Giovanni Gava, O.Carm.
Le prime Costituzioni dell'Ordine che noi possediamo, edite dal Capitolo Generale del 1281, incominciano con queste parole: “Rendendo
testimonianza alta verità, affermiamo che fino dal tempo dei profeti
Elia ed Eliseo, i quali piamente vissero sul monte Carmelo, i nostri
santi antecessori sia del nuovo che del Vecchio Testamento, veri autori
della solitudine dello stesso monte per la contemplazione delle cose
celesti, ivi, vicino alla fonte di Elia, rimasero in continua penitenza e
opere sante”.
Non vogliamo riprendere qui
l'appassionata polemica. che si è accesa e protratta attraverso i
secoli, intorno alle legittimità e alla autenticità delle nostre più
care tradizioni. Ma certo che, come Carmelitani, ci sentiamo commossi e
ci sembra di assistere a questa veneranda assemblea dei nostri antichi
Patri i quali, a distanza di poco più di un secolo dal tempo che alcuni
vorrebbero assegnare alle origini dell'Ordine, e quasi prevenendo gli
assalti non sempre sereni dei quali esse sarebbero divenute il
bersaglio, affermano con tanta e pur cosi semplice e pacata solennità,
di render testimonianza alla verità.
Con buona pace dei nostri avversari, noi crediamo più a loro che alle negazioni preconcette della moderna iper-critica.
Non possiamo infatti ammettere che questi Padri i quali rendono
testimonianza alla verità abbiamo voluto essere degli impostori, e non
si può provare che siano stati degli illusi o dei male informati.
Troppe sono le testimonianze esplicite
anche di estranei all'Ordine, che in quel medesimo tempo, e prima,
affermano la medesima cosa. Tra queste non possiamo tralasciare quella
di tutti i Santi Padri i quali, come abbiamo detto sopra, asseriscono
che la vita monastica deriva dai medesimi profeti Elia ed Eliseo.
La lettera di Focas
Ma di che si fanno allora forti questi
avversari? Di una lettera scritta verso il 1180 da un illustre ignoto,
un certo Pocas che non sappiamo chi sia, il quale afferma che “un. certo
monaco oriundo dalla Calabria, avendo trovati alcuni eremiti dispersi
sul monte Carmelo, li raccolse in un monastero che fece restaurare o
edificare sui resti di un altro, vicino alla fonte di Elia n; e cosi
avrebbe avuto inizio l'Ordine carmelitano.
Troppo poco in verità! A parte il
contorno così vago di questa lettera che non dice il nome di questo
monaco (da altre fonti sappiamo poi — e gli avversari ce lo concedono -
che era san Bertoldo, francese e non calabrese), possiamo dire che non
merita di vivere nella Chiesa un Ordine religioso che non conosce il
nome del proprio Padre, o peggio ancora che l'ha rinnegato e continua a
rinnegarlo, per prenderne un altro.
D'altra parte questo stesso documento,
tanto vantato da loro, non che infirmare le tradizioni dell'Ordine, le
conferma; perché dice né più né meno di quello che di-ciamo noi. E cioè:
1) che san Bertoldo non fondò un Ordine religioso, ma raccolse e riunì
degli eremiti che trovò su Carmelo, già esistenti dunque, ma dispersi
sui non senza ogni probabilità a causa delle persecuzioni dei Turchi; 2)
ne restaurò il monastero, anch'esso dunque preesistente, fortificandolo
con uno scavo intorno e con una torre di difesa, contro le possibili
incursioni e razzie dei medesimi Turchi.
Ecco tutto!
Ma c'è anche di più: l'esistenza di
monaci sul Carmelo è documentata dalle rovine di altri monasteri, come
quello di santa Margherita, anteriori pure essi a quello di san
Bertoldo. Per ora non c'importa gran che, che si trattasse anche di
monaci ortodossi, ciò che è da dimostrare: pure essi starebbero
ugualmente a testimoniare l'esistenza e la continuità di una tradizione
monastica sui luogo, Lo Scisma della Chiesa greca era anteriore di
neppure tre secoli. L'esistenza di questi monasteri è provata dagli
Itinerari di alcuni pellegrini, come Silva Eteria l'Anonimo Piacentino, risalente ai secoli quinto e sesto.
La prima Regola
Abbiamo inoltre una regola, che viene attribuita al patriarca di Gerusalemme Giovanni 44o,
contemporaneo di san Girolamo e maestro di san Cirillo di Alessandria,
scritta appositamente per gli Eremiti del monte Carmelo. Questa Regola
la possediamo ancora sotto il titolo De Institutione primorum
Monachorum: è quella che costituisce la base della spiritualità
eliano-mariana dell'Ordine, e sulla quale si sono formati i nostri
grandi Santi. La sua redazione latina, accertata fin dalla meta. del
secolo XII, tradisce evidentemente in molti passi il sustrato greco,
lingua in cui fu scritta originariamente, e dalia quale con una certa
libertà ha preso il traduttore che fu, con ogni probabilità, il
Patriarca di Antiochia Aimerico de Malefayda. E come mai i1 redattore
latino sarebbe andato ad attribuire la paternità di questa regola
proprio a Giovanni 44°, che non poteva certo raccomandarsi a monaci
latini per la nota polemica delle controversie origeniane sorta tra lui e
san Girolamo, molto venerato specialmente nel Medioevo tra gli
Occidentali? Non ne aveva altri Padri da scegliere, se voleva dare
importanza al suo scritto?
Oltre a questo documento, nel sec. III
Giamblico ci dice che il filosofo Pitagora, nei suoi viaggi in Oriente,
si portò anche sul monte Carmelo, per vedere il genere di vita di quei
monaci: a parte l'attendibilità della notizia nei riguardi del filosofo,
è certo però che l'autore non l'avrebbe inventata se, almeno ai suoi
tempi, degli uomini non avessero condotto su questa montagna una vita
che poteva attirare anche l'attenzione di un pagano.
Prima ancora Tacita, il grande storico
romano, afferma esplicitamente l'esistenza di questi uomini ai tempi di
Vespasiamo sul Carmelo, luogo che egli ci descrive come oggetto di
grande venerazione, e dove il futuro imperatore si reco a visitarli per
consultarli come un oracolo sull'impresa che egli stava per
intraprendere, e che avrebbe portato alla distruzione di Gerusalemme.
Contemporaneamente Plinio il Vecchio,
il grande naturalista che morì vittima del suo ardore scientifico nella
eruzione del Vesuvio che provocò la distruzione di Ercolano e Pompei ai
tempi dell'imperatore Tito, ci parla dell'esistenza di una gente
straordinaria, sempre eterna e in cui nessuno nasce, lungo le rive del
Mar Morto. Le ultime scoperte di Qum-Ram di questo immediato
dopoguerra, scoperte che han portato alla luce documenti risalenti al
terzo secolo avi. Cr. ci spiegano bene il mistero di questa gente; nella
legge del celibato, a cui sì consacravano anche i monaci ebrei,
sull'esempio dei profeti Elia ed Eliseo.
Non ci dilunghiamo qui a dimostrare come
si tratti di veri monaci: altri l'han fatto nello studio di questi
preziosi documenti, dai quali proprio le nostre tradizioni così
bistrattate ricevono nuova luce e più ampia conferma.
Anelli di congiunzione
Abbian preso a salti dei punti che sono
come le gran-di arcate di un ponte, il quale ci riunisce al primo
mona-chismo cristiano; e attraverso gli Esseni, dei quali parla Giuseppe
Flavio e che dotti Orientalisti, come il Ricciotti, dicono esser stati
vere e ortodosse aggregazioni a carattere monastico; e i Terapeuti, di
cui parla Filone; e i Recabiti, dei quali fa menzione il profeta
Geremia; e i Figli dei profeti, dei quali parla la Sacra Scrittura: ci
riunisce a Elia ed Eliseo.
E' una successione ininterrotta? non
osiamo né vogliamo affermarlo, perché certo — con quel che abbiamo ora —
non si potrebbe provare. E' però una successione più continua di quel
che si crede o si vuol credere, da chi vuoi ridurre la questione entro i
termini di un semplice Patronato spirituale eliano sull'Ordine.
Grazie alla loro gentile degnazione!
Se a queste prove, le principali, si
aggiungono i nu-merosi dati archeologici che si riscontrano sul Carmelo e
nelle sue grotte, risalenti anch'essi ai primi secoli cri. stiani, ne
abbiamo abbastanza per poter affermare che le tradizioni carmelitane
sono più che legittime, né si possono amandare al campo della pura
leggenda, se non da coloro che, atteggiandosi ad essere i paladini della
ipercritica, sonò qualche valla o in malafede o, almeno, degli
ignoranti.
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