martedì 22 aprile 2014

Giovanni Paolo II: il "di più" della santità


di P. Aldino CAZZAGO ocd

Dal «santo subito» alla canonizzazione

Domenica 27 aprile giungerà a compimento un evento che ha mosso i primi passi venerdì 8 aprile 2005. In quella ventosa mattina, al termine dell’omelia della messa esequiale, da una stracolma Piazza San Pietro si alzava un grido e una richiesta: dichiarare «Santo subito» quel vescovo proveniente «da un paese lontano» col nome di Karol Wojtyła e vissuto a Roma per 26 anni 5 mesi e 17 giorni con il nome di Giovanni Paolo II, quel vescovo che ora migliaia di fedeli accompagnavano per l’ultimo viaggio. Su quella piazza pareva di essere tornati indietro di qualche secolo quando la canonizzazione non passava attraverso un lungo processo, ma era vox populi.

Il processo o - come si preferisce dire oggi - l’«inchiesta sulla vita, le virtù e la fama di santità» del servo di Dio Giovanni Paolo II era iniziato il 13 maggio 2005, a poco più di un mese dalla sua morte avvenuta, come tutti ricordano, il 2 aprile e si era concluso il 19 dicembre 2009 con il decreto attestante che Giovanni Paolo II aveva vissuto in modo eroico le virtù cardinali e teologali. Il successivo riconoscimento della guarigione dal morbo di Parkinson di suor Marie Simon Mormand per intercessione dello stesso Giovanni Paolo II aveva spalancato le porte della beatificazione avvenuta il 1° maggio 2011.
Il 5 luglio dello scorso anno papa Francesco ha autorizzato la pubblicazione del decreto che riconosce come miracolosa una seconda guarigione: quella di una madre di famiglia del Costa Rica avvenuta proprio il giorno della beatificazione di Giovanni Paolo II. Solo dopo il riconoscimento di questo secondo miracolo, durante il concistoro del 30 settembre scorso, papa Francesco ha annunciato che il Beato Giovanni Paolo II e il Beato papa Giovanni XXIII sarebbero stati canonizzati il 27 aprile del 2014, domenica della Divina Misericordia.

«C’era in lui un qualcosa “di più”»

Commentando ne L’Osservatore Romano il riconoscimento del secondo miracolo, il Cardinale di Cracovia Stanisław Dziwisz, che per molti anni fu segretario di Karol Wojtyła, ha scritto: «Ho passato quasi quarant’anni accanto a un santo, lavorando al suo fianco a Cracovia e in Vaticano. Mi hanno chiesto qualche volta quando Giovanni Paolo II è diventato santo. Penso che lo sia diventato fin dalla giovinezza. Karol Wojtyła era un ragazzo normale, acuto e sensibile, pieno di energia e di gioia di vivere. Ma fin dall’inizio c’era in lui un qualcosa “di più”».
«Ma fin dall’inizio c’era in lui un qualcosa “di più!» ha detto il cardinale Dziwisz. Proviamo allora a chiederci che cosa può significare questo “di più”.
Partiamo da una semplice constatazione. Quando Dio si dona all’uomo lo fa sempre in maniera totale e senza calcolare quello che poi l’uomo farà del dono del suo amore. Per fare un esempio il Dio che si dona a quel bambino che un giorno diventerà San Giovanni Bosco è lo stesso Dio che si dona a un altro bambino che, invece trascurerà o, peggio ancora, tradirà del tutto, non importa qui sapere per quali cause, questo dono. Dove sta allora la differenza? La differenza non sta dalla parte di Dio che è sempre lo stesso, ma dalla parte dell’uomo, nella diversa intensità della loro risposta all’amore di Dio: nel primo caso una risposta piena, nel secondo una risposta scarsa o addirittura mancata del tutto.
Dio offre il suo amore a tutti gli uomini, ma essi, lungo il corso di una intera vita, rispondono in maniera assai differente: chi poco, chi in maniera discontinua, chi per una fase della vita, chi entro una modalità pur buona e chi, durante tutto l’arco della vita, in modo eroico. Il campo di verifica di questa eroicità è meno astratto e impalpabile di quanto si pensi, perché si tratta di una concreta esistenza plasmata dalle virtù cardinali e teologali. Se la vita spirituale di un cristiano si lascia modellare da esse, chi vive accanto a lui ben presto se ne accorge. La cosiddetta fama di santità, necessaria anche solo per dar avvio all’inchiesta sulla vita di un cristiano parte proprio dalla diffusa registrazione di questo dato. L’indagine su tutta la vita di Karol Wojtyła è perciò servita ad accertare che durante la sua esistenza egli ha vissuto in modo eroico, secondo appunto quel “di più”, le virtù che innervano la normale vita cristiana.
Perché l’inchiesta sulla vita di un fedele si concluda positivamente con la relativa beatificazione non è sufficiente che egli abbia scritto bei libri di carattere teologico o spirituale, o abbia compiuto qualche gesto eroico o sia ritenuto “santo” anche solo da un piccolo gruppo di persone. Condizione indispensabile, benché non ancora sufficiente per l’eventuale beatificazione, è accertare, grazie alla testimonianza orale o scritta di testimoni oculari, che il soggetto abbia esercitato in maniera costante, cioè non saltuaria e con animo pronto e colmo d’amore le virtù della fede, della speranza, della carità, quella della fortezza, della prudenza, della giustizia e della temperanza. In una parola, come ha scritto il cardinale Angelo Amato, che egli abbia avuto un «atteggiamento costante – un habitus – di carità, come espressione di una continua comunione di grazia con Dio Trinità».
La lunga e accurata inchiesta sulla vita di Giovani Paolo II non ha fatto altro che confermare quanto per i più stretti collaboratori dello stesso pontefice è sempre stata un’evidenza: l’aver egli condotto, alla luce delle virtù, una vita santa.
Conclusione

Nessuno meglio di un santo percepisce e vive drammaticamente la sproporzione tra l’amore di Dio per lui e la sua risposta, per quanto eroica, a questa sovrabbondanza d’amore. Per il Beato Giovanni Paolo II le cose non sono andate diversamente. Tra i molteplici testi che potrebbero esser portati a dimostrazione di ciò, ci limitiamo ad alcuni versi di Canto del Dio nascosto, composti nel 1944, quando egli ha 24 anni ed è solo un semplice seminarista in una Cracovia, devastata dalla guerra:

«L’amore mi ha spiegato ogni cosa,
l’amore ha risolto tutto per me –
perciò ammiro questo Amore
dovunque Esso si trovi».

All’ultima strofa così conclude:
«O Signore, perdona al mio pensiero che non Ti ama ancora abbastanza,
perdona al mio amore, Signore, ch’è sì terribilmente incatenato al pensiero
che Ti sperde in pensieri freddi come la corrente
e non ti avvolge in brucianti falò».

Il filosofo Stanisław Grygiel, uno dei più profondi conoscitori della vita e del pensiero di Karol Wojtyła, ha raccontato che il giorno dell’elezione, il 16 ottobre 1978, il Cardinale Wyszyński tracciò al Cardinale Léon-Etienne Duval questo ritratto di Giovanni Paolo II: «È un mistico, poeta, pastore, filosofo, santo … ma non è un buon amministratore». Quelle parole non erano solo l’esatta fotografia del periodo polacco della vita del giovane, del sacerdote e vescovo Karol Wojtyła, ma - come l’inchiesta canonica ha accertato - anche l’anticipazione di come avrebbe vissuto da vero discepolo di Cristo redentore dell’uomo.

Fonte: mec-carmel.org

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