lunedì 18 maggio 2015

Teresa Di Lisieux - La scoperta della piccola via

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La storia dei Santi è sempre una storia d'amore e la vita di Teresa è stata una con­tinua manifestazione di Dio che si è rivela­to a lei come Amore sublime, misericordia e carità infinite.

Tale carità divina, nella pietà quoti­diana della Santa, è concretamente rappresentata dall'Eucaristia. Basta ri­leggere alcune pagine del Manoscritto A per rendersi conto della fervente devozione al Cristo dell'Eucaristia e quanto questo Sacramento abbia nutrito la sua vita spiri­tuale.

Ella vi vede contenuti la sorgente e l'i­deale della sua vita cristiana e carmelitana: amore filiale e somma piccolezza.

La piccola Teresa intuisce molto presto di non avere altra guida che Gesù Eucaristia per giungere alla santità e per salire fino la cielo.

Per questo avverte un forte desiderio di accostarsi spesso alla Santa Comunione: «Egli discende tutti i giorni dal cielo, non per restare nel ciborio d'oro, ma per tro­varne un altro: il cielo della nostra ani­ma. Questo cielo gli è infinitamente più caro del primo perché è fatto a sua im­magine: è il tempio vivo dell'adorabile Trinità».

Teresa coglie tre aspetti dell'umanità di Cristo: infanzia, Eucaristia ed infine il volto sofferente di Gesù.

Per quanto riguarda il primo aspetto, è da Gesù Bambino che apprende la via del­l'infanzia spirituale, come strada sicura per arrivare al Cuore di Dio.

Nella notte di Natale del 1886, riflette sul fatto che Dio, in Cristo, si è fatto bambino, piccolo e povero. È la luce natalizia evangelica che le chiarisce la sua vocazione: an­che lei sarebbe stata piccola, povera, fatta quasi di niente.

Dio l'andava istruendo nella scienza na­scosta agli intelligenti e ai dotti, ma che si degna di rivelare ai piccoli. Sente questo in­dirizzato a lei personalmente.
Il simbolo del piccolo le fa cogliere la di­mensione della fiducia del bambino che ten­de le mani senza riserve. Ed è proprio que­sto il motivo conduttore della sua «piccola via». Il bambino è per Teresa l'emblema del­la sua esistenza rifugiata in Dio, affidata al suo sguardo misericordioso nel presente, passato e avvenire.

La scoperta della piccola via

Teresa stessa designa la sua via che por­ta a Dio, come «piccola via» che può esse­re percorsa solo da chi si fa «bambino» (Mc 10,14-16). Questa via è un'esistenza na­scosta, senza estasi, senza penitenze parti­colari, senza appariscenza, tutta occupata a mettere amore nelle attività ordinarie. Ha scoperto che il Signore è misericordia in modo particolarissimo per le creature «po­vere», che riconoscono cioè la loro picco­lezza spirituale, la loro impotenza a rag­giungere la santità con le sole proprie forze. La Santa intuisce e ripropone la verità evangelica della gratuità assoluta dell'amo­re di Dio, che si comunica agli uomini in proporzione alla povertà del loro cuore, cioè alla loro consapevolezza che Egli non deve loro nulla e tuttavia mendica il dono dell'amore collocato nelle umili cose quoti­diane, fatte appunto per suo amore. La «piccola via» però, non è così sempli­ce, è anzi «dura e spinosa» perché suppone una virtù adulta o che lo vuol diventare con l'aiuto divino. Essa infatti, è l'imitazione che la creatura fa del­l'abbassamento di Dio; è il cammino pa­squale della croce che spoglia progressiva­mente l'anima introducendola nell'amore sul modello di Gesù. Bisogna saper perce­pire la dolorosa abnegazione che si na­sconde in questo. Teresa insegna ai disce­poli della «piccola via» una grande spolia­zione, senza la quale la felicità promessa ai poveri di spirito è pura illusione. «Povertà» e «infanzia», che Teresa ha riproposto al mondo ripetendo il Vangelo, sono beatitu­dini che «si nutrono della linfa della Croce».

Modo di vivere le umiliazioni

Ogni giorno passa lunghe ore nella cap­pella del suo monastero: il tabernacolo è veramente il polo della sua vita contempla­tiva. Gesù, «chiuso» per amore dietro la porta dei tabernacoli, attende in cambio che un'anima fedele gli renda visita, gli ren­da grazie e sia felice di vivere, ella pure, umile e nascosta.

La piccola carmelitana ha sentito molto presto svilupparsi nel suo cuore il desiderio di vivere «ignorata e considerata un nulla». Dopo la sua entrata al Carmelo, la medita­zione del Santo Volto sofferente di Cristo, rende ancora più profondo il suo desiderio di essere dimenticata e umiliata.

Ella vede nell'umiliazione, un mezzo provvidenziale per custodire nel suo cuore il sentimento benefico del suo «piccolo nien­te», della sua «impotenza radicale ad ogni bene», in una parola la tranquilla coscienza della sua povertà spirituale.

Il valore dei nostri meriti

L'Eucaristia, è la sintesi in cui noi dob­biamo far convergere tutto ciò che siamo e abbiamo perché diventi un inno di gloria a Dio e uno strumento di salvezza. È proprio questo Sacramento, il cui significato lette­rale è «rendimento di grazie», a dare valore e significato a tutti i momenti della nostra vita.

È anche stato giustamente definito il «Sa­cramento del quotidiano». La nostra quoti­dianità che spesso appare grigia, se viene rapportata con volontà e devozione all'Eu­caristia, acquista, in unione a Cristo e ai meriti del suo Corpo e del suo Sangue, un valore immenso.

Niente è più casuale o futile, persino l'e­vento più insignificante parla il linguaggio della fede, della speranza e, soprattutto, dell'amore.

Questa è la vita eucaristica, la vita in cui ogni cosa diventa un motivo per dire «gra­zie». Spesso è piccola, nascosta, ma è co­me lievito, come un granello di senape, co­me un sorriso. L'Eucaristia, a volte, è un «piccolo» evento di cui sanno poche perso­ne, avviene con gesti semplici e nascosti; ma grande o piccolo, è lo stesso even­to, il quale rivela che l'amore è più forte di tutto.

Per tutta la vita, Teresa ha creduto nel­l'efficacia apostolica della più piccola delle sue azioni. «Raccogliere uno spillo per amore - le piace ripetere - può salvare un'anima. Che mistero!».

Sperduta nel suo piccolo Carmelo di pro­vincia, occupata a svolgere compiti ripetiti­vi e molto banali, Teresa è persuasa che «non è il valore e neppure la santità ap­parente delle azioni quello che conta, ma solo l'amore che ci si mette» (CSG 65).

Alla fine del suo ultimo manoscritto espri­me quello che ha compreso un giorno che meditava un versetto del Cantico: «Attira­mi, noi corriamo all'odore dei tuoi pro­fumi».

È convinta che, più si getta nel Signore, più attira nello stesso tempo a Lui tutti quel­li che le sono uniti con i legami della Co­munione dei Santi. Comprende che c'è nel campo spirituale una vera legge di attrazio­ne universale che permette a tutte le ani­me di aiutarsi a vicenda nel loro movimen­to ascensionale verso Dio. E scrive: «... quando un'anima si è lasciata avvincere dall'odore inebriante dei Vostri profumi, non sa più correre da sola: tutte le ani­me che ama sono trascinate al suo seguito...» (C 34). Così l'Eucaristia diventa Comunione, Apostolato e Missione.

La fecondità della Croce

Fino alla fine della sua vita, Teresa vede i peccatori come figli da salvare e per lo­ro vuole offrire il suo amore inestinguibile. Il testo evangelico che Teresa cita più vo­lentieri per esprimere la sua fede nella fe­condità apostolica delle sue sofferenze, è l'espressione di Gesù riportata da Giovanni 12,24: «Se il chicco di frumento caduto a terra non muore, rimane solo; ma se muo­re, porta molto frutto».

A dire il vero Teresa non ha saputo subi­to trasformare le proprie sofferenze in gioie; scrive infatti: «È una grazia che mi è stata concessa solo più tardi». Le prove non le sono mancate fino dall'infanzia, ma solo in un secondo tempo comprende che, per soffrire «secondo il Cuore di Dio», non c'è affatto bisogno di soffrire con coraggio, senza aver l'aria di accorgersi delle proprie sofferenze, come eroi, o le grandi anime, ma basta accettarle così come vengono, of­frendole al Signore con tutto il cuore e cre­dendo profondamente che non sono inutili. Scrive infatti alla sorella Céline: «Non pensiamo di poter amare senza soffrire, senza soffrire molto. Soffriamo con ama­rezza, cioè senza coraggio!... Gesù ha sof­ferto con tristezza; senza tristezza, un'a­nima soffrirebbe forse? E noi vorremmo soffrire generosamente, grandemente... Che illusione!».

È proprio in questo modo che Teresa ac­coglie la sua sofferenza. Il dolore la trova senza forza, senza gioia, ma che importa! Come essa presentiva già a sedici anni, «la santità non consiste nel dire cose belle, neppure consiste nel pensarle, nel sen­tirle, essa consiste nel voler ben soffrire».

L'offerta all'amore misericordioso

Dopo la scoperta della «piccola via», per Teresa la «misericordia» di Dio diventa il so­le della sua vita. «Proprio dell'amore è ab­bassarsi» scrive Teresa, provando così quanto pensi ad un amore di misericordia. Di Gesù l'affascina l'amore che le ha testi­moniato con i suoi «annientamenti»: la mangiatoia, la Croce, l'Eucaristia, tappe di un abbassamento sempre più incredibile. Immersa in questa «fornace», cioè nello Spi­rito Santo amore, Teresa non può che «amarlo e farlo amare» e offrirsi a Lui qua­le «vittima di olocausto», per essere tutta consumata da questo fuoco di Amore trini­tario. L'Atto di offerta costituisce uno dei testi più belli e più profondi della letteratu­ra teresiana; Teresa lo pronuncia il 9 giu­gno 1895, festa della Santa Trinità, duran­te il ringraziamento dopo la santa Comu­nione ed è la stessa Santa a scriverne il testo (lo riporteremo per intero alla fine).

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