martedì 22 ottobre 2013

La prima ora di Religione, nell'Istituto professionale in cui insegno, cade in un giorno di diluvio universale. Ernesto frequenta la terza e non ha mai fatto religione. «Prof, piove, posso stare in classe?». «Solo se lavori come gli altri», gli rispondo. Rimane e ascolta in silenzio. Si ferma anche alla seconda lezione. Alla terza mi chiede di potersi iscrivere all'ora di Religione.

Ernesto ha perso il padre a soli sei anni e vive con la mamma. In prima lo bocciano perché fa tante assenze e non arriva mai a scuola prima della terza ora. Si riscrive. Assenze e ritardi lo accompagnano per tutto il percorso di prima e seconda. Spesso viene mandato a casa, perché si prende la libertà di non rimanere in classe durante le lezioni. Fumo, canne e amici lo attirano di più. È un ragazzo inquieto ma intelligente e così, nonostante tutto, riesce ad arrivare in terza. Per tutto l'anno passiamo le ore di religione facendoci provocare dalle sue domande. Coinvolge anche quattro compagni. Le lezioni si fanno interessanti. Un giorno lo invito al raggio: «Prof, lo so che Dio mi sta chiamando, ma non sono ancora pronto. Voglio vivere la mia vita». Sorrido: «Uno ha detto così ed è diventato Vescovo, perché Dio non ti molla, ti attende sempre!».

Mi accorgo che per me non è solo un modo di dire. Il cammino della Scuola di comunità e la compagnia del Cle mi hanno resa certa che è Gesù che li afferra, questa certezza mi rende libera. Non devo più impegnare il mio tempo a misurare se quello che dico li convince o meno, apparentemente spinta da un desiderio buono, ma che mi ha sempre soffocata. Adesso mi godo lo spettacolo, sono curiosa di vedere cosa Gesù è capace di inventarsi per corteggiare il nostro cuore. Questo desiderio, ora, scatta anche quando sono davanti ad alunni che non sembrano interessati e dà forma a una modalità nuova di stare davanti a tutti. Termina l'anno ed Ernesto è promosso in quarta a giugno, senza debiti.

A settembre di quest'anno faccio l'orario provvisorio e per due settimane non entro in classe. Un giorno incontro Valerio che mi dice: «Prof, Ernesto la cerca da giorni per raccontarle una cosa. Quest'estate è andato in un convento.. mi sembra... tipo di francesi!». Rido, perché ormai li conosco: «Vuoi dire che è andato in un convento di frati francescani?». «Ecco, sì, proprio loro. Ma non è la stessa cosa?», mi dice perplesso. Dopo due giorni io ed Ernesto ci incontriamo casualmente durante l'intervallo. Mi racconta che ha passato un'estate difficile: «Sentivo un grande vuoto, mi guardavo in giro: avevo tutto, ma capivo di non avere niente. Allora mi è venuto in mente che a lezione lei ci ha detto che non dobbiamo censurare niente, perché anche il vuoto e il disagio sono il modo con cui Gesù ci fa accorgere che abbiamo bisogno di Lui. È lì che dobbiamo impegnarci col nostro io tutto intero, anche se tutti ci dicono di dimenticare. Non avevo il suo numero, allora sono andato per quattro giorni in un convento di francescani.Ho parlato con i frati, sono uomini lieti. L'ultimo giorno sono andato a Messa. Appena sono entrato mi è venuto da piangere, perché ho visto che la Madonna aspettava proprio me. Adesso sono pronto, voglio seguirla prof, perché non posso vivere nel ricordo di quei giorni. Tutti i giorni voglio stare con gente così e mi è venuta in mente lei».

Il giorno dopo, a lezione, Ernesto racconta la sua estate. «Ma quindi vuoi farti frate?», gli chiede un compagno. «Per ora no, peròvoglio sicuramente essere felice come loro». Gesù è un fatto reale, si può vedere, ha la faccia di alcuni uomini lieti, che ti fanno desiderare di non fermarti alle loro facce, ma di vivere la loro stessa esperienza. Il 4 ottobre Ernesto partecipa con entusiasmo alla Giornata di inizio anno di Gs. Sul pullman parla con alcuni ragazzi. «Ma prof, mi hanno detto che non vi trovate solo oggi. È una vita (sono proprio le sue parole)! Ma lei perché lo fa?». Gli ultimi dieci minuti della lezione di Carrón sento Ernesto scricchiolare sulla sedia. Penso stupidamente che forse per lui è stata pesante. Alla fine si volta e mi dice: «Carrón è fatto apposta per attrarre i giovani a Gesù! Ti rende curioso di vedere se il cristianesimo è veramente affascinante come dice».

Sul pullman, al ritorno, racconta che nella sua vita ha fatto delle scelte sbagliate ma oggi, per la prima volta, si è stimato perché ha fatto una cosa per il suo bene. Penso, commossa, che ora siamo amici. Riconosco in lui la stessa vibrazione del mio cuore. Non sono preoccupata: continuerà? Verrà? Diventerà di Gs? Per ora lo guardo e mi accorgo che ho bisogno di lui, ho bisogno di tutti i miei alunni per capire che è un Altro che fa tutto. È Lui, che afferra il loro cuore. Sono curiosa e vado a scuola contenta, perché la misura si può trasformare in domanda: «Chi soddisfa il mio cuore, ora?»
Paola Mariani, Monza

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