giovedì 12 febbraio 2015

Per fare gli interessi del bambino


· ​La nozione del "rischio minimo" nella sperimentazione in pediatria ·
11 febbraio 2015

I ricercatori che effettuano sperimentazioni cliniche devono seguire regole precise. Le regole derivano da due fonti principali: codici (o analoghi documenti di riferimento) e normative. L’interpretazione delle regole, tuttavia, non sempre è univoca. Un esempio è la nozione di «rischio minimo» (minimal risk) utilizzata per la sperimentazione in pediatra. Qui di seguito si propongono alcune considerazioni in proposito.

Felice Casorati, «Beethoven» (1928)

In genere la sperimentazione che coinvolge bambini, senza che questi ne ricevano un beneficio diretto, è considerata accettabile se non comporta rischi superiori al «minimo». Per esempio, secondo le linee guida sulla sperimentazione pediatrica del Medical Research Council britannico «le ricerche in cui non vi è beneficio per il bambino partecipante devono comportare un rischio minimo» — dal contesto si evince poi, come logico, che la ricerca deve comportare un rischio «non superiore» al minimo. Ma cos’è il «rischio minimo»?
In letteratura si trovano varie definizioni. Per esempio, nel Protocollo addizionale alla Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la Biomedicina del Consiglio d’Europa «si assume che la ricerca presenti un rischio minimo se, in considerazione della natura e delle dimensioni dell’intervento, ci si aspetta che ne derivi, al massimo, un impatto negativo sulla salute della persona interessata molto ridotto e temporaneo». Nel Code of Federal Regulations statunitense un rischio è definito «minimo» se «la probabilità e l’entità del danno o del disagio che ci si attendono dalla ricerca non sono superiori a quelli ordinariamente incontrati nella vita quotidiana o durante l’esecuzione di test fisici o fisiologici routinari». Anche altri documenti e normative fanno riferimento alle situazioni ordinarie della vita quotidiana o a test routinari.
Sotto il profilo teorico, tali definizioni sono assolutamente condivisibili. Sotto il profilo operativo, tuttavia, esse sollevano difficoltà. Per esempio: A quali rischi della «vita quotidiana» occorre riferirsi? I dati elaborati dall’Organizzazione mondiale della sanità attestano che gli incidenti stradali sono la prima causa di morte per gli adolescenti nel mondo. Dati recenti sulla mortalità in Italia indicano che gli incidenti stradali causano 200 decessi e oltre 25.000 feriti gravi tra i minorenni ogni anno. Ovviamente è doveroso ogni sforzo per ridurre, e possibilmente annullare, il rischio. Tuttavia, sarebbe irrealistico vietare l’uso delle automobili o imporre il passo d’uomo come limite massimo di velocità.
Trovare soluzioni definitive e univoche è, probabilmente, impossibile. Tre requisiti paiono particolarmente importanti affinché le decisioni siano il più possibile orientate al bene. Il primo è procedere caso per caso: non vi è un unico criterio di orientamento valido per qualsiasi situazione. Il secondo è il discernimento nel soppesare tutti gli elementi in gioco. Il terzo riguarda i comitati etici: è doveroso che le sperimentazioni siano autorizzate da un comitato etico indipendente e competente.

di Carlo Petrini

da | osservatoreromano.va

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