domenica 3 maggio 2015

Elia e il Discernimento sull’Idolatria

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Di Egidio Palumbo

Il "tarlo” dell’idolatria

Il discernimento sull’idolatria è ministero soprattutto dei profeti e dei sapienti dei quali si narra nelle pagine delle S. Scritture. Impegno gravoso e poco gratificante — in particolar modo per i profeti —, spesso caratterizzato da rapporti conflittuali con le autorità politiche e religiose, o anche con lo stesso popolo. E questo perché l’idolatria — molto di più dell’ateismo — è come il "tarlo” che si insinua nella coscienza dell’uomo e lo corrode dall’interno, è male sottile che inquina la sua relazione con Dio, con gli altri uomini e con il mondo. Ma a questo si aggiunge il fatto che dell’idolatria non si è subito consapevoli, perché l’idolo al primo contatto ti affascina, come l’argento e l’oro, e poi con l’andar del tempo ti rende "a sua immagine e somiglianza”, ovvero sacralizza l’io dell’uomo, le sue pretese e i suoi bisogni, e piega la fede ai gusti dell’individuo e della mentalità corrente. Dice bene il Salmo 115: "Gli idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano; dalla gola non emettono suoni. Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida” (vv. 6-8). Sì, gli idoli sono tutto apparenza ("hanno bocca e non parlano...”), e sull’apparenza e sulla menzogna, ben mascherate da una patina di verità e di religiosità, fondano la vita di un uomo, la istupidiscono e la forgiano sul modello — diremmo noi oggi — del mito di Narciso; infatti gli idoli "entrarono nel mondo per la vanità dell’uomo” (Sap 14,14).
Se non sempre il tarlo dell’idolatria è visibile ai più, di esso, invece, ne sono consapevoli i profeti; dico dei veri profeti, di quelli che non si considerano migliori degli altri, ma loro per primi si lasciano interpellare, correggere e plasmare dalla Parola di Dio. Il profeta Elia fu uno di questi. Anzi, la S. Scrittura lo addita come il profeta modello e come colui che ricapitola tutta la profezia più vera e più genuina (non a caso la pagina evangelica della Trasfigurazione lo pone in dialogo con Gesù, assieme a Mosè, che evoca la Torah). A questo profeta vogliamo accostarci, attraverso la pagina di 1Re 18,20-40, per apprendere a discernere l’idolatria stupida e menzognera.

Lo scenario

Tutto cominciò quando nel regno del Nord il re Acab, mediante un accordo politico-economico con il re di Tiro, lavorò per il benessere economico in Israele e per la garanzia della sicurezza militare dei suoi confini. La storia riconosce ad Acab il merito di aver saputo assicurare agli abitanti del regno d’Israele un livello di vita piuttosto alto. Si sa che nell’antichità ogni accordo o riconoscimento politico-economico esigeva dalla controparte delle concessioni anche di carattere religioso-cultuale. Nel nostro caso, l’accordo politico-economico con i popoli fenici di Tiro e Sidone esigeva da parte di Acab il matrimonio con Gezabele e l’introduzione del culto fenicio al dio Baal. Tutto normale secondo la mentalità corrente.
Ma cosa ne pensa la Bibbia, qual’è il suo giudizio? Ecco la risposta: "Acab, figlio di Omri, fece ciò che è male agli occhi del Signore, peggio di tutti i suoi predecessori” (1Re 16, 30). Non è una lettura ingenua e pietistica. È la lettura dei fatti della storia alla luce della fede. L’autore biblico, infatti, si è chiesto: che cosa c’è dietro tanto benessere? quale prezzo si è dovuto pagare?
Guardando ai fatti con la luce della fede, l’autore biblico osserva che tale benessere è fiorito su una cultura di morte, sulla decadenza dei valori della vita, sulla perdita dell’ideale egualitario e fraterno dell’Alleanza. Le città vengono sì ricostruite, ma sul sangue dei giovani. A Yhwh, il Dio dell’Alleanza, con grande disinvoltura viene affiancato il dio Baal, il dio della fecondità, un dio quindi più affascinante, più in sintonia con le "leggi del mercato”, certamente più rassicurante e meno esigente di YHWH (1Re 16,31-34). È la ricerca della "fecondità” ad ogni costo (oggi diremmo: di uno sviluppo senza limiti), sulla pelle della povera gente. È l’affermazione dell’idolatria del benessere, ma di un falso benessere, vale a dire di un benessere che nasconde un grosso imbroglio e una grande confusione. Infatti il risultato concreto dell’idolatria è la siccità (1Re 17,1), non solo quella relativa alla mancanza di pioggia, ma, molto di più, quella connessa all’aridità del cuore e dello spirito, quella che disumanizza e fa smarrire il senso vero della fede.
Dentro questo scenario socio-politico-religioso si muove l’azione di discernimento del profeta Elia al Carmelo.

Il popolo ondivago

Elia invita il popolo a rinnovare la scelta per il Dio dell’Alleanza. "Fino a quando zoppicherete con i due piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui! Il popolo non gli rispose nulla” (1Re 18,21). "Zoppicare con i due piedi” era una tipica danza religiosa. Qui l’espressione viene usata come metafora del movimento ondivago della fede del popolo: si danza un po’ per Yhwh e un po’ per Baal, ora si sta con Yhwh, ora si sta con Baal. Un po’ come dirà Gesù a chi vorrà vivere il vangelo delle Beatitudini: "Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a Dio e a Mammona” (Mt 6,24). In realtà l’ondivagare del popolo è il segno di uno sbandamento molto grave.

Il discernimento nella preghiera

Di fronte al mutismo del popolo, Elia propone di convocare un’assemblea liturgica (1Re 18,23-24) come contesto ideale per smascherare la vacuità del dio Baal. Se le parole del profeta rimangono inascoltate o non sono efficaci, allora ci si rimette all’agire libero e creativo di Yhwh, perché sia Lui a manifestare la sua presenza. Non è la ricerca di un miracolo. È l’opera di discernimento che accade nella preghiera. La proposta viene accettata da tutti.
Si dà la precedenza ai profeti di Baal (1Re 18,23-29). La loro preghiera rimane inascoltata. Non sono i profeti di Baal inesperti nella preghiera, piuttosto è il dio Baal che è un dio "muto” e "sordo” (1Re 18,26.29), un dio indifferente alla vita degli uomini, un dio che pensa solo per sé e ama solo se stesso. Egli è proprio lo "specchio” dell’immagine di Acab e di tutta la sua corte, e pure di tutti suoi profeti. Ecco anche la vera causa della siccità spirituale ed etica del popolo di Dio.
Dopo Elia, altri profeti avranno il coraggio di smascherare l’imbroglio "organizzato” dei falsi profeti. Ascoltiamo, ad esempio, Geremia: "Così dice il Signore: Non ascoltate le parole dei profeti che profetizzano per voi; essi vi fanno credere cose vane, vi annunziano fantasie del loro cuore, non quanto viene dalla bocca del Signore. Essi dicono a coloro che disprezzano la parola del Signore: Voi avete la pace! E a quanti seguono la caparbietà del loro cuore dicono: Non vi coglierà la sventura. Ma chi ha assistito al consiglio del Signore, chi l’ha visto e ha udito la sua parola? Chi ha ascoltato la sua parola e vi ha obbedito?” (Ger 23,16-18). E anche Gesù dirà: "Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete” (Mt 7,15-16).
Tocca adesso al profeta Elia offrire il sacrificio (1Re 18,30-38). Di tutt’altra natura e qualità è la preghiera del nostro profeta. Il narratore ha cura di evidenziare i momenti più importanti di essa: la vicinanza del popolo all’altare; la ricostruzione dell’altare con dodici pietre, simbolo delle dodici tribù d’Israele, quindi di tutto il popolo di Dio; l’acqua versata in sovrabbondanza sull’offerta; la preghiera del profeta per il discernimento del vero Dio e per la conversione del cuore del popolo; il fuoco che consuma ogni cosa.
Tutto ci parla di Yhwh, del Dio dell’Alleanza. Egli non è un Dio indifferente, bensì un Dio "vicino” al popolo e alle sue situazioni (Dt 4,7; 30,14), è il Dio amante della Vita che la dona in sovrabbondanza, come l’acqua ("per la vita del Signore...”, 1Re 17,1). Per questo tutto il popolo non rimane distante, ma viene pienamente coinvolto in questa preghiera di discernimento del vero Dio e di conversione del cuore, attraverso il simbolo che lo rappresenta dinnanzi a Dio: l’altare formato da dodici pietre. La risposta di Yhwh si rivela nel segno del fuoco, ovvero nel segno del Suo amore appassionato che avvolge tutti e consuma tutti. È l’esperienza orante di "Dio fuoco divoratore” (Dt 4,24) che bruciando purifica e risana (Is 6,6-7), facendo morire il "tarlo” dell’idolatria, fa rivivere la fede autentica come relazione di amore/amicizia con Lui. "A tal vista tutti si prostrano a terra ed esclamarono: il Signore è Dio! Il Signore è Dio!” (1Re 18,39).
Anche Gesù è "venuto a gettare il fuoco sulla terra” (Lc 12,49). Esso si è acceso nel dono di sé sulla Croce: qui si è rivelato a noi, nello "splendore di uomo sfigurato”, l’amore appassionato di Dio per il mondo. E per questo, come il popolo al monte Carmelo, così il centurione, contemplando l’evento, esprime la sua professione di fede "Davvero costui era Figlio di Dio” (Matteo 27,54).
Non è raro trovare nelle chiese dei Carmelitani, sulle pareti dell’abside, l’iconografia del "Sacrificio di Elia al Carmelo”. Collocata nell’abside, spazio dove è posto l’altare-mensa per l’eucaristia, l’iconografia diviene "specchio” all’assemblea e ai suoi ministri, affinché l’eucaristia sia vissuta come esperienza dell’amore appassionato del Dio di Gesù Cristo che tutto risana e riplasma nell’orizzonte del dono e della condivisione. Unico antidoto contro il "tarlo” dell’idolatria.
da | O.Carm

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