di Luca Sciarelli, O.Carm.
Difficile trovare parole per descrivere
il grande e, per certi versi incomprensibile, dono dell’essere
sacerdote. Per cercare di raccontare cosa significa per me, e per la mia
vita, vorrei partire dalle parole che Papa Francesco ha pronunciato
nella sua omelia durante la Santa Messa del Crisma lo scorso aprile,
parlando ai sacerdoti:
«credo che non esageriamo se diciamo
che il sacerdote è una persona molto piccola: l’incommensurabile
grandezza del dono che ci è dato per il ministero ci relega tra i più
piccoli degli uomini. Il sacerdote è il più povero degli uomini se Gesù
non lo arricchisce con la sua povertà, è il più inutile servo se Gesù
non lo chiama amico, il più stolto degli uomini se Gesù non lo istruisce
pazientemente come Pietro, il più indifeso dei cristiani se il Buon
Pastore non lo fortifica in mezzo al gregge»[1].
La prima e grande sfida di questa
chiamata è stata accettare di essere una “persona molto piccola”. Nel
mio lungo cammino di discernimento e di ascolto della volontà di Dio su
me, l’aspetto più faticoso e doloroso che ho imparato, è stato scoprire
la mia debolezza, il mio limite, il mio essere “piccolo” e povero. Da
qui è cominciato il mio cammino. Solo quando ho capito che accogliendo
la misericordia di Dio nella mia vita riacquistavo dignità e gioia, ero
pronto per poter ascoltare, accogliere e rispondere ad una chiamata così
grande e totale.
Il cammino non è stato facile. Oggi nel
silenzio, nell’ascolto della Parola e nella preghiera personale di
tutti i giorni, vissuta nella verità e nella sincerità davanti a Dio, mi
sento chiamato a riscoprirmi povero e dipendente da un Amore che
sovrasta e supera ogni mio limite. Essere sacerdote infatti significa,
prima di tutto, riconoscere di aver ricevuto un dono immenso che non si
acquista per meriti propri. Da questa consapevolezza è nata la
convinzione e la decisione di farmi compagno di viaggio per tutte le
persone che il Signore vorrà mettermi accanto, come un uomo che per
primo ha fatto esperienza di un Amore grande che chiede solo di essere
accolto. Nello spezzare il pane rivivo e celebro il dono di un Dio che
si spezza e si dona per noi, nel sacramento della Riconciliazione il
segno del perdono e della misericordia che apre alla rinascita ad una
vita bella, nel sacramento dell’Unzione degli Infermi la dolcezza di un
amore che sana e guarisce ogni nostra malattia del corpo e dello
spirito. Infine nella predicazione, la gioia di annunciare a tutti la
forza di una Parola che trasforma e da’ nuova dignità ad ogni uomo che
la accoglie.
Essere sacerdote è tutto questo. Dopo la
mia ordinazione sento ancora di più la verità di queste parole, scopro
giorno dopo giorno, sempre più, il mistero grande di questo dono che,
prima di ogni altra cosa, mi ricorda costantemente chi sono: un uomo, un
peccatore, rivestito di una nuova dignità che non è più la mia. Sento
forte la responsabilità di questa chiamata, ma allo stesso tempo ne
assaporo la bellezza e la consapevolezza che non sono solo, ma sono
semplicemente uno strumento nelle mani di Dio.
Non è tutto. La mia chiamata al
sacerdozio è nata e cresciuta nel Carmelo. Non posso immaginarmi e
pensarmi sacerdote e basta. Sono sacerdote carmelitano. Questo
arricchisce ancora di più la mia chiamata, vi è un qualcosa in più. Sono
chiamato ad essere sacerdote sì, ma non solo. Sono chiamato ad esserlo
nel Carmelo, come carmelitano. Significa vivere il ministero non solo in
funzione dei sacramenti e in comunione con tutta la Chiesa, ma
all’interno di una comunità, di una famiglia, che amplifica e dona un
colore diverso a ciò che vivo e sono. Il colore del coraggio e
dell’umanità di Elia e del silenzio (segno di umiltà ed ascolto) e della
tenerezza della nostra Madre e Sorella, Maria.
[1] Papa Francesco, Omelia della Santa Messa del Crisma, 17 aprile 2014.
da | O.Carm
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