giovedì 12 febbraio 2015

La carezza di Dio



«Ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati a essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri» e «questo suppone che siamo docili e attenti ad ascoltare il grido del povero e soccorrerlo». L’ha detto Francesco nella Evangelii gaudium, la sua prima esortazione apostolica. La Chiesa povera e per i poveri, al centro dei pensieri e delle parole del Pontefice, è oggi soprattutto femminile. Sono in gran parte donne le persone più povere, e sono donne coloro che hanno scelto di dedicare la loro vita a chi ha poco o nulla, a chi è diseredato, emarginato ed escluso. Suore, laiche, missionarie hanno assunto, seguendo il Vangelo, il più faticoso dei compiti. È al femminile la storia dei comedores, le mense popolari di Villa El Salvador, periferia sud di Lima, raccontata in queste pagine da Silvia Gusmano. È una donna polacca, suor Małgorzata Chmielewska, l’organizzatrice della comunità Pane della Vita la cui missione consiste «nel vivere con i poveri» e che, in un’intervista a Dorota Swat, racconta la sua esperienza. Le donne che dedicano la loro vita agli ultimi, non possono certo eliminare la povertà, spiega suor Małgorzata, ma possono intervenire sulla infelicità da essa prodotta e persino scoprire una felicità che la maggior parte di noi non riesce a trovare perché occupata a cercarla altrove. È la felicità che non viene dalla ricchezza o dal denaro, ma dalla solidarietà, dalla gioia di dare e ricevere il bene, dall’amore degli altri e di Dio, dalla speranza. Lo sapeva bene santa Chiara che, come racconta Mario Sensi, particolarmente amava la povertà, «e non poté mai essere indotta a ricevere possessione, né per lei, né per lo monasterio». Non stupisce che ci siano le donne in prima fila accanto ai poveri, che siano loro innanzitutto a dispensare «la carezza di Dio». Per amare i poveri, soccorrerli, per avvicinarsi all’infelicità della povertà e pensare di rovesciarla nel suo contrario, per sconfiggere la miseria — che è diversa dalla povertà — e per dare dignità bisogna conoscere, possedere o riconoscere quell’amore incondizionato che viene dall’esperienza materna. Come le madri amano i figli più deboli, così la Chiesa delle donne cerca e predilige la vicinanza dei poveri. (r.a.)

da | osservatoreromano.va

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