mercoledì 22 aprile 2015

LA REGOLA CARMELITANA ALLA LUCE DELL’ECCLESIOLOGIA DEL CONCILIO VATICANO II


P. Claudemir Rozin, O.Carm.

Quella semplice lettera scritta dal Patriarca di Gerusalemme Alberto agli eremiti del Monte Carmelo, contenente la “formula di vita” che più tardi sarà approvata definitivamente come Regola di un Ordine Mendicante da papa Innocenzo IV (1247), per la sua ispirazione biblica possiede dei valori e ricchezze ancora da scoprire, approfondire, attualizzare, confrontare con le diverse esperienze e realtà di ogni momento storico. La Regola è stata alla base delle grandi riforme dell’Ordine e, non potrebbe essere diversamente, è il fondamento sicuro di quella necessaria rilettura del carisma chiesta dal Concilio Vaticano II alla Vita Consacrata (cf. PC 2). Dalle nuove riletture e interpretazioni della Regola avutesi dopo il Vaticano II – sotto l’aspetto storico, giuridico, contestuale, biblico, cristologico, spirituale, simbolico ecc. – emerge anche una visione ecclesiologica della sua proposta di vita che ci fa scoprire quell’aspetto essenziale maturato nella nuova riflessione conciliare: la Chiesa di comunione.
Nel postconcilio si è parlato molto del cristocentrismo della Regola del Carmelo. Infatti, lo scopo principale del progetto di vita è “vivere nell’ossequio di Gesù Cristo” (RC 2). Questo diventa il fondamento dell’esperienza personale e comunitaria dei carmelitani che, necessariamente, deve portare alla dimensione ecclesiale, poiché la Chiesa è giustamente “sacramento di Cristo”, “Corpo di Cristo” (LG 1 e 7), continuità della sua missione (cf. Gv 20, 21). Allora, parlare del cristocentrismo della Regola è riconoscere che essa dev’essere anche profondamente ecclesiologica, perché nell’invito alla sequela di Cristo, da cui la Chiesa è originata e totalmente dipendente (cf. SC 5), si indica anche un cammino da percorrere in comunità per raggiungere tale ideale. Trascurare la dimensione ecclesiologica della Regola può portare ad un’esperienza carmelitana individualistica, chiusa, non veramente cristiana. L’esperienza concreta della fraternità, sia all’interno di una comunità religiosa che nel rapporto di questa con tutto il Popolo di Dio, è il segno e il luogo dove la sequela di Cristo si realizza.
La rilettura del carisma dopo il Vaticano II, ha portato l’Ordine del Carmelo a riscoprire con grande enfasi il valore della fraternità come parte essenziale del progetto di vita contenuto nella Regola, tema che diventerà centrale nelle discussioni postconciliari. La fraternità, infatti, nella prospettiva di un Ordine Mendicante, sarà pensata in modo ampio, sia nella sua dimensione “ad intra” che “ad extra”, nel rapporto con la Chiesa e con il mondo. Questo porterà delle conseguenze pratiche, come la sfida di “costruire” vere comunità, con maggiore partecipazione e corresponsabilità a tutti i livelli, anche nel governo generale dell’Ordine.
L’aspetto della fraternità, come parte essenziale del carisma, è il punto di riferimento per capire il progetto comune. Questo aspetto si coglie in quel movimento che va dall’esperienza contemplativa personale e fondamentale di Dio all’incontro e alla condivisione di vita con gli altri. Nella struttura della vita fraterna indicata dalla Regola, possiamo trovare gli stessi elementi presenti nella Chiesa primitiva e che diventano i pilastri della Chiesa di tutti i tempi: l’ascolto della Parola di Dio, sia personale che comunitaria (RC 7.10; At 2,42); la centralità dell’Eucaristia, che realizza e fonda la comunione (RC 14; At 2,42.46); la povertà nella condivisione dei beni (RC 12.13; At 2,42.44; 4,32.34-35); l’incontro settimanale della comunità per valutare la vita fraterna e celebrare il perdono (RC 15; At 4,32); la preghiera liturgica in comunione con la Chiesa universale (RC 11; At 2,46). Abbiamo, inoltre, il priore – “primus inter pares” – scelto dal gruppo (RC 4; At 4,35), che esercita la sua autorità come servizio, assicurando l’unità e la struttura necessaria per vivere il proposito comune.
Questi elementi della fraternità presenti nella Regola – che sono anche alla base della vita ecclesiale – sottolineano il criterio della comunione. Il Vaticano II ha giustamente assunto la comunione come caratteristica principale dell’ecclesiologia conciliare: la Chiesa come “comunione con Dio e con i fratelli e le sorelle” (LG 1-5); come “unico Popolo di Dio” (LG II), che si fonda nella radicale uguaglianza dei battezzati (LG 9-17) prima ancora di qualche diversità di funzione o servizio; nel sacerdozio comune dei fedeli (LG 10) che porta alla partecipazione e corresponsabilità di tutti; nella comune vocazione alla santità universale (LG 39-42); per la comunione nella pluralità e complementarietà dei carismi (LG 4.7). Questi valori appaiono nella Regola nel modo in cui tutti si chiamano “fratres”, partecipano al capitolo settimanale o alle decisioni che il priore prende coinvolgendo tutta la comunità. Così, le principali caratteristiche dell’ecclesiologia di comunione aiutano a comprendere e attualizzare la fraternità carmelitana nella Chiesa di oggi. Permettono anche di rileggere la Regola alla luce del Vaticano II e scoprire lì un cammino di vita ecclesiale nello specifico di un carisma religioso presente nella Chiesa.
Questa rilettura, al livello di una nuova ecclesiologia, ha già avuto delle conseguenze pratiche nell’Ordine Carmelitano: la sfida di costituire comunità più consapevoli e partecipate; la maggiore responsabilità e l’impegno nel rapporto con il mondo, per la giustizia e la pace, nell’ottica di una fraternità universale; lo sviluppo della Famiglia Carmelitana che aiuta a ricordare che il carisma dev’essere aperto e arricchito dai diversi stati di vita, con una grande enfasi ed importanza alla partecipazione dei laici. Tali spunti, oltre a mettere l’Ordine in linea con la Chiesa postconciliare, mostrano che la Regola del Carmelo è ancora un progetto di vita vivo e attuale, che lancia alla fraternità carmelitana la sfida di contribuire con una continua e necessaria ricezione dell’ecclesiologia del Concilio.
Così, la fraternità carmelitana può anche diventare un segno importante e particolare della Chiesa di comunione proposta dal Vaticano II. La Vita Consacrata postconciliare è stata invitata ad essere non solo “segno” e “testimonianza”, ma anche “strumento” e “promozione” di questa coscienza ecclesiale (cf. VC 46). Allora, il Carmelo può offrire alla Chiesa un’esperienza della comunione vissuta in fraternità, come comunità, nella Chiesa, essendo questa la conseguenza e il risultato di una vita concretizzata dal dono della contemplazione, del vacare Deo – svuotarsi per riempirsi di Dio – che è il fondamento del suo carisma (cf. RIVC 4).
Senza perdere gli elementi delle origini, l’Ordine deve arricchirli rispondendo ai segni dei tempi, comprendendo l’ampiezza di questi valori che non portano ad una chiusura o isolamento, ma, al contrario, a una vita di comunione la cui sorgente è la comunione con la Trinità che si realizza nella comunione ecclesiale fra tutti i battezzati. Di questa forma, l’attualizzazione del carisma passa necessariamente per il rinnovamento proposto dal Concilio a tutta la Chiesa. In questa prospettiva, l’ecclesiologia di comunione diventa fondamentale per rileggere la Regola, e per capire e vivere il carisma, il senso della preghiera, del silenzio e della solitudine, i progetti e i lavori assunti dall’Ordine, le attuazioni parrocchiali e pastorali, la formazione dei nuovi carmelitani; vale a dire nell’ottica di un’esperienza ecclesiale più coerente e impegnata su un modello di Chiesa come Popolo di Dio.
A cinquant’anni dalla promulgazione della Costituzione Dogmatica Lumen Gentium (1964), certamente la Vita Consacrata può partecipare più attivamente al dibattito e approfondimento dell’ecclesiologia conciliare, specialmente per quanto riguarda il tema della comunione e le conseguenze pratiche che questo comporta. E in questo l’Ordine del Carmelo può giocare anche un grande ruolo. Abbiamo, però, ancora molto da percorrere su questa strada. Certamente i frutti saranno raccolti non solo dai consacrati e dalle consacrate, ma da tutta la Chiesa alla quale partecipiamo come unico Popolo di Dio. Vale la pena raccogliere tale sfida!

da | O. Carm

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