giovedì 30 aprile 2015

Il Dono di Essere Sacerdote

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di Luca Sciarelli, O.Carm.
Difficile trovare parole per descrivere il grande e, per certi versi incomprensibile, dono dell’essere sacerdote. Per cercare di raccontare cosa significa per me, e per la mia vita, vorrei partire dalle parole che Papa Francesco ha pronunciato nella sua omelia durante la Santa Messa del Crisma lo scorso aprile, parlando ai sacerdoti:
 «credo che non esageriamo se diciamo che il sacerdote è una persona molto piccola: l’incommensurabile grandezza del dono che ci è dato per il ministero ci relega tra i più piccoli degli uomini. Il sacerdote è il più povero degli uomini se Gesù non lo arricchisce con la sua povertà, è il più inutile servo se Gesù non lo chiama amico, il più stolto degli uomini se Gesù non lo istruisce pazientemente come Pietro, il più indifeso dei cristiani se il Buon Pastore non lo fortifica in mezzo al gregge»[1].
 La prima e grande sfida di questa chiamata è stata accettare di essere una “persona molto piccola”. Nel mio lungo cammino di discernimento e di ascolto della volontà di Dio su me, l’aspetto più faticoso e doloroso che ho imparato, è stato scoprire la mia debolezza, il mio limite, il mio essere “piccolo” e povero. Da qui è cominciato il mio cammino. Solo quando ho capito che accogliendo la misericordia di Dio nella mia vita riacquistavo dignità e gioia, ero pronto per poter ascoltare, accogliere e rispondere ad una chiamata così grande e totale.
 Il cammino non è stato facile. Oggi nel silenzio, nell’ascolto della Parola e nella preghiera personale di tutti i giorni, vissuta nella verità e nella sincerità davanti a Dio, mi sento chiamato a riscoprirmi povero e dipendente da un Amore che sovrasta e supera ogni mio limite. Essere sacerdote infatti significa, prima di tutto, riconoscere di aver ricevuto un dono immenso che non si acquista per meriti propri. Da questa consapevolezza è nata la convinzione e la decisione di farmi compagno di viaggio per tutte le persone che il Signore vorrà mettermi accanto, come un uomo che per primo ha fatto esperienza di un Amore grande che chiede solo di essere accolto. Nello spezzare il pane rivivo e celebro il dono di un Dio che si spezza e si dona per noi, nel sacramento della Riconciliazione il segno del perdono e della misericordia che apre alla rinascita ad una vita bella, nel sacramento dell’Unzione degli Infermi la dolcezza di un amore che sana e guarisce ogni nostra malattia del corpo e dello spirito. Infine nella predicazione, la gioia di annunciare a tutti la forza di una Parola che trasforma e da’ nuova dignità ad ogni uomo che la accoglie. 
Essere sacerdote è tutto questo. Dopo la mia ordinazione sento ancora di più la verità di queste parole, scopro giorno dopo giorno, sempre più, il mistero grande di questo dono che, prima di ogni altra cosa, mi ricorda costantemente chi sono: un uomo, un peccatore, rivestito di una nuova dignità che non è più la mia. Sento forte la responsabilità di questa chiamata, ma allo stesso tempo ne assaporo la bellezza e la consapevolezza che non sono solo, ma sono semplicemente uno strumento nelle mani di Dio.
 Non è tutto. La mia chiamata al sacerdozio è nata e cresciuta nel Carmelo. Non posso immaginarmi e pensarmi sacerdote e basta. Sono sacerdote carmelitano. Questo arricchisce ancora di più la mia chiamata, vi è un qualcosa in più. Sono chiamato ad essere sacerdote sì, ma non solo. Sono chiamato ad esserlo nel Carmelo, come carmelitano. Significa vivere il ministero non solo in funzione dei sacramenti e in comunione con tutta la Chiesa, ma all’interno di una comunità, di una famiglia, che amplifica e dona un colore diverso a ciò che vivo e sono. Il colore del coraggio e dell’umanità di Elia e del silenzio (segno di umiltà ed ascolto) e della tenerezza della nostra Madre e Sorella, Maria.

[1]              Papa Francesco, Omelia della Santa Messa del Crisma, 17 aprile 2014.


da | O.Carm

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