venerdì 4 aprile 2014

INDIPENDENTISMO VENETO - Lo Stato reprima le violenze Ma ascolti il disagio


Per quanto lontani siamo dai promotori del referendum, non ci sogneremmo mai di equiparare un progetto politico ad eventuali (e comunque tutte da dimostrare) derive terroristiche. È una tentazione pericolosa, quella di ''farsi uno Stato'' pensando che di colpo tutti i problemi verranno meno... Il Veneto ha bisogno dell'Italia e dell'Europa, non meno di quanto l'Europa e l'Italia abbiano bisogno del Veneto
Guglielmo Frezza (*)

Un’inchiesta giudiziaria ha portato in carcere 24 persone e scoperchiato un presunto progetto indipendentista che, a cavallo tra Veneto e Lombardia, andava progettando un “salto di qualità”: non più banchetti, manifestazioni e referendum, ma azioni violente per reclamare l’addio dall’odiata Italia.
Domenica scorsa gli attivisti di Plebiscito.eu avevano organizzato a Montegrotto Terme, in provincia di Padova, una ambiziosa “convention” per iniziare a dare concretezza a quella indipendenza che ritengono ormai certificata e proclamata, senza ombra di dubbio, dai risultati del referendum a cui la settimana scorsa i nostri settimanali diocesani del Veneto hanno dedicato un editoriale comune che ha avuto larga eco.
Tra i relatori saliti sul palco c’era anche Franco Rocchetta, uno dei “padri nobili” della Liga Veneta, il nome forse di maggior spicco tra gli arrestati. A scanso di qualsiasi equivoco, diciamo subito che - per quanto ci riguarda - questo è a tutt’oggi l’unico punto di contatto tra le due vicende. Per quanto lontani siamo dai promotori del referendum, non ci sogneremmo mai di equiparare un progetto politico ad eventuali (e comunque tutte da dimostrare) derive terroristiche. Un conto è chi, per convinzione o anche solo per provocazione, immagina uno Stato veneto. Altro conto è provare a costruire un blindato casalingo con tanto di cannoncino, o farneticare nelle conversazioni intercettate di azioni violente, clima di terrore, “regola del fucile”.
Vedremo nelle prossime settimane se le accuse reggeranno, se il network di organizzazioni indipendentiste disegnato dagli inquirenti ha una sua concretezza o se siamo di fronte a una riedizione in chiave farsesca dell’assalto al campanile di San Marco che nel 1997 attirò sui Serenissimi l’attenzione del mondo. Certo, oggi come allora, dietro l’azione eclatante e la tentazione eversiva c’è un clima di malessere che attraversa il Veneto e che la crisi economica ha reso ancora più acuto di diciassette anni fa.
Anche il 2013 per questa regione è stato un anno difficile: si sono perse altre migliaia di posti di lavoro, hanno chiuso altre centinaia di aziende, abbiamo un vasto bacino di dipendenti in cassa integrazione che non troveranno più il loro posto di lavoro una volta esauriti gli ammortizzatori sociali. Dal 2008, quando è iniziata la crisi, i veneti hanno perso in media il 12 per cento del loro reddito: c’è chi sta peggio, certo, ma non siamo più una regione ricca. Soprattutto, non siamo più una terra che guarda con ottimismo al suo futuro.
In questo panorama è facile pensare che le colpe siano di altri, e che da soli saremmo in grado di fare meglio. È una tentazione pericolosa, quella di “farsi uno Stato” pensando che di colpo tutti i problemi verranno meno. Lo ricordavamo domenica scorsa, e sentiamo il bisogno di ribadirlo oggi: il Veneto ha bisogno dell’Italia e dell’Europa, non meno di quanto l’Europa e l’Italia abbiano bisogno del Veneto. E tutti, da Bruxelles a Venezia, abbiamo bisogno di una efficace e tempestiva stagione di riforme che mettano finalmente mano a un’architettura istituzionale che non è più in grado di reggere alle sfide della contemporaneità.
In che direzione? L’annunciata riforma del governo Renzi, che oltre al Senato modifica le competenze regionali e il rapporto con lo stato centrale, in Veneto non è piaciuta a nessuno, nemmeno al centrosinistra. Rischia di comprimere ancora di più lo spazio delle autonomie locali e conserva immutati gli ormai incomprensibili privilegi delle Regioni a statuto speciale. Ma per cambiare le cose c’è una sola strada, e non è certo quella del terrorismo: serve la (buona) politica, serve anche per il Veneto un progetto che sappia disegnare con chiarezza i possibili scenari futuri. Sia chiaro, nulla di tutto questo giustifica pulsioni violente o progetti eversivi, ma forse aiuta a comprendere il terreno in cui maturano. Lo Stato reprima, duramente, se saranno appurate delle colpe. Ma poi sappia anche ascoltare il disagio della nostra terra.
(*) direttore “Difesa del Popolo” (Padova)

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