giovedì 5 dicembre 2013

Un documento dal «significato programmatico e dalle conseguenze importanti»

Evangelii gaudium di papa Francesco
Un documento dal «significato programmatico e dalle conseguenze importanti»


di P. Aldino CAZZAGO ocd

I precedenti storici: Paolo VI e Giovanni Paolo II


È ormai opinione comune tra gli storici del papato che il primo documento magisteriale di un pontificato sia espressione particolarmente efficace e documentata delle preoccupazioni, delle ansie e delle urgenze evangeliche di colui che da pochi mesi ha assunto il pesante ufficio di successore dell’apostolo Pietro. Detto che il programma generale di ogni pontificato resta sempre l’annuncio della salvezza portata da Cristo e trasmessa dalla Chiesa alla luce del Vangelo, il primo documento di un pontificato assume quasi il valore di “manifesto”, di testo di sintesi, o, se si vuole, di tema unificante di un ministero apostolico.

I casi di papa Paolo VI e di Giovanni Paolo II sono a questo proposito assai illuminanti. Poco più di un anno dopo la sua elezione a successore di Giovanni XXIII, nell'agosto 1964, Paolo VI pubblicò la sua prima enciclica intitolata Ecclesiam suam. Si era alla vigilia della seconda sessione del concilio Vaticano II nella quale sarebbe stata proprio approvata la costituzione sulla Chiesa Lumen gentium. Come gli anni a venire dimostreranno, il tema della Chiesa diventerà il tema centrale, unificante e al contempo fonte di innumerevoli sofferenze, del pontificato del Papa bresciano. Come dirà egli stesso un giorno «Noi non sappiamo d’altro parlare che della Chiesa».
Con Giovanni Paolo II le cose, pur con un tema diverso, andarono nello stesso senso. Come forse con più facilità si può ricordare, nel marzo 1979, ad appena sei mesi dall’inizio del suo pontificato, egli pubblicò la sua prima enciclica intitolata Redemptor hominis. Per un vescovo che veniva da un paese dove da tre decenni si stava sistematicamente tentando di costruire un uomo “nuovo” totalmente sganciato da ogni riferimento religioso la tematica antropologica era quasi d’obbligo. La necessità di una rinnovata visione dell’uomo a partire da Cristo «centro del cosmo e della storia» non era meno urgente per gli uomini del libero e stanco Occidente.

Papa Francesco

La dinamica si ripropone ora con papa Francesco e con la sua recentissima esortazione apostolica Evangelii gaudium. Quando gli storici si chiederanno quali fossero le preoccupazioni che albergavano nel cuore di papa Francesco all’inizio del suo pontificato, la risposta non potrà che essere trovata nella Evangelii gaudium, un testo, come scrive egli stesso, dal «significato programmatico e dalla conseguenze importanti»: «Non ignoro che oggi i documenti non destano lo stesso interesse che in altre epoche, e sono rapidamente dimenticati. Ciononostante, sottolineo che ciò che intendo qui esprimere ha un significato programmatico e dalle conseguenze importanti. Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una “semplice amministrazione” (Documento di Aparecida, [31 maggio 2007] 201). Costituiamoci in tutte le regioni della terra in uno “stato di permanente missione” (Documento di Aparecida, [31 maggio 2007] 551» (n. 25).
Per questo vescovo di Roma, proveniente però, come egli stesso ha detto, «quasi alla fine del mondo» e in particolare da un paese, l’Argentina, dove accanto a uno stile di vita e mentalità occidentali, la ricchezza di pochi sfida la povertà di una non piccola parte della popolazione, per questo Vescovo di Roma, tra le prime urgenze per l’intera Chiesa cattolica stanno quelle di un rinnovato annuncio della gioia del Vangelo e della «eterna novità» (nn. 11-13) che Cristo è e quella di una Chiesa che diventa e viene sempre più percepita come «un popolo per tutti» (nn. 12-114) e «dai molti volti» (nn.115-118). Una Chiesa che non ha paura della realtà e affronta coraggiosamente le «sfide» che il mondo continuamente le mette in faccia: quella di una economia dell’esclusione, quella della nuova idolatria del denaro, quella di un denaro che governa invece di servire e quella di una diseguaglianza che genera violenza (nn. 52-75). Una Chiesa che, in un esame di coscienza, sa guardare anche alle «tentazioni» che vive al proprio interno: quella dell’accidia egoistica, quella del pessimismo sterile, quella della mondanità spirituale e quella della divisione fra fratelli in Cristo  (nn. 76-108).
Il punto di forza per affrontare questa difficile situazione, e ancora prima perché la Chiesa sia fedele alla sua vocazione, per papa Francesco, è uno solo: quello di «una Chiesa in uscita» (n. 20) perché sa che «il Signore ha preso l’iniziativa» e «l’ha preceduta nell’amore» (n. 24). Solo a partire da qui è possibile capire perché nella vita della Chiesa tutto deve porsi «in chiave missionaria» (n. 34). Scrive: «Quando si assume un obiettivo pastorale e uno stile missionario, che realmente arrivi a tutti senza eccezioni né esclusioni, l’annuncio si concentra sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa» (n. 34).
Papa Francesco non fa che ricordare una verità che ha sempre accompagnato la storia del cristianesimo: pur in mezzo a vecchie e nuove difficoltà, il futuro della Chiesa dipende in gran parte dalla dinamica missionaria della sua vita. È per questo che il suo futuro è anche nelle nostre mani.

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