giovedì 12 dicembre 2013

Lavoro e sviluppo, le sfide da vincere

di Mario Lettieri (*) e Paolo Raimondi (**)


05 dicembre 2013ECONOMIA
La più difficile sfida di fronte a noi è quella di trasformare il principio etico del valore e della centralità del lavoro e della persona in una strategia operativa immediata. Altrimenti le previsioni catastrofiche che i sindacati e le varie associazioni di categoria continuano a sfornare non lasciano scampo. Dopo l’aumento della disoccupazione, in particolare quella giovanile (15-24 anni) al 41,2%, la Confcommercio denuncia il crollo del reddito procapite al livello del 1986, mentre la pressione fiscale del 44,3% rimane ai livelli più alti in Europa.

Inevitabilmente l’aumento della precarietà e della povertà si traduce in una drastica diminuzione dei consumi che, dopo il crollo del 4,2% registrato nel 2012, sarà del 2,4% nel 2013. Certamente il carico fiscale è troppo elevato ed una detassazione sul lavoro è più che mai necessaria. Quel che è più grave, però, è l’assenza di un’idea, di un progetto del “sistema Italia”. Che il consumo possa essere la molla della ripresa economica è parzialmente vero. Ma non è automatico. Gli automatismi non sempre funzionano. Lo si è visto nel settore del credito. L’abbassamento fino a zero del tasso di sconto attuato dalla Bce non ha portato a nuovi crediti per gli investimenti, per le imprese e per le famiglie. La detassazione sul lavoro, invece, comporterebbe un aumento dei salari e delle pensioni delle fasce più deboli e sarebbe destinato ai consumi.

Ricordiamoci che gli Stati Uniti uscirono dalla Grande Depressione del ’29 quando il presidente Franklin D. Roosevelt lanciò il New Deal con grandi investimenti statali nelle infrastrutture e nei settori agro-industriali. Ancora oggi, contrariamente a certe leggende, gli Usa rimangono una grande economia dirigistica nei settori fondamentali, quali quello militare, delle nuove tecnologie, dello spazio, delle infrastrutture oltre che del vasto settore amministrativo. Anche da noi sarebbe necessaria una strategia di rilancio economico che punti sulle nuove tecnologie e sui comparti industriali, agricoli e turistici.

Non basta la lotta alla contraffazione dei nostri prodotti agricoli e del “made in Italy”, occorre modernizzare tali settori ed aumentare l’appeal turistico del nostro Paese anche rispetto ai cittadini dei Paesi del Brics. Il primo cambiamento paradigmatico dovrebbe essere quello di puntare sullo sviluppo invece che sulla crescita lineare. Quando si parla di crescita ci si riferisce sempre ad un aumento numerico delle cose prodotte, non importa quali, purché abbiano un effetto positivo sul Pil. Lo sviluppo invece, inglobando anche la crescita, coinvolge risorse, persone, territori, popolazioni, educazione, cultura e si proietta sul lungo periodo per differenti generazioni.

In quest’ottica la messa in sicurezza e la valorizzazione del territorio e del vasto patrimonio culturale assumono un carattere prioritario. Senz’altro positivo è l’intervento, seppur limitato finanziariamente, finalizzato alla ristrutturazione e all’efficienza energetica del patrimonio immobiliare. I sindacati ritengono che esso creerebbe 600mila posti di lavoro a fronte di un investimento di 7 miliardi di euro. È bene ricordare che molte nostre Pmi, pur in questo periodo di crisi, hanno saputo mantenere e sviluppare quote di mercato nel difficile settore dell’alta tecnologia. Perciò bisogna sostenere la loro modernizzazione ricordando che l’Italia è tra le prime 10 economie industrializzate del mondo.

Il nostro export, per fortuna, ha retto l’urto guadagnando addirittura un significativo surplus commerciale. L’Italia è infatti la quinta economia al mondo per surplus commerciale manifatturiero. Da questo punto di vista significativi sono i 28 contratti di cooperazione tra Italia e Russia recentemente siglati a Trieste, così come importante potrebbe rivelarsi la realizzazione di grandi reti infrastrutturali nel continente Euro-Asiatico. Le prospettive di migliori e maggiori relazioni nello scenario internazionale esigono da un lato che l’Italia si muova come “sistema Paese” e dall’altro che sviluppi la ricerca a sostegno delle proprie imprese. L’attuale misero 1,2% del Pil investito nella ricerca andrebbe elevato almeno al 3% come già sostenuto dall’Ue a Lisbona nel 2000. In una situazione di ristrettezze finanziarie è ineludibile che la “spending review” riduca nettamente gli sprechi e la stessa spesa pubblica.

Le risorse pubbliche devono essere finalizzate alle attività produttive, manifatturiere, del credito, della ricerca e delle nuove tecnologie. Tutto ciò è il presupposto per la creazione di lavoro qualificato. Finora stiamo provando sulla nostra pelle che “di solo rigore si muore”. Perciò non basta rendere più efficiente la politica economica nazionale, ma occorre cambiare gli indirizzi dell’Unione Europea.

(*) Sottosegretario all’Economia del Governo Prodi
(**) Economista
L'Opinione

Accusati di usura, assolti dopo 9 anni


12 dicembre 2013POLITICA

Volete fare un salto sulla sedia, e magari capire perché non sono solo le formiche a incazzarsi? È facile, basta raccontare la storia accaduta ad Antonio e Maurizio Mauro, figlio e nipote di Demetrio, il fondatore dell’omonima azienda di caffè. È il 5 gennaio del 2005, quando per loro scatta l’accusa di associazione a delinquere, usura ed esercizio abusivo del credito. Ci hanno messo nove anni (9 anni!) per essere assolti dall’accusa di usura; ed è rimasta l’accusa a quattro anni (tre indultati) per associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo del credito. Nel frattempo, l’azienda si dissolve.

“I Mauro non erano usurai. Ci sono voluti quasi nove anni di processo per stabilire quello che una perizia del Tribunale aveva già accertato un anno e mezzo fa: in nessuno dei 60 casi contestati alla Caffè Mauro di Campo Calabro, hanno stabilito i giudici di Reggio Calabria, c’è mai stato il benché minimo tasso di usura. Nel frattempo loro hanno dovuto cedere l’azienda, devastata nell’immagine in tutto il mondo”. Cos’è mai accaduto, e soprattutto, come è potuto accadere? Partiamo dai nove anni serviti per arrivare al processo (peraltro di primo grado). Gli stessi Mauro, per accelerare i tempi, avevano chiesto il rito immediato. Quell’accusa di essere strozzini, proprio se la volevano scrollare di dosso. Onorabilità, ma anche affari: “… la Caffè Mauro, quando l’inchiesta cominciò, era un cavallo da corsa da 20 milioni di euro di fatturato l’anno, nota pure in campo sportivo, come sponsor di Italia ’90, Reggina Calcio e sponsor tecnico della Juventus.

Probabilmente l’unica realtà internazionale di Reggio…”. A questo punto, meglio di tutto è lasciare la parola a Maurizio Mauro: “Mi trovavo a Zanzibar. Mi telefonarono dicendo che mio padre era stato arrestato. Che cercassero pure me lo scoprii invece da internet. E rientrai subito”. Sostanzialmente, per i magistrati che li accusano, lui e suo padre avrebbero prestato denaro ai locali anche se non potevano farlo. E soprattutto lo avrebbero fatto a tassi usurari. “I marchi di caffè, come quelli della birra e dei gelati, lavorano con i bar – spiega uno dei legali del pool difensivo, Fabio Schembri. Capita che qualcuno di questi, oltre alla fornitura di caffè, chieda un prestito per rinnovare i locali, in cui aggiungere l’insegna pubblicitaria, le tazzine del marchio o una macchinetta in comodato. Accade pure oggi, ovunque. Al tempo, però, pochissimi marchi si dotavano di finanziarie per fare i prestiti.

Anche perché già nel 1999 l’Associazione Nazionale Torrefattori aveva chiesto un parere alla Direzione Generale della Concorrenza della Commissione delle Comunità Europee: e per quest’ultima poteva essere la ditta stessa a erogare il prestito”. Niente da fare. La Procura di Reggio Calabria contesta questa tesi difensiva, sostiene che “Caffè Mauro” quei prestiti non li poteva fare, perché non era una banca; in particolare contesta i tassi di interesse, ritenendoli da usura. Scattano i provvedimenti cautelari: Maurizio agli arresti domiciliari, il padre in carcere, per 39 giorni. “… La notizia fa il giro del mondo, ma subito dopo l’accusa vacilla paurosamente: l’unico, infatti, che aveva denunciato Maurizio per usura, si era dimenticato di aver beneficiato di un secondo prestito, cosa che fa crollare i tassi d’interesse calcolati.

E il Riesame manda fuori Antonio per “insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza: di usura non c’è traccia in nessuno dei sei casi a lui contestati”. Finita qui? No. I “casi” contestati dalla procura si moltiplicano, fino a diventare una sessantina. “A me pareva surreale. I clienti finanziati erano meno dell’1 per cento, un’inezia del fatturato. Addirittura la finanza che svolgeva le indagini solo quattro anni prima aveva controllato tutta la nostra attività dal 1991 al 2001: e risultava tutto in regola, compresi quelli per cui ora ci accusavano. Ma non poteva che essere tutto in regola: i prestiti partivano dai conti correnti dell’azienda e andavano su quelli dei bar. Contabilizzavamo pure gli interessi”. Dei 60 casi “usurati”, solo sei infatti si costituiscono parte civile.

I testi del pm arrivano in aula e ricordano i tempi in cui Antonio Mauro salvò il loro bar. Pare grottesco. Ma il meglio deve arrivare. “Il consulente dell’accusa, in un prestito di circa venti milioni di lire, rilevò un tasso “usurario” del 68.960.000 per cento! In aula sostenne che “tendeva all’infinito”. Praticamente il debito pubblico italiano. Improbabile. Ma per questa consulenza viene chiesta una liquidazione di 518 mila euro”. I difensori di Maurizio si oppongono, la cifra si riduce a 57mila euro. E non è neppure finita, perché anche il tribunale nomina un suo perito; che stabilisce che in nessuno dei 60 casi c’è qualcosa di configurabile come usura: i tassi ballano intorno all’8-10 per cento, talvolta sono pari allo 0-0,5 per cento, chiedete in banca e vedete che vi rispondono. La perizia viene depositata il 19 gennaio 2012. Il processo poteva finire lì.

Invece occorrono ancora quasi due anni prima che i giudici stabiliscano che non c’è mai stata usura; gli ex proprietari dell’azienda vengono assolti: i Mauro sono stati tuttavia condannati a 4 anni, dei quali 3 indultati, per associazione a delinquere finalizzata all’esercizio abusivo del credito: e cioè perché, come il 99 per cento delle grandi aziende dell’epoca, non utilizzarono per i prestiti una finanziaria, ma li fecero autonomamente. “In appello questa accusa cadrà”, dicono gli avvocati della difesa, confidano che proprio l’Associazione di categoria e la Commissione Europea abbiano ritenuto inutile la costituzione di una finanziaria. Una condanna senza la quale, probabilmente, i Mauro avrebbero potuto chiedere i danni allo Stato per decine di milioni di euro. Invece difficilmente si arriverà ad un secondo grado: per la buona ragione che il 17 dicembre i reati andranno in prescrizione.

L'Opinione

L’influenza di stagione
si chiama “renzite”

di Maurizio Bonanni
12 dicembre 2013POLITICA
 
Vi ricordate la “Kryptonite”? Per chi, come me, “non ha più l’età”, era un minuscolo frammento minerale del pianeta di origine fatale all’alieno Superman, un personaggio che i più giovani conoscono attraverso i cartoon e i film di fantascienza, tipo Batman o Spiderman. La “renzite”, che ha una vaga assonanza con l’influenza di stagione, invece, si presenta come una pietra filosofale, in grado di produrre gli stessi, tremendi effetti della Kryptonite sull’establishment politico italiano. Soprattutto a sinistra. Si sa, i popoli (tutti!) passano la vita a costruirsi Totem da adorare, ai quali attribuiscono, di volta in volta, poteri magici, taumaturgici e, in generale, sovraumani, chi li affranchino o li liberino dai dolori e dalle miserie terreni.
In questo senso, è davvero il turno di Renzi. Grazie al Pd che, pur essendo l’unico partito-chiesa sopravvissuto alla Guerra Fredda (finita, ufficialmente, nel 1991), sa farsi del male come nessun altro al mondo, scegliendo le primarie “aperte”, che sanno pescare i futuri leader al di fuori delle parrocchie chiuse, rappresentate dai circoli e dalle sezioni del partito. “Exit” Bersani l’Emiliano, “come-in” Renzi il Fiorentino. Allora, quali scenari si profilano, da oggi, con una segreteria del Partito Democratico composta da giovani leoni, che non hanno nulla a che fare con la storia del Pci e della Dc? Diciamo subito che il risultato immediato - quanto meno, apparente - potrebbe essere quello della rapida dissoluzione dello schema consociativo del catto-comunismo, che ha rappresentato l’ideologia dominante in Italia, dal 1948 a oggi. Da qui discendono le seguenti correnti di pensiero, in via di formazione e di definizione.
La prima vede i “Barbari” insediarsi molto presto nella “Sala Ovale” di Palazzo Chigi, con Matteo Renzi che sfila, senza tanti riguardi, la poltrona presidenziale a Henry Letta, con grande ambascia di Napolitano. Questo perché, se è vera la minaccia per cui: “o il Governo si dà da fare, o va a casa”; oppure “la riforma elettorale è mia e la gestisco io”, allora è chiaro che i giochini di potere quirinalizi (tipo: “tutto cambi, affinché nulla cambi”) sono arrivati al capolinea. Anche perché Napolitano, strada facendo, si è fatto dei nemici giurati, che hanno dalla loro la maggioranza relativa dell’elettorato italiano, come Berlusconi e Grillo. Ed è proprio da questi tre “outsider” (SB, Grillo e Renzi) che sta per arrivare il colpo di grazia all’immobilismo e al nullismo politico, che caratterizza questa drammatica fase di transizione, caratterizzata dall’acuta scarsità di risorse pubbliche e dalla rivolta, sempre più accentuata, dei “creatori netti di ricchezza”, contro i “consumatori netti di ricchezza”.
I primi sono sempre meno, per via della drastica diminuzione della popolazione attiva italiana e per il sensibile declino del numero e del fatturato delle aziende produttive. I secondi, invece, sono maggioranza assoluta nel Paese, e s’identificano con: milioni di pensionati, che percepiscono pensioni superiori ai contributi netti da loro versati; i ceti parassitari della politica; la burocrazia e tutti coloro che, in modo diretto o indiretto, vivono di spesa pubblica. Davvero un bel problema, perché chiunque si voglia insediare, in futuro, a Palazzo Chigi e nelle segreterie dei partiti, non potrà evitare il confronto con questa maggioranza di blocco, capace di impedire qualsiasi cambiamento sostanziale del sistema, che ne comporti una perdita, più o meno rilevante, delle attuali rendite di posizione.
Si tratta, infatti, di un blocco sociale coeso e molto esteso, beneficiario dei privilegi e della sicurezza economica, che gli derivano dalla sicurezza del posto di lavoro e dalla relativa inamovibilità, garantiti da risorse pubbliche. Questa maggioranza di “assistiti”, tra l’altro, ha come alfieri vittoriosi tutti i maggiori sindacati di categoria e una miriade di organizzazioni minori dei lavoratori pubblici, in grado di bloccare, in ogni momento, la “giugulare” del Paese, attraverso scioperi selvaggi e mirati.
Renzi, all’apparenza, non sembra avere i mezzi e gli strumenti intellettuali necessari, per affrontare il problema dei problemi, rappresentato dalla costruzione, in tempi il più possibili rapidi, di uno Stato “Leggero”, burocraticamente parlando, attraverso un forte alleggerimento della pressione fiscale, affinché i cittadini siano liberi di scegliersi i fornitori privati di servizi (oggi pubblici), come sanità, scuola, trasporti. Pertanto, la seconda corrente di pensiero, vede un arroccamento di Renzi, nell’immediato, sulle due questioni più spettacolari: la riforma elettorale e istituzionale e, a seguire, quella del welfare e della parziale liberalizzazione del mercato del lavoro.
Su ambedue i fronti, troverà di trasverso la parte più tradizionale e conservatrice del suo partito, mentre, paradossalmente, l’attuale opposizione di Fi (e, forse, Grillo) potrebbe convergere tatticamente sulle sue proposte, pur di ottenere, sul filo di lana, un’apertura della finestra elettorale per il marzo 2014. Da un lato, infatti, il modello renziano del “Sindaco d’Italia” – a Costituzione invariata, dati i tempi stretti – potrebbe risolversi in un modello di compromesso, per cui s’innalza la soglia (al di sopra del 40%) per ottenere il premio di coalizione del 55% e, nel caso che nessuna lista superi il suddetto sbarramento, le due più votate vanno al ballottaggio e il capolista di quella risultata vincente viene indicato al Presidente della Repubblica per l’incarico di primo ministro.
Nel modello è incluso il voto di preferenza e il ridisegno dei collegi in circoscrizioni molto più ristrette. Su questo schema, Renzi potrebbe cercare l’accordo con Berlusconi che, in un confronto diretto con il nuovo segretario del Pd (beneficiario di un mandato plebiscitario, grazie alle recenti primarie), non potrebbe mai più cavalcare lo spettro del “pericolo comunista”, potendosi dedicare a temi molto più sentiti, come l’abbattimento dell’attuale livello di tassazione e la realizzazione di uno Stato leggero ed efficiente. Sulla riforma del lavoro (aspetto cruciale per il rilancio degli investimenti italiani ed esteri), Renzi non avrà vita facile, perché la rivoluzione vera, all’interno dell’attuale contenitore post-comunista, è quella storica di staccare dalla motrice politica del partito il blocco inerziale del maggiore sindacato di sinistra: la Cgil.
Una cosa, però, è sicura: la “renzite” obbligherà il Governo Letta a mettere le ali sulle riforme di sistema, per sfuggire all’ordine imperativo del: “tutti a casa!”. La protesta dei “Forconi” può essere, oggi, mero folklore e un problema minore di ordine pubblico. Domani, invece, la protesta fiscale potrebbe rappresentare l’arma finale, per la giustiziazione di questo governo e dell’attuale, intollerabile sistema di privilegi, di cui beneficiano i politici e la burocrazia italiani.

nazionale.elog.it

Dirigenza di ottusi
contro le proteste

di Arturo Diaconale
12 dicembre 2013EDITORIALI
 
Lo schema mentale è tragicamente ottuso e stabilisce in maniera apodittica che se la protesta di piazza non è della sinistra politica e sindacale o anche dei “compagni che sbagliano” della sinistra extraparlamentare, è automaticamente di destra. E quindi eversiva, ribellistica, priva di qualsiasi valore, espressione solo di spinte irrazionali a cui si può e si deve contrapporre solo una severa e giusta repressione.
Con questo schema la classe politica dominante, permeata di pregiudizi maldigeriti lasciati in eredità dalla vecchia egemonia di stampo gramsciano, sembra decisa ad affrontare il fenomeno delle agitazioni che si accedono in maniera spontanea nelle principali città italiane e che rischiano non solo di paralizzare il Paese, ma di gettarlo in una spirale di tensione del tutto incontrollabile.
A nessuno passa per la testa di considerare che se nelle piazze s’incontrano senza preordinazione alcuna gli autotrasportatori e gli operai disoccupati o cassintegrati, i professionisti ed i piccoli imprenditori delle partite Iva ed i precari o i senza lavoro che formano il nerbo degli ultrà degli stadi, vuol dire che il disagio per la crisi ha raggiunto il livello di guardia e può traboccare da un momento all’altro.
La reazione pavloviana è che se questa gente non ha alle spalle i sindacati o i partiti (in particolare della sinistra) e non è espressione neppure dei centri sociali, non può essere che massa bruta infiltrata da estremisti di destra e non esprime nulla di politicamente e socialmente rilevante non una rabbia eversiva di tenere a bada solo con la forza pubblica. Dispiace che questo schema abbia trovato l’interprete istituzionale nel ministro dell’Interno Angelino Alfano, che dovrebbe essere estraneo ai pregiudizi della sinistra post-gramsciana. Ma tant’è.
La reazione ufficiale del governo al fenomeno è la promessa di manganelli in nome della difesa dell’ordine pubblico. O, peggio, l’assicurazione del ministro Saccomanni che il prodotto interno lordo ha fermato la caduta e che nel quarto trimestre del 2014 si incomincerà a vedere la luce della ripresa. Ma possono essere i manganelli e le promesse assurde a fermare il disagio crescente della parte più disperata ed in difficoltà della società italiana?
E può essere lo schema manicheo che rende un corpo estraneo alla società qualunque pezzo di società non sia espressione di una qualsiasi parte della sinistra a riportare la tranquillità nelle piazze d’Italia? Il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, sembra convinto che l’ennesimo voto di fiducia dato da Camere brutalmente delegittimate dalla Corte Costituzionale possa essere una risposta efficace alla protesta popolare.
Come se la disperazione dei Forconi possa essere placata dal “patto alla tedesca” tra lui stesso, Renzi e Alfano. A sua volta il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sembra colpito solo dalla preoccupazione di evitare ad ogni costo le elezioni anticipate tenendo in piedi a qualsiasi costo il Governo delle piccole intese. E preferisce ignorare una protesta che non provenendo dalla sinistra è oggettivamente espressione di eversori e banditi.
Il guaio, però, che lo schema non aiuta a risolvere. E che l’atteggiamento del Governo e del suo Lord Protettore non spinge i manifestanti a liberare le strade e tornare nelle proprie case. Per secoli si è irriso su Maria Antonietta che aveva proposto di dare brioches a chi voleva pane e libertà ed aveva scambiato una rivoluzione per una rivolta. Speriamo che il futuro non faccia irridere sulle Marie Antoniette nostrane che a chi chiede misure concrete contro la crisi risponde che lo spread è calato e che tra un anno si vedrà la luce!
nazionale.elog.it

Chiara Lubich e l’amore nella Chiesa



L’importanza del concilio Vaticano II per la fondatrice del Movimento dei Focolari. 

Chiara Lubich e il Vaticano II: una passione immediata, un legame profondo che segnò per sempre il percorso spirituale della fondatrice del Movimento dei Focolari. Così scriveva al pastore luterano Klaus Hess il 13 ottobre 1962, due giorni dopo l’apertura del concilio: «Carissimo Pfarrer Hess, potrà immaginare con quale esultanza stiamo vivendo a Roma questi giorni dell’apertura del Concilio! Penso che anche Lei avrà seguito con amore quello che la Chiesa Cattolica sta facendo». Chiara lo invita a «respirare con noi quell’atmosfera soprannaturale che già avvolge tutta Roma e conoscere Vescovi o Cardinali che hanno la bontà di visitarci tanto spesso in questi giorni. Continuerebbe così quel dialogo aperto l’anno scorso con tanto risultato e continueremmo ad essere strumenti, magari inutili e infedeli, ma sempre strumenti perché il testamento di Gesù si realizzi fra tutti».
Per Lubich il Vaticano II è «il Concilio del dialogo per quella sua grande apertura che non è cedimento della verità della fede, ma comprensione nuova verso le altre Chiese e comunità ecclesiali, possibilità di confrontare le ricchezze che ogni tradizione cristiana ha cercato di conservare, riscoperta di ciò che unisce i cristiani sin da ora». Accanto, c’è «il dialogo più vasto con i credenti di altre religioni, e quello planetario con gli uomini di buona volontà, con i non credenti, che ha aperto nuove possibilità alla missione evangelizzatrice della Chiesa» («Città Nuova», n. 20, 1982, p. 11. Articolo tratto da un intervento pubblicato sull’Osservatore Romano per il ventesimo anniversario dell’inizio del concilio Vaticano II).
Parole, queste di Chiara, che sembrano pronunciate oggi, tanto sono attuali, mentre si avvicina — con la richiesta formale firmata a Castel Gandolfo il 7 dicembre dalla presidente Maria Voce in occasione del settantesimo anniversario del movimento — il processo di canonizzazione della fondatrice dei Focolari. Un atto, ha dichiarato Maria Voce, che «invita tutti noi a una santità ancora più grande, a costruirla giorno per giorno nella nostra vita, per contribuire a far emergere quella “santità collettiva”, “santità di popolo” a cui Chiara tendeva».
C’era e c’è una meta da raggiungere, quella dell’unità. A indicarla, all’umanità intera, è stato il concilio, afferma Lubich, attraverso i suoi decreti e costituzioni: «La Chiesa vista come comunione, la riflessione insistente sulla presenza di Cristo fra coloro che sono uniti nel suo nome, l’Eucaristia riaffermata come vincolo dell’unità, la preminenza della carità». Chiara spiega che attuare il concilio significa «accelerare il cammino dell’umanità verso l’uno, far fiorire in mezzo a quest’ansia di unità, che caratterizza il nostro tempo, la presenza di Cristo». Esistono due poli di questa visione: la collegialità da un lato, la riaffermazione della funzione dei laici nella Chiesa e nella società dall’altro.
È a questo secondo punto che Chiara dedica un approfondimento, nell’ottobre 1964, sempre su «Città Nuova». Racconta che «al Concilio si è parlato del laicato e alcuni Padri si sono mostrati poco soddisfatti dello schema troppo “clericale” dove la figura del laico non è messa nella sua giusta luce e si insiste piuttosto sulla semplice funzione d’aiuto alla Gerarchia. Forse — osserva — si staglierebbe meglio la figura del laico, che pure anch’egli è “Chiesa”, se si spiegassero un po’ più estesamente e meglio alcuni aspetti di Maria Santissima». È lei il modello, anche se «eccezionale e singolare», del laico. Cristiana perfetta, fidanzata, sposa, madre, vedova, vergine, modello di ogni cristiano: «Maria, laica come noi laici, sta a sottolineare che l’essenza del cristianesimo è l’amore», che rende la Chiesa «uno», come nella Trinità. Ella, conclude la fondatrice dei Focolari, «presenta al mondo la Chiesa quale Gesù l’ha desiderata e tutti gli uomini oggi l’attendono, perché solo così la Chiesa oggi può adempiere degnamente la sua funzione di contatto e dialogo col mondo al quale spesso poco interessa la Gerarchia, ma è sensibile alla testimonianza dell’amore nella Chiesa, anima del mondo».
L'Osservatore Romano

Tredici motivi per dire no alla legge sull'omofobia

Parlamento

di Gianfranco Amato

Il 3 dicembre scorso il senatore Carlo Giovanardi dirama il seguente comunicato stampa: «Ho chiesto oggi al Governo in Commissione Giustizia, dove è in discussione a marce forzate (notturna compresa) il disegno di legge che criminalizza le opinioni in tema di omosessualità, su quali dati viene denunciata una “emergenza nazionale” di omofobia, per contrastare la quale si vorrebbe far passare questa legge liberticida. Ho citato a proposito casi eclatanti spacciati negli ultimi mesi per omofobia con grande clamore mediatico, risultati poi totalmente infondati. Il Governo, rappresentato dal Sottosegretario Ferri, si è impegnato a fornire i dati eventualmente in suo possesso, e il senatore Sergio Lo Giudice del PD ha candidamente ammesso che sarà la stessa legge a prevedere un monitoraggio, per verificare se esiste  quella emergenza che viene invocata come presupposto per farla approvare in tempi record dal Parlamento». 
Il punto è che un'emergenza omofobia nel nostro Paese semplicemente non esiste. Nonostante ciò, ad occupare il primo posto nella scala delle priorità della politica e del parlamento non è la crisi economica ed istituzionale, non sono i problemi del lavoro, dei disoccupati e degli esodati, delle imprese che chiudono, della salute dei cittadini. No, il problema dei problemi in Italia è l’omofobia. Questo grazie ad una massiccia e ben orchestrata campagna mistificatoria che vuole convincere l’opinione pubblica della necessità di procedere a tappe forzate e sedute parlamentari notturne per l’approvazione di una legge che ponga immediatamente fine all’ingiusta discriminazione patita dagli omosessuali, quasi fossero gli afroamericani nell’Alabama degli anni Sessanta, o i black people nel Sudafrica dell’apartheid boero.
In realtà il disegno di legge in discussione al Senato mostra una pericolosa natura liberticida e apre a inquietanti prospettive giuridico-sociali. Meritano di essere ricordati i motivi per cui occorre opporsi a questo sciagurato intervento normativo.
1) Le norme in discussione si inquadrano in una mera prospettiva ideologica, del tutto inutile sul piano legale, poiché gli omosessuali e i transessuali già godono degli strumenti giuridici previsti dal codice penale per i tutti i cittadini, contro qualunque forma di ingiusta discriminazione, di violenza, di offesa alla propria dignità personale. Ogni individuo, infatti, in quanto tale è protetto dal sistema penale di fronte a qualsiasi azione lesiva. Per quando riguarda, in particolare, la tutela da qualunque forma di discriminazione, l’art.3 della Costituzione italiana recita testualmente che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Sesso e condizioni personali sono quindi già contemplati dalla Costituzione come elementi specifici rispetto ai quali non sono ammissibili forme di discriminazione. E solo frutto di una prepotente campagna di mistificazione della realtà come si è detto, l'idea che sussista oggi nel nostro Paese una condizione di discriminazione tale da giustificare una specifica – e quindi privilegiata – tutela giuridica, in ragione di scelte sessuali personali e arbitrarie.
2) Le fattispecie di reato delineate nel disegno di legge in discussione sono accomunate dal fatto di porre omosessualità e transessualità quali valori collettivi da tutelare in sé, attraverso una tutela speciale per i soggetti che ne sono portatori, al di là di quella che il sistema penale assicura a qualunque comune cittadino. Appare del tutto evidente che siamo di fronte ad una proposta assurda, oltre che giuridicamente infondata, perché analoga protezione potrebbe essere invocata da una serie infinita di soggetti in ragione di proprie condizioni personali, quali quelli di essere cultori di caccia e pesca, di essere obesi, fumatori, di appartenere a tifoserie calcistiche, di essere amanti del gioco d'azzardo e delle corse di cavalli, oppure magari anche cattolici ortodossi e praticanti. Appare a tal proposito del tutto pertinente la domanda posta da Piero Ostellino, un giornalista di estrazione laica e liberale, in un controverso editoriale pubblicato dalCorriere della Sera: «Non riesco a capire perché picchiare un omosessuale sarebbe un’aggravante, mentre picchiare me — che sono “solo” un essere umano senza particolari, selettive e distintive, qualificazioni sessuali — sarebbe meno grave. Picchiare qualcuno è un reato. Punto, basta e dovrebbe bastare». In mancanza di reali esigenze concrete, qualunque ampliamento delle garanzie giuridiche già esistenti produrrebbe l'effetto paradossale di sconvolgere e rovesciare l'ordine etico della società umana. Infatti, l'inevitabile punto di approdo di qualunque intervento normativo –com’è già avvenuto in altri Paesi europei – è costituito dal matrimonio omosessuale, dall'adozione di bambini da parte di coppie omosessuali, nonché dalla loro “produzione” attraverso la pratica della maternità surrogata.
3) Le norme che si intendono approvare mirano, in realtà, ad introdurre attraverso la forza pedagogica della legge, l’idea che eterosessualità ed omosessualità siano condizioni naturali paritarie, anzi che l’omosessualità meriti un plusvalore a livello giuridico, un quid aggiuntivo a livello di tutela legale rispetto all’eterosessualità;
4) La legge in discussione al Senato introduce una nuova figura di reato su un presupposto – il concetto di “omofobia” e “transfobia” – che non viene definito. L’omofobia e la transfobia, infatti, non sono patologie conosciute dalla scienza medica. Nessuna legge dell’ordinamento giuridico italiano definisce i concetti di omofobia e transfobia. Nessun magistrato in nessun provvedimento giudiziale ha mai definito il concetto di omofobia e transfobia. In assenza di un’espressa definizione normativa di tale concetto, il rischio che si corre è quello di creare una sorta di “reato giurisprudenziale”, il cui contenuto precettivo verrà rimesso all’autorità giudiziaria chiamata a pronunciarsi sul singolo caso, con buona pace del principio di oggettività del reato. Il punto è che negli Stati di diritto a impronta liberale il cittadino deve sempre conoscere preventivamente quali sono le conseguenze del suo comportamento, soprattutto se queste possono determinare effetti di carattere penale. Il contrario è tipico degli stati totalitari e dittatoriali. E’ noto l’esempio del famigerato e indefinito “reato di attività antisocialista” vigente nell’ex Unione Sovietica.
5) In gioco non c’è soltanto la libertà religiosa ma la stessa libertà di opinione, poiché la proposta di legge, così come formulata, non potrà non avere gravi ripercussioni sui diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione, tra cui il diritto alla libertà di pensiero (art.21) e alla libertà religiosa (art.19).
6) La legge in discussione al Senato si pone in contrasto con un altro principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico. Questo, infatti, non prevede che si possa essere puniti per un fattore puramente interiore, indeterminato e indeterminabile, quale il motivo che muove l’azione. I motivi sono rilevanti soltanto come circostanze e servono per graduare la pena. Se così non fosse, ci troveremmo nell’orizzonte di quel diritto penale che non punisce tanto il fatto quanto l'atteggiamento soggettivo, e che ha tristemente caratterizzato i regimi totalitari nella loro esiziale opera di controllo delle coscienze e di imposizione dell'ideologia di Stato. Infatti, solo la legge penale che punisce i fatti lesivi, le azioni dell’uomo e non la loro matrice psicologica, pur utile in certe circostanze a colorare le modalità dell'azione e quindi a misurare la gravità del reato, pone il singolo al riparo dalla invasione del potere pubblico nella propria sfera intima e da ogni possibile arbitrio. 
7) Un altro degli errori di fondo contenuti nella proposta di legge in discussione è il fatto di aver utilizzato per la – ingiustificata – tutela di omosessuali e transessuali lo strumento normativo della cosiddetta legge Mancino, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, ovvero la legge italiana che condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici religiosi o nazionali. 
La ratio delle norme della legge Mancino, in realtà, è quella di assicurare la convivenza pacifica tra gruppi divisi da forti sistemi di pensiero anche religioso. Ed è in omaggio a questo interesse superiore che anche la limitazione della libertà di manifestazione del pensiero può invocare qualche giustificazione. Mentre tutt'altra valutazione spetta ai reati commessi per motivi di «omofobia» e «transfobia», che non trovano alcun fondamento né in una diffusa ostilità capace di creare un clima oggettivamente persecutorio, né in una situazione di obiettivo svantaggio da ricomporre. Semmai una sorta di successo mediatico, alimentato dalla sapiente orchestrazione, ha posto paradossalmente il fenomeno omosessuale al centro dell'interesse politico e lo ha imposto ad una società culturalmente sempre più disarmata.
8) Con le nuove norme in discussione al Senato potrà essere considerato comportamento omofobo punibile penalmente anche quello di un privato cittadino che pubblicamente sostenga che è giusto impedire agli omosessuali e ai transessuali l’accesso al diritto di sposarsi e a quello di adottare minori; che l’omosessualità rappresenta una «grave depravazione», citando le Sacre Scritture della religione cristiana (Gn 19,1-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tm 1,10), o che gli atti compiuti dagli omosessuali sono «intrinsecamente disordinati», «contrari alla legge naturale», poiché «precludono all’atto sessuale il dono della vita e non costituiscono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale» (art. 2357 Catechismo cattolico); che omosessualità e transessualità appartengono oggettivamente alla sfera etico-morale, e possono quindi essere sottoposte ad un giudizio di riprovazione; che vi sono ambiti nei quali non può considerarsi ingiusta discriminazione il fatto di tener conto della tendenza sessuale (per esempio nell’adozione o nell’affidamento di minori).
9) Non va peraltro dimenticato l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione (Sez. I, n. 47894 del 22 novembre 2012), che ha ritenuto di qualificare come «propaganda» ai sensi della Legge Mancino la semplice esternazione pubblica di un’idea, ribaltando entrambe le sentenze di primo e secondo grado, che avevano, invece, dato della norma un’interpretazione tale da evitare una compressione eccessiva della libertà di manifestazione del pensiero.
10) Includere l’orientamento sessuale fra le considerazioni sulla base delle quali è illegale discriminare può facilmente portare a ritenere l’omosessualità quale fonte positiva di diritti umani, ad esempio, in riferimento alla cosiddetta affirmative action, ovvero lo strumento politico che mira a ristabilire e promuovere principi di equità razziale, etnica, di genere, sessuale e sociale. In altre parole, nel momento in cui si riconosce che la categoria degli omosessuali e transessuali è stata ingiustamente discriminata al punto da meritare una privilegiata tutela giuridica, occorre rimediare agli effetti della discriminazione attraverso misure compensative, quali ad esempio quote riservate. E’ ciò che è successo con gli afroamericani negli USA. Gli obiettivi della affirmative action sono raggiunti, normalmente, attraverso quote riservate nelle assunzioni, nelle cariche istituzionali, nell’assegnazione di alloggi pubblici, nell’erogazione di servizi e così via. Già qualcuno comincia a parlare di “quote viola”, in analogia rispetto quanto accaduto con le cosiddette “quote rosa”. 
11) Non regge l’eccezione introdotta nelle norme in discussione al Senato per cui «non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni». Dal che si deduce che la manifestazione di idee omofobiche d’ora in poi sarà punita soltanto in ambito domestico, nelle assemblee condominiali, allo stadio e negli stabilimenti termali. Non occorre, del resto, possedere le formidabili capacità premonitrici di Nostradamus per capire che l’eccezione prevista nel disegno di legge non scamperà alla mannaia inesorabile della Corte Costituzionale. La discriminazione non può funzionare a corrente alternata: o è, o non è. E non si può neppure pensare che un comportamento sia considerato reato se posto in essere da un singolo, mentre sia ritenuto perfettamente lecito nel caso in cui il singolo si associ con altri.
12) Problemi non meno gravi di compatibilità con l’intero sistema normativo pone anche la previsione nelle norme che si intendono approvare al Senato, della aggravante contemplata nella legge Mancino, estesa a tutti i reati «puniti con pena diversa da quella dell’ergastolo», se commessi per motivi di omofobia o transfobia. Una pennellata di arcobaleno a tutto il nostro codice penale. Ora, occorre precisare che le circostanze aggravanti, così come le attenuanti, incidono sulla gravità del reato (e di conseguenza sulla entità della pena concretamente inflitta), o perché il fatto risulta oggettivamente più o meno grave (es. la speciale tenuità del danno patrimoniale nei delitti contro il patrimonio), o perché nell‘azione si riflette il sostrato psichico che l’ha mossa (es. motivi futili e abietti, o di particolare valore morale o sociale), fornendo al giudice anche elementi per la valutazione della capacità a delinquere e della personalità dell’autore. La circostanza modifica quantitativamente la gravità del reato, mentre il valore tutelato rimane identico.
Invece, una volta elevato il motivo “omofobico” o “transfobico”, in ragione del suo contenuto, a circostanza aggravante di un qualunque reato, è proprio questo suo contenuto ideale a dare una particolare colorazione al reato comune, che ne rimane qualitativamente modificato. L’oggetto della tutela, poniamo l’incolumità fisica, subisce uno slittamento e l’incidenza della circostanza si fa da quantitativa a qualitativa. 
Come circostanza comune, il motivo omofobico può accompagnare qualsiasi reato, cosicché la rosa dei reati potenzialmente interessati dall’aggravante di omofobia si estende pressoché all’intero codice penale, dall’abigeato alla turbativa d’asta. Per riassumere, se il motivo omofobico diventa capace di aggravare il reato comune ciò sta a significare che il fenomeno omosessuale viene considerato un plusvalore che si aggiunge al bene giuridico leso dal reato comune.
Ma forse l’aspetto più inquietante della previsione dell’aggravante ex Legge Mancino sta nello smisurato aggravio di pena che essa stabilisce (fino alla metà), e che sicuramente è in contrasto con l'articolo 27 della Costituzione, il quale prevede per le pene chiari limiti di contenimento.
13) Con le norme che si intendono approvare al Senato il motivo omofobico e transfobico, lungi dal presentarsi come elemento accessorio, introduce un valore aggiuntivo a quello tutelato dalla norma base e, assumendo il ruolo di elemento costitutivo, crea una serie indeterminata quanto surreale di reati di incerta configurazione. In ogni caso rimane aperto, e non è poco, il problema dell’accertamento. Come dimostrerà il giudice l'esistenza del motivo omofobico e soprattutto come potrà difendersi l'imputato? Questioni che non hanno turbato minimamente i promotori, e ancora meno gli estensori del disegno di legge.
Come se non bastasse, per tutti i reati viene stabilita la procedibilità di ufficio. Una trovata che deve essere sembrata di straordinaria efficacia dissuasiva in vista della eliminazione di ogni sacca di resistenza omofoba. Ma nonostante la bontà delle intenzioni, le norme in discussione non tengono conto di un possibile prevalente interesse dell’offeso ad evitare lo strepitus fori.
In conclusione con la fantomatica “omofobia” e “transfobia” non si punisce un fatto oggettivamente lesivo di un valore meritevole di tutela penale e caratteristiche personali che abbiano un interesse per l'intera collettività. Non si puniscono neppure comportamenti che mettono in pericolo categorie particolari di persone, dal momento che queste persone godono oggettivamente e in concreto delle libertà e della garanzie assicurate a tutti i cittadini e che, semmai, godono attualmente di una esposizione mediatica e politica e usufruiscono di spazi di libertà spesso capaci di deprimere esigenze educative e culturali altrui. Basti pensare a manifestazioni ostentatamente oscene che, anche in spregio alle norme di buon costume costituzionalmente garantite, vengono ingiustificatamente tollerate dalle pubbliche autorità.
Quella che viene punita con l’omofobia e la transfobia, in realtà, è la stessa libertà di pensieroancora prima della sua manifestazione. Siamo allo psicoreato, quello che la neolingua orwelliana definivacrimethink, il più pervasivo strumento repressivo delle istituzioni totalitarie descritte in 1984. Se passano le norme in discussione al Senato, anche a noi potrà capitare, come ai disgraziati cittadini dell’immaginaria Oceania di Orwell, di essere incriminati di psicoreato, ogni volta che oseremo soltanto elaborare un pensiero omofobo o contrastante con le teorie del nuovo Socing e le direttive del Grande Fratello. Davvero un capolavoro!
La nuova bq

I beati martiri della Birmania



di p. Piero Gheddo

Il 9 dicembre scorso Papa Francesco ha firmato il Decreto che approva il martirio dei servi di Dio Mario Vergara, sacerdote del Pontificio Istituto Missioni Estere, e Isidoro Ngei Ko Lat, laico e catechista, uccisi in odio alla fede a Shadaw in Birmania (oggi Myanmar) il 24 maggio 1950. Il Processo diocesano per la Causa di Beatificazione era stato iniziato nel 2003 da mons. Sotero Phamo, vescovo di Loikaw e figlio di un catechista di padre Vergara. La Chiesa birmana festeggia così il suo primo beato e il Pime il suo quinto missionario elevato alla gloria degli altari.
Padre Mario Vergara nasce a Frattamaggiore (diocesi di Aversa) il 16 novembre 1910. Nel 1929, dopo gli studi presso il seminario minore dei gesuiti a Posillipo, viene ammesso al seminario di Monza del Pime. Il 26 agosto 1934 è ordinato sacerdote dal cardinal Ildefonso Schuster e a fine settembre parte per la Birmania, allora colonia inglese. Al suo arrivo, p. Vergara viene accolto dal vescovo Sagrada, vicario apostolico di Toungoo, che nel 1936 gli affida del distretto di Citaciò, una vasta regione di montagna e foreste abitata dai cariani Sokù, una delle popolazioni più povere e primitive della Birmania. Padre Mario è uno dei primi missionari che annunziano Cristo a questa etnia. Visita i villaggi, fonda scuole elementari, costruisce cappelle e porta in missione i bambini orfani, ammalati, denutriti. Aiutato dalle Suore della Riparazione, allo scoppio della seconda guerra mondiale, aveva 82 piccoli nel suo orfanotrofio, accanto al quale un ospedaletto e un sanatorio, per i malati di tubercolosi, malattia allora comunissima.
La missione di Citaciò fiorisce anche attraverso l’opera dei catechisti, ma nel 1941 padre Vergara viene internato nel campo di prigionia inglese di Dehra Dum in India insieme ad altri missionari italiani, considerati "nemici" dagli inglesi. Dopo 4 anni segnati da gravi problemi di salute, nel corso dei quali subisce persino l'asportazione di un rene, viene rilasciato e parte in treno per Hyderabad in India, dove c’erano i confratelli del Pime. Nell'autunno del 1946 riesce a tornare in Birmania e viene inviato dal vescovo Lanfranconi a Pretholé sui monti dei cariani a 2000 metri di altezza, dove oggi c’è la diocesi di Loikaw (una delle sei fondate dal Pime in Birmania), per far rinascere la missione abbandonata durante la guerra mondiale.          
Il 1° gennaio 1948, la Birmania diventa indipendente dall’Inghilterra e pochi mesi dopo scoppia la “guerra dei cariani” (1948-1953), la tribù maggioritaria, che chiedevano l’indipendenza dalla Birmania, dominata dai birmani, loro nemici storici prima della colonizzazione inglese. Il distretto di Pretholé è però lontano dalla guerra e Vergara continua nella sua missione, aiutato, dal settembre 1948, dal giovane missionario padre Pietro Galastri di Arezzo (1918-1950). In una delle sue prime lettere da Pretholé (1947) Vergara scriveva: “Abito in una capanna di bambù, posta su un cocuzzolo di monte. Vento e sole entrano liberamente, se piove ho il bagno a domicilio, proprio come i grandi signori… eh, quando uno nasce fortunato! Per mobilio due sedie e un tavolino che ho fatto col coltellaccio del mio catechista; per cibo un po’ di riso con erbe di bosco. A sinistra catene di monti digradanti fino alla pianura di Loikaw e popolatissimi: sono duecento i villaggi di cariani rossi e alcuni di shan. I protestanti vi giunsero vent’anni fa, capite?”.
Padre Mario, oltre a una grande fede, bel carattere e capacità di realizzare iniziative a favore dei cariani (in campo educativo e sanitario), godeva della fama di guaritore. Un bambino moribondo guarisce bevendo un sorso di vino da Messa, uno storpio che si trascina penosamente guarisce dopo alcuni massaggi del missionario alla gamba ammalata. Il martirio del padre Vergara e del catechista birmano Isidoro va inquadrato storicamente nel tempo della guerra dei cariani contro i birmani, disastrosa per i cariani e la Birmania, ma da essa inizia la conversione a Cristo di questa grande e forte tribù dei monti. I battisti erano fra i cariani da vent’anni prima dei missionari cattolici, cioè d’inizio del 1900 e avevano già compiuto un’opera di pre-evangelizzazione, con scuole e primo annunzio di Cristo e un certo numero di fedeli, soprattutto avevano formato la élite cristiana della tribù.
Oggi, con l’ecumenismo vissuto in tutte le missioni, questo sarebbe impossibile, ma i primi missionari cattolici tra i cariani erano letteralmente perseguitati. Facile immaginare la reazione dei battisti verso i due preti cattolici di Pretholé “concorrenti” che attiravano molta gente. Padre Mario racconta: “Mentre sono in cerca di maestri, i protestanti si portano sul luogo a sparlare della nostra religione. La gente, disgustata, non prende più né me né loro. Soffro indicibilmente, solo la preghiera di chi mi vuol bene mi può sostenere”. I battisti spargevano calunnie infamanti e proibizione ai locali di prestare ai preti cattolici qualsiasi servizio, nemmeno di vendere terre o cibo. La missione cattolica comunque si afferma, per la testimonianza di sacrificio e di paziente sopportazione di missionari e suore e si distingue perché aiuta, cura e accoglie tutti i cariani anche quelli non cattolici; inoltre i due missionari difendono i loro fedeli dalla persecuzione autentica che alcune forze ribelli, di religione battista esercitano contro i loro fedeli. Quando scoppia la guerra dei cariani, gli stessi cristiani si dividono: i battisti proclamano e dirigono la “guerra d’indipendenza” del popolo cariano, i cattolici rifiutano la resistenza violenta al governo della Birmania riconosciuto dall’Onu, anche per un motivo molto pratico: è impossibile uno stato separato dalla Birmania, quando i birmani sono il 59-60% degli abitanti e i cariani solo il 9-10%, sia pur concentrati in una regione abbastanza ristretta. Nel 1949 la guerra arriva anche nella regione di Pretholé. Ben presto la situazione precipita: il 24 maggio 1950 padre Mario Vergara viene arrestato insieme al maestro catechista Isidoro Ngei Ko Lat. I due vengono trucidati dai ribelli il giorno seguente e i loro corpi, chiusi in un sacco, vengono abbandonati alla corrente del fiume Salween. Anche p. Galastri, arrestato mentre è in preghiera, viene ucciso poco tempo dopo.
In quale situazione avviene il martirio di padre Vergara e di Isidoro? Nel dicembre 1949 il capo missione padre Vergara è invitato a partecipare a un convegno dei guerriglieri con i capi-villaggio della regione. Va con alcuni suoi catechisti e, richiesto del suo parere, anzitutto protesta perché i guerriglieri hanno ucciso alcuni cristiani e un suo catechista e poi si mostra del tutto contrario all’arruolamento di altre reclute cariane anche perché la sconfitta era quasi certa: l’esercito nazionale era molto ben equipaggiato e la gente cariana avrebbe ancor più sofferto la fame e le prevedibili ritorsioni. Questo suo atteggiameno gli attira l’odio del capo politico dei ribelli, un certo Tiré, battista fanatico, già maldisposto verso il missionario per le conquiste che faceva alla religione cattolica.
Nel gennaio 1950 la cittadina di Loikaw cade in mano alle truppe governative e divide in due la missione di Vergara e Galastri. I missionari sono costretti ad attraversare le linee per andare a Loikaw, unico luogo di rifornimento; incominciano a circolare voci che i padri sono spie del governo. Tale accusa prende consistenza quando l’11 maggio 1950 i guerriglieri cariani tentano di riprendere la cittadina di Loikaw, ma sono sconfitti e si ritirano lasciando sul terreno molti morti. La sera del 24 maggio padre Vergara è invitato ad andare dal capo Tiré. Ci va col suo catechista Isidoro e incontra Richmond, capo dei ribelli a tutti noto per le sue violenze e crudeltà. Richmond accusa il missionario di essere una spia e di altri crimini mai commessi. Discutono in inglese, i presenti non capiscono cosa dicono, ma vedono padre Vergara e il suo catechista uscire dalla casa ammanettati e avviarsi verso la foresta vicina, dove, a 24 chilometri, scorre il fiume Salween.
Poi i ribelli vanno alla missione dove trovano il giovane padre Galastri in preghiera e gli ordinano di seguirli. I due missionari e il catechista Isidoro sono fucilati sulla riva del Salween e gettati nel fiume chiusi in sacchi. Padre Galastri è ucciso il giorno dopo, quando al mattino del 26 maggio dal vicino villaggio la gente sente gli spari della fucilazione. Nel commentare la morte violenta dei due missionari e del catechista, padre Pasquale Ziello scriveva che erano stati vittime di una persecuzione ispirata dall’odio verso la Chiesa e la loro carità e auspicava che la Chiesa potesse un giorno sanzionare la sua convinzione dichiarandoli “martiri della fede e dell’amore. E il beato padre Paolo Manna ha dichiarava: “Si deve ritenere che padre Vergara e p. Galastri siano stati uccisi e fatti scomparire proprio in odium fidei”.
La prossima beatificazione rappresenta una fonte di grande gioia anche per la Chiesa birmana, che in Isidoro Ngei vede il suo primo beato, dopo il beato padre Clemente Vismara (1897-1988), con 65 anni di vita in Birmania, beatificato nel 2011. Nel maggio del 2008, la Conferenza episcopale scrive una lettera a Benedetto XVI per "chiedere umilmente al Papa di autorizzare lo studio della causa". La beatificazione di p. Vergara e del suo catechista, scrivevano i vescovi, "sarebbe un grande incoraggiamento per l'intera comunità cattolica del Myanmar a vivere una fede più in conformità con il Vangelo e a testimoniare in maniera coraggiosa ed eroica la propria fede, incoraggiati dall'esempio del catechista Isidoro che non ha esitato ad offrire la sua stessa vita per il Vangelo insieme a p. Vergara".

Stop al rapporto Estrela. Fontana esulta: “Abbiamo tutelato vita e famiglia”


di On. Fontana
Il Parlamento europeo ha respinto la risoluzione che chiedeva il divieto all’obiezione di coscienza in materia di aborto e l’educazione sessuale ai bambini senza il consenso dei genitori. L’eurodeputato della Lega Nord si gusta il successo: “Abbiamo fermato la deriva laicista che vuole la sinistra europea”.
Strasburgo 10 dicembre 2013 – Respinto oggi dal Parlamento europeo il rapporto Estrela su “Salute e diritti sessuali e riproduttivi”. Un successo targato anche Lega Nord. L’eurodeputato e capodelegazione del Carroccio Lorenzo Fontana esulta: “Abbiamo respinto un documento vergognoso che chiedeva di riconoscere l’aborto come diritto umano ed eliminare l’obiezione di coscienza e le campagne di dissuasione e di aiuto alle madri incinte; e ne abbiamo fatto approvare uno che al contrario tutela il diritto alla vita e il valore della famiglia. Abbiamo sventato con un lavoro politico di mesi, fatto sottotraccia, quello che sarebbe stato un atto criminale compiuto dalla sinistra europea contro valori universali come quello della vita, della maternità e del ruolo, della specificità e bellezza della donna”.
Aborto e non solo. Il documento a nome della deputata socialista chiedeva di inserire l’obbligo dell’educazione sessuale ai bambini in età d’infanzia senza il consenso dei genitori. “Cioè – continua Fontana – introdurre di fatto l’educazione di Stato su un tema così personale, delicato e complesso come la sessualità. Mi chiedo, si volevano sradicare i bambini dalle famiglie? Che società ha in mente la sinistra europea?”.
Omaggio alla Vergine di Guadalupe 

Una casa comune
per l'America

Nell'ambito del pellegrinaggio-incontro svoltosi nei giorni scorsi presso il santuario di Nostra Signora di Guadalupe, a Città del Messico, il cardinale prefetto della Congregazione per i vescovi e presidente della Pontificia Commissione per l'America latina - che ha promosso l'iniziativa con la collaborazione dei Cavalieri di Colombo e dell'Istituto superiore di studi guadalupani - ha tenuto la meditazione della quale pubblichiamo un ampio stralcio.

di Marc Ouellet
"L'America, che storicamente è stata ed è crogiolo di popoli, ha riconosciuto nel volto meticcio della Vergine di Tepeyac, "in Santa Maria di Guadalupe, un grande esempio di evangelizzazione perfettamente inculturata". Per questo, non solo al Centro e al Sud, ma anche nel Nord del Continente, la Vergine di Guadalupe è venerata come Regina di tutta l'America" (Ecclesia in America, 11).
Salute a te, o nostra regina!
Noi t'imploriamo di visitarci ancora per illuminare la strada dell'evangelizzazione nella nostra epoca dimentica di Dio, poiché tu sei la memoria vivente delle sue grazie, la stella polare nel firmamento delle sue meraviglie. La tua grande apparizione in questo luogo all'alba della prima evangelizzazione è stata il preludio d'una sinfonia di manifestazioni sull'intero continente, da Santa Maria Antigua a Panama fino a Nostra Signora di Luján in Argentina, da Notre-Dame du Cap in Canada fino a Nostra Signora di Aparecida in Brasile, in ogni nazione e diocesi tu ti sei resa presente e operante grazie alla fede viva del popolo di Dio. Ovunque tu sei regina, regina del cielo e regina della terra, regina degli apostoli e dei loro successori, tu sostieni la fede del popolo di Dio con il tuo "sì" sempre presente che sostiene nell'intimo ogni nostro sì alla parola di Dio. Inseparabile dallo Spirito Santo tu sempre accompagni con la tua fede la parola divina incarnata, la parola celebrata e messa in pratica da ogni battezzato. In ogni Eucaristia la tua tenerezza materna avvolge tutta l'assemblea e la unisce ineffabilmente alla divina comunione.
Madre sovrana, tesoriera delle grazie divine che si effondono dal fianco trafitto di tuo Figlio crocifisso, ottienici di accogliere la nostra missione come tu hai accolto la tua all'aurora della salvezza. Che lo Spirito Santo che ha concepito in te il Verbo d'amore dell'eterno Padre concepisca in noi l'obbedienza alla parola che fa di noi dei fratelli, delle sorelle e madri del Salvatore.
Ogni tua visita al nostro cuore è un invito alla conversione, un incitamento a vivere una carità più ardente verso tutti, ma in modo speciale verso i più sofferenti, quelli e quelle che tuo Figlio ha privilegiato e che ci domanda di amare senza calcolo e senza condizioni. Sulla collina di Tepeyac tu hai detto a Juan Diego d'andare in tuo nome a chiedere al vescovo di costruire una sacra casa in questo luogo, da cui tu potessi glorificare Dio ed annunciarlo al mondo con il tuo sguardo pietoso.
Quale gioia che sul colle del Vaticano il successore di Pietro abbia udito questo messaggio e si ponga in cammino con tutta la Chiesa su sentieri di misericordia, di compassione e di pace! Benediciamo Dio che il tuo primo figlio d'America chiamato a sedere sulla cattedra di Pietro sia così pieno di zelo nel rilanciare l'evangelizzazione tra i poveri! Preghiamo perché egli sia amato e ascoltato! Perché i giovani del continente si ricordino di Copacabana e s'impegnino risolutamente con Francesco nella rivoluzione dell'amore.
Fa' che anche noi vescovi d'America ascoltiamo il tuo messaggio con la stessa emozione di Juan de Zumárraga, con l'entusiasmo di tutti i santi evangelizzatori ed evangelizzatrici che hanno percorso prima di noi questi stessi sentieri. Che la nostra unità e il nostro ardore per l'evangelizzazione siano segni eloquenti della nostra fede vivente, in quest'Anno della fede in cui tutta la Chiesa gioisce nel celebrare la vittoria di Gesù sul peccato e sulla morte, la vittoria dell'amore sull'odio e sull'ingratitudine.
Costruirti una chiesa, non è forse raccogliere il tuo popolo entro una cinta sacra dove la parola di Dio tocca gli spiriti e i cuori? Costruirti una chiesa non è permetterti d'unire i tuoi figli in una sola famiglia sotto uno stesso tetto, attorno a una stessa tavola? Non è aprire uno spazio di fraternità, di riconciliazione e di pace al cuore delle nostre società segnate dai flagelli dell'ingiustizia, della droga e della violenza? Madre di misericordia, noi abbracciamo questa missione di costruire la Chiesa con te perché tutti assieme possiamo glorificare Dio e annunciare le sue meraviglie sul nostro continente. Su di esso tu hai moltiplicato i segni miracolosi che dissipano i nostri dubbi e fanno cadere le nostre resistenze alla volontà di Dio. Quante guarigioni si sono verificate nei nostri santuari dopo quella di Juan Bernardino! Quante conversioni hanno distolto le anime dalla schiavitù del peccato e le hanno rivolte verso la luce di Cristo! Quante vocazioni sono nate proprio qui sotto il tuo sguardo compassionevole e misericordioso che annuncia l'infinita tenerezza di Dio!
Noi siamo oggi davanti a te, Madre santissima, Madre del Dio vero e dei suoi figli diletti, per rinnovare la nostra fede in colui che ti ha scelta come messaggera del suo Vangelo. Il tuo annuncio è stato accolto in America, ha dissipato le tenebre dell'ignoranza, della superstizione e della paura. Che possa di nuovo risuonare fin nelle più remote periferie del Grande Nord canadese, dell'Amazzonia, delle Ande e dei Caraibi. Che sia portato da tutto un popolo, consapevole della propria appartenenza a un Dio d'amore e convinto d'essere da lui inviato per edificare il suo regno in terra d'America.
Domandiamo insieme a Dio, tu nostra Madre e noi con te, come una sola famiglia, di aumentare la nostra fede, di purificarla, di fortificarla, di renderla più coraggiosa e radiosa, affinché il mondo creda nel nome di Gesù, Figlio del Dio vivente, nostro solo e unico Salvatore. "La nostra fede resta viva solo se si comunica", amava ripetere il beato Giovanni Paolo II, il Papa della famiglia e della nuova evangelizzazione. Le nostre debolezze e i nostri errori sono certo di ostacolo, ma non ci impediscono di annunciare il Vangelo con un'energia nuova, con nuovi mezzi e un linguaggio più adatto. Che la nostra fede sia dunque creatrice e capace di conquistare!
Il nostro pellegrinaggio al tuo primo santuario d'America è un gesto di affetto sincero ma anche un gesto profondamente missionario. Risponde al tuo appello a costruire una casa comune per tutta l'America, una casa in cui poveri e ricchi ascoltano la stessa Parola e condividono la stessa mensa eucaristica, una casa in cui i conflitti sono risolti con il dialogo, con la pazienza e la riconciliazione


(©L'Osservatore Romano 12 dicembre 2013)
Da Benedetto a Francesco 

La rivoluzione
tranquilla

di Lucetta Scaraffia
A dicembre, come è consueto, si comincia a fare un bilancio dell'anno che sta per finire, e non c'è dubbio che nel 2013 dominanti sono state le dimissioni di Benedetto XVI e l'elezione di Papa Francesco, che oggi "Time" dichiara "uomo dell'anno". In questo passaggio la Chiesa ha dimostrato di saper uscire da una situazione difficile con un colpo d'ala - reso possibile dall'imprevista rinuncia di Ratzinger - che ne ha rivelato l'insospettata vitalità. E che tutto il mondo ha accolto con sorpresa e ammirazione.
È stata una rivoluzione tranquilla, come scrive Jean-Louis de La Vaissière già nel titolo di un libro su questo delicato passaggio. De Benoît à François, une révolution tranquille (Le Passeur) affronta la questione in modo approfondito, non solo informato, tenendo sempre presente la complessa personalità dei due Papi e le esigenze spirituali e apostoliche della loro missione. Ben lontano, quindi, da quei libri fondati su presunte rivelazioni che sono spesso frutto delle fatiche letterarie di molti vaticanisti.
Egli osserva che la rinuncia di Benedetto comincia subito a operare un rovesciamento: la stampa scopre improvvisamente il valore di quel Papa che era stato poco compreso, schiacciato su una immagine di severità e rigidità che gli veniva dall'aver occupato per tanti anni il difficile ruolo di prefetto dell'antico Sant'Uffizio. Si coglie nel suo atto la testimonianza di un'inedita libertà, di una rivoluzione che sembrava ben lontana dal suo spirito pacato, razionale, dal suo attaccamento alla tradizione. L'autore individua poi il terreno sul quale Benedetto ha lottato: non tanto su questioni sociali e politiche, ma per mettere Dio, il Dio cristiano, al centro del dibattito. Una battaglia a cui si è dedicato in mille modi, ben consapevole di parlare in un mondo che sembrava sordo alla voce della Chiesa.
Un uomo dell'interiorità, che difende sempre la devozione dei semplici pur non perdendo mai di vista il necessario lavoro di spiegazione e di purificazione della fede, da lui ritenuto essenziale. Un Papa che ama il dibattito delle idee, e vuole proteggere la libertà del fedele a ogni costo, ma che privilegia su tutto la coerenza. In un modo originale - scrive de La Vaissière - Benedetto denuncia il culto dell'autorealizzazione, che impedisce la buona relazione con l'altro e con Dio, e il sogno di vincere la morte con la scienza. Le sue critiche sono dettagliate, l'analisi acuta, e Francesco ne trarrà le conseguenze pratiche con un linguaggio più facile, più immediato, denso di esempi concreti. Ma la vera novità portata da Papa Ratzinger è l'apertura di un dialogo serrato con gli agnostici, collocato per importanza allo stesso livello di quello tra le religioni.
Bergoglio saprà trarre frutto da questo grande insegnamento su un piano meno gerarchico, meno intellettuale, più pastorale. La sua elezione viene considerata da de La Vaissière l'equivalente della caduta del muro di Berlino: l'uomo della periferia, che sceglie il nome di Francesco, accende subito immense aspettative. In sostanza, con il suo comportamento libero e nuovo, il Papa continua la rivoluzione di Ratzinger, che con la sua decisione ha cancellato le differenze fra conservatori e progressisti, ponendo al centro la carità, nel senso di calore, di fuoco. È spontaneo, ma non improvvisatore: l'energia che egli sa donare alla Chiesa per rimetterla in vita rimanda a qualcun Altro.
"La morale di Jorge Bergoglio è una morale del combattimento spirituale, del superamento, della scelta coraggiosa che rende felici" scrive de La Vaissière. La parola che il Papa pronuncia più spesso - e che è stata anche la parola chiave del suo intervento nelle riunioni che hanno preceduto il conclave - è "uscire", uscire nella strada della vita, uscire da se stessi, uscire dall'autoreferenzialità, dal clericalismo, dall'istituzionalizzazione, dal pessimismo che ha preso la Chiesa. Ma in questa ottica fattuale, operativa, della missione non dimentica la necessità di ulteriori sforzi intellettuali: chiede una nuova teologia per le donne e una teologia del peccato che approfondisca la dimensione della misericordia.
Papa Francesco, diversamente da quello che pensano i giornalisti dall'esterno, sa che le riforme strutturali non sono tutto, e che ciò che conta è il cambiamento interno, cioè che la Chiesa diventi fervente, resistente, vicina agli esseri umani, ben consapevole che l'aspirazione alla riforma è più antica degli ultimi decenni: già il concilio di Trento - racconta in un bel libro (edito in Italia da Vita e Pensiero) John W. O'Malley - voleva assicurare una più efficace cura delle anime, uno stile più severo e rigoroso nella vita delle gerarchie ecclesiastiche, in una dialettica fra azione diretta del Papa e consigli dei cardinali tuttora invocata. La sapienza accumulata in due millenni assicura che la Chiesa, anche questa volta, riuscirà nel suo intento riformatore per predicare più efficacemente la parola di Gesù, per portare la luce in un mondo che l'ha dimenticata.


(©L'Osservatore Romano 12 dicembre 2013)
Il Pontefice all'udienza generale parla della vita eterna 

Ogni giorno il giudizio finale

Rilanciata la campagna di Caritas internationalis "Una sola famiglia umana, cibo per tutti"
Il "giudizio finale è già in atto, incomincia adesso nel corso della nostra esistenza". È la "suggestione" tratta dal Vangelo di Matteo usata da Papa Francesco questa mattina, mercoledì 11 dicembre, durante la riflessione sul Credo proposta all'udienza generale in piazza San Pietro. Tale giudizio, ha spiegato, "è pronunciato in ogni istante della vita, come riscontro della nostra accoglienza con fede della salvezza presente e operante in Cristo, oppure della nostra incredulità, con la conseguente chiusura in noi stessi".
Ma niente paura, ha raccomandato all'inizio dell'incontro introducendo la catechesi. Perché il Vangelo a questo proposito è chiaro e rivela come avverrà questo momento. Resta comunque "un mistero che quasi istintivamente suscita in noi un senso di timore - ha riconosciuto il Pontefice - e magari anche di trepidazione. Se però riflettiamo bene su questa realtà, essa non può che allargare il cuore di un cristiano e costituire un grande motivo di consolazione e di fiducia", soprattutto se visto alla luce della rivelazione cristiana. Quello che in realtà ci attende alla fine del percorso è il giudizio di Dio, davanti al quale però, ha assicurato il Santo Padre, non saremo soli: "È Gesù stesso, nel Vangelo di Matteo, a preannunciare come, alla fine dei tempi, coloro che lo avranno seguito prenderanno posto nella sua gloria, per giudicare insieme a lui". Dunque sta a noi metterci nelle condizioni di stare accanto a Gesù, aprendoci al suo amore e chiedendogli perdono. "Siamo tutti peccatori" ha ripetuto il Santo Padre, ma Gesù è sempre pronto a perdonarci e a riempirci della sua misericordia. "Siamo noi quindi - ha concluso - che possiamo diventare in un certo senso giudici di noi stessi, autocondannandoci all'esclusione dalla comunione con Dio e con i fratelli".
Dopo la catechesi, nel salutare i gruppi presenti, il Papa ha voluto rilanciare lo slogan della campagna di Caritas internationalis contro la fame nel mondo: "Una sola famiglia umana, cibo per tutti". Ed ha rivolto un messaggio augurale agli americani alla vigilia della festa di Nostra Signora di Guadalupe, patrona dell'intero continente.


(©L'Osservatore Romano 12 dicembre 2013

Festa della Madonna di Guadalupe. Il Papa: l'America sia una terra che rispetti la vita umana in tutte le sue fasi



All’udienza generale, Papa Francesco, parlando in spagnolo, ha ricordato che domani si celebra la festa della Madonna di Guadalupe, Patrona di tutta l’America. Un’occasione per rivolgere il suo saluto a tutti gli abitanti del continente. 

Il servizio di Sergio Centofanti 

Quando la Madonna apparve all’indio Juan Diego, nel 1531, sulla collina di Tepeyac, il suo volto era quello di una donna meticcia e i suoi vestiti erano pieni di segni della cultura indigena. “Come Gesù – ha osservato il Papa - Maria è vicina ai suoi figli, come una madre affettuosa che accompagna il suo cammino, condivide le gioie e le speranze, le sofferenze e le angustie degli uomini di Dio, che sono chiamati a far parte di tutti i popoli della terra”:

“La aparición de la imagen de la Virgen en la tilma de Juan Diego…
L’apparizione dell’immagine della Vergine nella tilma (mantello) di Juan Diego era un segno profetico di un abbraccio, l’abbraccio di Maria a tutti gli abitanti delle vaste terre americane, quelli che già vi erano e quelli che verranno. Quest’abbraccio di Maria ha indicato il cammino che sempre ha caratterizzato tutta l’America: una terra dove popoli diversi possono convivere, una terra in grado di rispettare la vita umana in tutte le sue fasi, dal seno materno fino alla vecchiaia, in grado di accogliere i migranti così come i poveri e gli emarginati di tutti i tempi. L'America è una terra generosa”.

“Questo è il messaggio della Madonna di Guadalupe – ha proseguito il Papa - questo è anche il mio messaggio, il messaggio della Chiesa”. Quindi, ha esortato “tutti gli abitanti del continente americano a tenere le braccia aperte come la Vergine Maria, con amore e tenerezza” e ha concluso:

“Pido por todos ustedes, queridos hermanos y hermanas de toda América...
Io prego per voi, cari fratelli e sorelle di tutte le Americhe e vi chiedo anche di pregare per me. Che la gioia del Vangelo sia sempre nei vostri cuori. Il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca”. 
Infine, nei saluti finali in italiano ai giovani, ai malati e agli sposi novelli, ricordando la Madonna di Guadalupe, ha detto:

“Cari giovani, imparate da Maria a porvi in ascolto della volontà del Signore su di voi; cari ammalati, invocate la Madre del Signore nei momenti di maggiore difficoltà; e voi, cari sposi novelli, ispiratevi alla Madonna per riportare amore e serenità nella vostra famiglia”.



Radio Vaticana 

mercoledì 11 dicembre 2013

PAPA/ Mons. Crepaldi: la pace e i poveri, Francesco ha uno sguardo nuovo Pubblicazione: mercoledì 11 dicembre 2013
INT. Giampaolo Crepaldi
Nel paragrafo 184 della sua esortazione apostolica che, in quanto tale, è documento pastorale sul tema dell’evangelizzazione e non un trattato di economia, Francesco dice chiaramente che l’Evangelii Gaudium "non è un documento sociale" e che "per riflettere su quelle varie tematiche disponiamo di uno strumento molto adeguato nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, il cui uso e studio raccomando vivamente". Tuttavia Papa Francesco, pur non affrontando direttamente le problematiche legate all’economia e al mercato, si rivolge anche a chi lavora in questi ambiti.
"Il Santo Padre riprende con nuovi accenti i grandi temi del rapporto tra annuncio di Cristo e sua ripercussione comunitaria, tra la confessione della fede e l’impegno sociale - spiega mons. Giampaolo Crepaldi a ilsussidiario.net - ma enuncia anche prospettive nuove, che arricchiscono il magistero precedente". L’arcivescovo di Trieste, nell’anno in cui il Compendio vide la luce (2004), era Segretario Generale del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, grazie al cui lavoro si giunse a questa importante sintesi dottrinaria per volere di Giovanni Paolo II, forse il papa che più di tutti ha messo la dottrina sociale al centro della missione della Chiesa.
Monsignor Crepaldi, qual è il punto caratterizzante dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium?
Si tratta di un testo connotato dalla centralità, nella vita del cristiano, dall’incontro con Gesù Cristo, il Salvatore e il Misericordioso. Il "gaudio" di cui parla papa Francesco non è un generico sentimento psicologico, è la gioia della persona rinata, della salvezza incontrata e sperimentata nella vita di grazia, della misericordia che perdona i nostri peccati se anche noi lo vogliamo, della luce che la fede in Gesù Cristo getta su tutta la nostra vita, personale, familiare, comunitaria, sociale. È un’Esortazione Apostolica cristocentrica, perché dalla luce di Gesù Cristo prendono luce il creato, la Chiesa, l’umanità, la storia. Questa impostazione cristocentrica è molto importante anche per la dottrina sociale della Chiesa che, come in molte occasioni aveva insegnato Giovanni Paolo II, è "annuncio di Cristo nelle realtà temporali" e solo in questa luce si occupa del resto.

L’Esortazione non è un testo di magistero sociale, ma affronta diffusamente questioni sociali. Cosa ne pensa al riguardo?
Un aspetto non solo formale della Evangelii Gaudium è che il Papa usa frequentemente il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, lo raccomanda esplicitamente e lo cita spesso. Del resto, l’impianto del Compendio risponde proprio alle esigenze che papa Francesco esprime in questa Esortazione apostolica: in principio c’è il progetto di amore di Dio sull’uomo, che riempie l’uomo di gioia e che lo spinge a uscire verso gli altri per partecipare questa gioia a tutti. Non che questo comporti un rifiuto o una sottovalutazione del livello etico dei problemi sociali. Anzi, il livello etico viene sollevato più in alto e protetto dalle sue sempre possibili degenerazioni moralistiche.
Quindi, secondo lei, la prospettiva della dottrina sociale è ben presente nella Evangelii Gaudium?
La prospettiva della dottrina sociale della Chiesa è presente in tutta l’Esortazione, ma si concentra soprattutto nei capitoli II e IV. In quest’ultimo capitolo, dal titolo La dimensione sociale dell’Evangelizzazione, il Santo Padre riprende con nuovi accenti i grandi temi del rapporto tra annuncio di Cristo e sua ripercussione comunitaria, tra la confessione della fede e l’impegno sociale, ma enuncia anche prospettive nuove, che arricchiscono il magistero precedente. Il tempo è superiore allo spazio, L’unità prevale sul conflitto, La realtà è più importante dell’idea, Il tutto è superiore alla parte. Si tratta di quattro prospettive nuove a partire dalle quali ripensare l’insieme delle relazioni sociali.
Oltre a queste quattro prospettive, ci sono altri aspetti nuovi nell’Esortazione?
Sempre dal punto di vista della dottrina sociale della Chiesa, un’importante novità è l’ampio approfondimento della cosiddetta "scelta preferenziale per i poveri". Il Papa ne parla dal punto di vista dell’amore evangelico di Gesù per i piccoli e gli ultimi. L’inclusione sociale dei poveri diventa qui qualcosa di più che una politica sociale. Diventa la prospettiva stessa del nostro vivere in società, l’aspetto che continuamente ci ricorda il motivo ultimo per cui esiste la comunità politica. Viviamo in un momento particolare, da questo punto di vista. La crisi economica fa aumentare le disuguaglianze e, quindi, anche i poveri e la povertà. Un nuovo sguardo sui poveri a partire dai poveri evangelicamente intesi sarà di grande aiuto per tutti.
Papa Francesco si dilunga molto anche sul concetto di pace sociale. Cosa ne pensa a questo proposito?
A me sembra che anche il concetto di pace sociale sia nuovo. C’è la pace diplomatica tra le nazioni, c’è la pace politica tra i partiti, ma c’è anche la pace sociale tra i ceti e tra i cittadini. Su questa si riflette poco, eppure è oggi quella più dirompente perché le disuguaglianze e la precarietà del lavoro finiscono per mettere i cittadini e i gruppi sociali gli uni contro gli altri. Il testo dell’Esortazione, a questo proposito, contiene delle salutari provocazioni indirizzate all’economia e alla politica affinché rimettano al centro la persona umana e un autentico bene comune.
L’Esortazione ha una forte intonazione missionaria. Come si lega alla dottrina sociale della Chiesa?
Ha ragione, la Evangelii Gaudium ha un aspetto fortemente missionario, conseguente alla impostazione cristocentrica di cui parlavo all’inizio. Tutta la Chiesa è invitata da Papa Francesco ad avere il coraggio della missione, superando inerzie ed eccessivi scrupoli che paralizzano. Questo è vero anche per la dottrina sociale della Chiesa. Giovanni Paolo II aveva scritto nella Centesimus annus che essa ha un aspetto "concreto" e "sperimentale" e invitava tutti i credenti a mettersi in gioco con coraggio, inserendosi nel grande fiume di quanti da sempre nella Chiesa hanno dato il loro impegno per il bene comune dei fratelli.
(Giuseppe Sabella)
in collaborazione con www.think-in.it