo fatto. Noi non possiamo sapere quanto vale un nostro piccolo gesto, una parola detta.

A Casa Betlemme ho seguito storie indicibili di umana catarsi, ho visto rifiorire l’impensabile grazie a quella faticosa maternità. Anche i famigerati “casi limite”. Ho usato uno stile basato su dedizione personale e sacrificio, cioè condivisione della sofferenza, niente orari o logiche da sportello, tempestività e sostegno concreto. Niente assistenzialismo ma aiutare la donna a recuperare l’autonomia nella società. E non affidarsi ai finanziamenti, come vi spiegherò dopo.

C’è un altro frutto importante: è il tema del trauma post-aborto. In quella che oggi si chiama pastorale della vicinanza, mi sono specializzata nel prendermi cura anche di tutte quelle donne che hanno fatto una scelta diversa e che poi, magari a distanza di vent’anni e con i capelli imbiancati, tornano a portarmi il loro tormento per un dolore che riemerge e non passa. Le aiuto usando lo sguardo della trascendenza. Perché è Gesù l’unico farmaco capace di guarire quella ferita. Lui ama ed è misericordioso: scende con il cuore sopra le nostre miserie. Ci vuole un lungo cammino di recupero, paziente e personalizzato tra spiritualità e psicologia, dove ho accompagnato tante donne (di ogni livello culturale) fino alla guarigione.

A queste donne spiego che generare è più grande che distruggere. Chi genera, genera per l’eternità. Dico loro: «tu hai generato per l’eternità. Se hai ucciso, hai ucciso un corpo: non hai distrutto la persona. Devi capire che anche se hai troncato il futuro alla tua creatura, non hai fatto che restituirla al Mittente. E Lui la porterà comunque a compimento, là dove un giorno o mille anni sono la stessa cosa. Lui è il Dio dell’amore, che ha vinto la morte e non lascia incompiute le sue opere: prima o poi avverrà un incontro, l’abbraccio. Ma la riconciliazione con quel figlio devi cominciarla adesso: sentilo vivo, dagli un nome, sappi che ti sta aspettando e sta pregando per te. Ti ama». Le donne credenti di solito giungono alla confessione, il sacramento che le riconcilia con Dio. Ma è essenziale anche questo secondo passaggio: la riconciliazione con il loro figlio. L’opera del confessionale va completata cioè con questo accompagnamento psicologico e spirituale. Perché il sangue di Cristo cancella il peccato ma non cancella quel figlio, che esisterà per sempre.
 
Flora in Bangladesh, nel 1974
Un servizio alla “maternità senza frontiere”

Usando un’altra espressione che oggi va di moda, nel mio cammino ho cercato di testimoniare una Chiesa in uscita, che va verso le periferie esistenziali. Sono uscita da quell’ettaro di campo per andare ad aiutare le mamme anche ai bordi delle strade del mondo. Casa Betlemme è un servizio alla “maternità senza frontiere”: partivo per servire la vita nascente là dove era più urgente, in mezzo alle guerre e negli angoli più poveri della terra: India, Bangladesh, Africa, Messico, l’inferno della Cambogia, la Cina, e poi la Bosnia che conoscevo frequentando Medugorje. Il Vescovo di Bangkok insisteva perché rimanessi e aprissi una casa là, mi offriva tutto il suo aiuto. Ma io sentivo che la mia missione era qua nel nostro occidente gaudente e disperato. Per trattenermi un pò di più, mandai al lavoro un certificato medico, era scritto in cambogiano e la visita fiscale non arrivò.

Facevo quei viaggi anche per fare confronti, volevo osservare e studiare come viene trattata la maternità in altre culture e contesti geografici. All’ospedale di Pechino, per esempio, nel 1979 il primario ginecologo era una donna che aveva studiato a Parigi: mi spiegava che la ventosa loro l’avevano già messa in bacheca, mentre da noi andava di gran moda.

Tra gli anni sessanta e settanta pensai che, per rispondere meglio a quelle catastrofi umanitarie in cui m’immergevo, nonostante fossi ostetrica avevo bisogno di altre quattro cose: conoscere una lingua, diventare ginecologa, possedere un ambulatorio con le ruote (cioè un’ambulanza) e saper pilotare un elicottero. Così, con quella dose di incoscienza e spirito di avventura che mi hanno sempre aiutato, presi un diploma da interprete, riuscii a frequentare per quattro anni la facoltà di medicina e acquistai i primi strumenti per attrezzare l’ambulanza. Nel frattempo superai i test per il brevetto da elicotterista. Ad un certo punto però dovetti fare delle scelte. Ogni lezione di volo mi portava via mezzo stipendio.

Le opere di misericordia spirituale: istruire gli ignoranti. Il reparto della formazione.

Nel nostro ospedale da campo non c’è solo il reparto di pronto soccorso alla maternità ma anche quello della prevenzione e della formazione. Perché dobbiamo dare una risposta completa. La persona non ha bisogno solo di essere curata nelle sue ferite, va anche educata. La Chiesa, come sapete, è chiamata alle opera di misericordia corporale ma anche a quelle di misericordia spirituale tra cui c’è il compito di istruire gli ignoranti. Insieme agli effetti vanno curate le cause. Non è più tempo di mettere le toppe ad un vestito ormai liso, va ricostruito il tessuto della società, trasmettendo sapere e valori.

Su questi temi mi sono accorta infatti che c’è un’enorme ignoranza: disinformazione grave sull’insegnamento autentico del magistero e sui fondamentali della bioetica. Sono omissioni di preparazione che ho incontrato nelle corsie degli ospedali ma anche dentro le sacrestie, e nelle scuole di teologia. E’ un’ignoranza che colpisce sia la gente comune sia gli ambienti ecclesiastici, dove talvolta si semina confusione sopra l’ignoranza, provocando devastazione. Ed è un disastro. Spesso dipende dalla paura di diventare impopolari, ma è segno che è calata la fede. Secondo me è proprio qui il punto: il livello della fede.

Sul fronte dell’Humanae vitae, nella mia lunga esperienza in giro per l’Italia, ho incontrato due tipi di derive nel mondo ecclesiale: l’angelismo disincarnato e il relativismo disobbediente, che definirei cattoprotestante. E ho toccato con mano i danni di entrambi. A Paolo VI avevo già scritto, ai tempi del Concilio, una lettera di incoraggiamento perché dedicasse una festa solenne alla maternità di Maria: mi ero permessa di far notare che anche dentro gli ospedali, subito dopo aver festeggiato il bambino, si va sempre a rendere omaggio alla mamma. Certe lacune, nella Chiesa, sono frutto di una teologia scritta troppe volte da uomini.
Quando al papa arrivò addosso l’ondata di protesta contro l’Humanae vitae, presi la mia cinquecento e andai nella capitale a suonare il campanello di Padre Häring per capire meglio i motivi della sua posizione: all’inizio mi scambiò per una giornalista di Famiglia Cristiana. Lo stesso feci con Chiavacci. Erano i due illustri teologi che guidavano la grande resistenza contro l’enciclica. Il clima di quei giorni lo racconta bene il bioeticista Renzo Puccetti nel libro “I veleni della contraccezione” (ed. Studio Domenicano, 2013), spiegando che la dottrina sulla procreazione responsabile divenne «un grande campo di battaglia dove si è combattuto uno scontro furibondo». In pochi rimasero fedeli a Pietro e alla Chiesa: i più finirono, anche in buona fede, nella potente «armata regressista» la quale ha dalla sua parte un alleato «che non si stanca mai, che inquina i pozzi, lascia marcire le derrate, intercetta i rifornimenti». Come qualcuno ha scritto, Paolo VI ebbe il coraggio di spiacere a tutti per non mentire a nessuno. Sosteneva che «il peccato nel matrimonio è il cancro della società». E prima di morire disse: «dell’Humanae vitae ringrazierete Dio e me».

Flora con i coniugi Billings e Anna Cappella
L’aggiornamento: a scuola dai giganti”

Agli inizi degli anni ’80, quando mi accorsi che la povertà culturale su questi argomenti sarebbe diventata emergenza, decisi di prepararmi e aprire a Casa Betlemme anche il reparto della formazione. Amavo la mia stupenda professione tanto quanto la Chiesa: mi accorsi che ero a un bivio e scelsi di servire totalmente quella che vedevo messa peggio cioè la Chiesa. La vedevo scivolare nella titubanza dell’annuncio, in silenzi colpevoli che la rendono corresponsabile di certi mali della società. E sentivo che un giorno sarà giudicata severamente su questo. Santa Caterina gridava: «a forza di tacere il mondo è guasto!».

Per buttarmi nell’opera andai in pensione anticipatamente e cominciai ad aggiornarmi frequentando le università romane dove ho conosciuto i miei grandi maestri, figure giganti di scienza e di fede. Il professor Lejeune, uno dei più grandi genetisti del mondo, scopritore della trisomia 21. Wanda Pòltawska, un monumento vivente della bioetica: dopo aver vissuto nella sua carne le sperimentazioni dei medici nazisti, diventata psichiatra, fu amica e consulente di Wojtyla sulla teologia del corpo. I coniugi Billings, medici australiani pionieri dei moderni metodi naturali, la ginecologa Anna Cappella, prima direttrice del centro studi e ricerche all’Università Cattolica. E poi Caffarra e Sgreccia. Ma sopra tutti ho incontrato Giovanni Paolo II, il grande padre della mia fede, il più grande dei giganti, un profeta da cui mi sono sentita sostenuta in modo straordinario con i suoi insegnamenti chiari, davanti a certe contestazioni che ogni tanto ti arrivano come mitragliate. Il “fuoco nemico” ti ferisce, puoi guarire: ma il fuoco amico ti uccide. Il beato Giovanni Paolo II, dopo ogni congresso internazionale, ci riceveva insieme ai miei maestri, per informarsi su come andavano le ricerche della medicina e i progressi della pastorale a livello mondiale. Ci teneva molto a sapere e ci voleva incoraggiare. Diceva che noi portiamo avanti ciò che dovrebbe fare la Chiesa. Una volta, superando l’elenco degli appuntamenti che aveva in agenda, volle riceverci nelle sue stanze fuori protocollo, prima di andare a cena.

Portando con me quelle grandi lezioni, a Casa Betlemme ho potuto aprire una scuola di formazione dove offriamo consulenze qualificate sui temi della procreazione, laboratori e corsi di formazione, serate di sensibilizzazione usando anche il linguaggio artistico (“Wolokita project”). Portiamo in giro l’alfabetizzazione bioetica, la teologia del corpo e insegniamo alla gente la regolazione naturale della fertilità.


Le tre chiavi per trasmettere l’insegnamento dell’Humanae vitae

Per trasmettere alla gente l’insegnamento dell’Humanae vitae ho usato tre chiavi. La prima sta in questo pensiero di Paolo VI che sintetizza tutto l’insegnamento: «l’uomo non può trovare la vera felicità, alla quale aspira con tutto il suo essere, se non nel rispetto delle leggi iscritte da Dio nella sua natura e che egli deve osservare con intelligenza e amore». E’ la conclusione dell’enciclica, il n. 31. Ci dice che le leggi di natura esistono e non sono cattoliche: sono la via per la felicità dell’uomo e la sua pace. Vanno rispettate usando l’intelligenza e l’amore.
La seconda chiave è credere sempre all’educabilità dell’uomo. Giovanni Paolo II insisteva molto su questo concetto: ci crediamo o no che l’uomo è educabile, perché è redento da Cristo? Ogni persona è educabile, e in fondo al cuore avrà sempre la nostalgia del bene e del bello. Il cammino deve essere graduale, ma è alla portata di tutti. Perché la Grazia esiste e aiuta gli umili.
La terza chiave sta nella nostra specialità “betlemita” che è puntare su un messaggio di profonda armonia, di integrazione dei vari piani. Riconciliare cioè la fede con la scienza, la creatura con il Creatore, la madre con il bambino, la donna con la sua corporeità. Ma anche riconciliare la fede con la morale, aiutando la gente a superare una fede che dice “credo in Dio ma la morale modo mio”. Ho visto questo stile capace di ricomporre alcune fratture profonde che procurano sofferenza e disorientamento all’uomo di oggi, e alla Chiesa. Nel mio sentiero sono partita dai marciapiedi passando poi per le sacrestie. Ma oggi mi rendo conto che di questo messaggio forse ne hanno bisogno anche le accademie.
Quali sono i frutti dell’impegno culturale? Tra la nostra diocesi e in giro per l’Italia abbiamo portato più di mille ore di formazione sull’Humanae vitae, muovendoci tra scienza, fede e cultura. Casa Betlemme è diventata una scuola di vita e di promozione umana dove sono passati in tanti: vergini e prostitute, analfabeti e professori, piccoli e anziani, artisti e giornalisti, vescovi e sbandati, famiglie ferite. E tante coppie di innamorati. E’ una piccola ed inedita “Università dell’amore con Facoltà della vita”, l’idea me la ispirò tanti anni fa Teresina di Gesù Bambino.
 
La scuola di Casa Betlemme
L’attuazione di un’enciclica profetica
In rete con il mondo accademico e con la pastorale della famiglia, promuoviamo una proposta concreta che si chiama regolazione naturale della fertilità: significa essenzialmente imparare a conoscere ed ascoltare il nostro corpo, esercitando la virtù cioè la disciplina del dominio di sé per amore. Giovanni Paolo II diceva che non è altro che «la rilettura del “linguaggio del corpo” nella verità. Bisogna aver presente che il corpo parla». E spiegava che per capirlo dobbiamo anzitutto recuperare uno «sguardo contemplativo» sulla creazione, in particolare sulla creatura umana. Con le sue centotrentaquattro catechesi sull’amore umano, ha dato i fondamenti metafisici e antropologici a questo itinerario.  Dopo tanti anni continuo ad andare in giro perché vedo il volto dei giovani che rimangono affascinati e colpiti al cuore da questo insegnamento. Quando la gente supera la diffidenza e la disinformazione, comprende la saggezza della Chiesa che, come diceva Paolo VI, è «esperta di umanità». La gente scopre che i moderni metodi naturali per la regolazione della fertilità non sono soltanto scientificamente affidabili ma anche praticabili. Non una tecnica ma uno stile di vita che fa bene sia alla salute della donna che alla relazione della coppia: sono un cammino che educa ad un amore più grande, fatto di consapevolezza corporea, maggiore rispetto e dialogo, soddisfazione sessuale e ragionevole apertura alla vita. Nella mia esperienza posso dirvi che sono la strada per costruire famiglie solide, in una società dell’amore liquido. Una volta una coppia tornò a ringraziarmi con queste parole: «ci hai insegnato a spostare una montagna con la punta del mignolo». E’ una conoscenza di sé che dà pace e pienezza alla vita sessuale di coppia ma anche serenità ed equilibrio alla vita delle persone consacrate. Ho portato infatti l’Humanae vitaepure dentro i conventi e i monasteri, e potrei stare ore a raccontarvi i frutti meravigliosi: perché la teologia del corpo di san Giovanni Paolo II è un annuncio liberante per tutti. Il biografo Weigel ha scritto che la sua teologia è una bomba ad orologeria e quando il mondo la scoprirà vedremo effetti spettacolari. Su questo capitolo però, come vi dicevo, c’è di mezzo tanta disinformazione e anche un po’ di censura perché si tratta di una proposta che funziona ed è gratuita e praticabile, e quindi disturba il business colossale della contraccezione. L’Humanae vitae contiene un messaggio di ecologia umana che non ha confini religiosi o culturali e ha già abbattuto molti muri: forse non tutti sapete che Madre Teresa ha portato i metodi naturali tra le bidonville di Calcutta con grande successo, convincendo il governo di Indira Gandhi. Oppure che nella Cina comunista il metodo Billings da anni è stato adottato dal ministero della sanità come alternativa alla contraccezione (e alla sterilizzazione coatta), e lo usano felicemente oltre tre milioni e mezzo di donne. I primi ripensamenti stanno arrivando anche dal mondo femminista. Eppure tanti alti prelati continuano a dire che si tratta di una proposta di nicchia, di un ideale bello ma astratto.
Personalmente, dopo mezzo secolo di confessionale ostetrico, mi sono convinta che la contraccezione è una proposta vecchia e il futuro è dei Metodi Naturali. Dopo la de-medicalizzazione del parto e della gravidanza, e dopo aver riscoperto l’importanza dell’allattamento al seno, la prossima tappa dovrà riguardare la gestione della fertilità: il futuro passa da lì. Mentre la nostra società occidentale e gran parte degli ambienti ecclesiastici vorrebbero elegantemente rottamare l’Humanae vitae per correre dietro alla contraccezionealla scuola di Casa Betlemme questa famigerata enciclica ha trovato attuazione, è stata recepita ed è diventata prassi tra la gente.
Ma c’è di più: diverse famiglie cristiane, dopo essersi formate qui, hanno deciso di fermarsi a collaborare, e alcuni di loro di farsi oblati, spendendo tutta la vita in questa missione moderna perché ne hanno capito l’urgenza. Oggi siamo una fraternità ben assortita: sposati o single, professionisti di genere vario, ognuno vive del proprio lavoro. C’è chi non può avere figli e chi ne ha accolto uno down. I miei collaboratori sono laici che definisco apostoli intelligenti, adatti ai nostri tempi.
Tutte queste cose andrei volentieri a testimoniarle al prossimo Sinodo sulla famiglia ma purtroppo, come ha detto qualcuno, ancora le donne non sono ammesse a parlare: possono entrare solo come uditrici o inservienti.
 
Flora in Cina, nel 1979
La cifra della povertà: stile della follia per rendere concreta l’utopia.

Permettetemi un’ultima parola che per me è essenziale. Se a Casa Betlemme si sono realizzate alcune utopie concrete, è merito di uno stile preciso su cui ho avvitato tutta l’opera. La Regola personale è preghiera, sacrificio, letizia. Quella apostolica è Ora, stude et labora. Lo stude, cioè la preparazione scientifica e l’aggiornamento continuo, sono indispensabili su questi temi bioetici. Lo studio deve diventare servizio agli altri nel sacrificio. Ma tutto parte e si radica davanti al tabernacolo, dove è presente il Dio vivente, Dio in Persona. Si radica in una fede che non è sentimentalismo irrazionale, devozionismo angelico ma è uso di ragione e di preghiera che diventa rivoluzione, perché ti cambia la vita. E’ riconoscimento del Logos della creazione. Qui la fede diventa un’azione che incarna la dottrina della Chiesa. Chiesa che è di Cristo, non dell’uomo. Lo spiegava il cardinale Ratzinger nel 1990: «non è di una Chiesa più umana che abbiamo bisogno, bensì di una Chiesa più divina; solo allora essa sarà anche veramente umana».
Ho sempre scelto di camminare nell’obbedienza perché fuori da quel sentiero, prima o poi si sbanda. In certi passaggi mi è costata tanta fatica e sofferenza. Una pazienza che solo le donne sanno usare. Ho dovuto attendere quarant’anni e veder passare una serie di vescovi per ottenere finalmente la prima approvazione ufficiale della Chiesa, arrivata soltanto nel Natale del 2005: fu il vescovo Bassetti, ora cardinale, a volerci riconoscere come associazione pubblica di fedeli.
Gli ospedali di solito sono strutture “in convenzione”. Io invece ho fatto tutto gratis e in povertà, che oggi è follia. Facendo risparmiare un mucchio di soldi ai bilanci pubblici o ecclesiastici. Lo diceva Tertulliano delle prime comunità: «i cristiani sono poveri ma arricchiscono molti» (Lettera a Diogneto). Ho voluto così per una radicale scelta evangelica e di libertà. Nel mio ospedale da campo i finanziatori e i protettori non sono politici o potenti ma tre santi che mi sono scelta all’inizio del cammino: Francesco di Assisi, Caterina da Siena e Teresina di Lisieux. Da loro ho imparato la ricchezza della povertà, il fuoco dell’apostolato e la grandezza della piccolezza. Mi hanno insegnato che stai in piedi soltanto se resti in ginocchio, che la Provvidenza provvede se ci credi e per quanto ci credi. Io credo fermamente che se il latore non è un povero, il Mandante non è il protagonista.
Casa Betlemme è nata dal gesto folle di quella donna incinta malata di cancro, e va avanti da cinquant’anni anni grazie allo stile folle di un’ostetrica. In questo ospedale da campo che vi ho raccontato, noi tutti siamo semplici ausiliari e inservienti: il primario si chiama Gesù e l’unica assistente è sua Madre, perfetta regista della storia, di ogni storia. E anche della storia di Casa Betlemme. Alleluja!

Continua con la seconda parte: Riflessioni ostetriche davanti alla maternità di Maria. Il genio delle donne e il potere del loro corpo per un nuovo femminismo”

CHI E’
Flora Gualdani è nata ad Arezzo nel 1938. In Italia è tra le figure più autorevoli nella divulgazione della dottrina cattolica su maternità e procreazione. Ostetrica dal 1959, ha lavorato nella sanità pubblica fino agli anni ’90, con esperienze all’estero in un personale servizio alla “maternità senza frontiere”. Nel 1964 ha fondato Casa Betlemme ospitando decine di ragazze madri da ogni parte del mondo. Conduce l’opera con una fraternità di laici collaboratori seguendo la Regola “Ora, stude et labora”. Luogo di preghiera, casa di accoglienza e centro di formazione sulla procreazione responsabile, la sua iniziativa fu riconosciuta come associazione pubblica di fedeli nel 2005 con decreto di Mons. Gualtiero Bassetti, oggi cardinale. Questa esperienza pastorale è divenuta oggetto di tesi di laurea, alcune delle quali riguardano l’attuazione dell’enciclica Humanae vitae. Presentata al “Progetto Europeo San Benedetto” organizzato da European Institute for Family Life Education e Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia sul tema «Natural Family Planning. Links between love and trasmission of life» (Milano, gennaio 2010), è annoverata tra le realtà che nel mondo diffondono la teologia del corpo secondo gli insegnamenti di Giovanni Paolo II (Congresso internazionale Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma ottobre 2011). Ha organizzato, in collaborazione con il suo vescovo e l’Istituto Scientifico Internazionale Paolo VI, il convegno regionale «La procreazione responsabile a 40 anni da Humanae vitae: il cammino della scienza e della cultura» (Ospedale di Arezzo, aprile 2009). Ha tenuto la relazione «Autorità e dolore: l’esperienza di Casa Betlemme», al convegno “Autorità femminile” presso l’Istituto di Studi Superiori sulla Donna (Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma 2013). Riviste di pastorale della famiglia le hanno dedicato alcuni reportage e la sua testimonianza compare su A. Socci, Il genocidio censurato (ed. Piemme 2006), I libri del Foglio, Fate l’amore e non l’aborto (ed. Il Foglio quotidiano 2008), A.M. Cosentino, Testimoni di speranza. Fertilità e infertilità: dai segni ai significati (ed. Cantagalli 2008, Premio “Donna, verità e società”, Pontremoli 2009), G. Galeazzi-F. Grignetti, Karol e Wanda. Giovanni Paolo II e Wanda Poltawska: storia di un’amicizia durata tutta una vita (ed. Sperling & Kupfer, 2010). Il giorno del referendum sulla legge 40 fu intervistata da Marina Corradi per Avvenire, nel 2013 da Ritanna Armeni per l’Osservatore Romano (mensile Donne, Chiesa, Mondo). Nel 1994 la sua città le ha conferito il premio “Chimera d’oro” per l’impegno sociale. Premio alla carriera “Santa Gianna Beretta Molla” per aver difeso la vita con la penna e con le opere (Scienza e vita, Pontremoli 2013), premio “Ruah per l’arte e la cultura” (associazione Le Opere del Padre, Roma 2013), premio “IV Marcia nazionale della vita” (Roma 2014). Il primo libro lo ha pubblicato nel 1994 con lo pseudonimo Letizia di Gesù Bambino. In occasione delle celebrazioni dell’enciclica Evangelium vitae nell’anno della fede, ha pubblicato «Betlemme Betlemme speranza futura, Canto alla vita»una raccolta di scritti spirituali e poetici degli anni 1958-1998, con la prefazione di Claudia Koll (ed. Letizia, giugno 2013).