giovedì 30 aprile 2015

Uno schiaffo!


Altrettanto potentemente mi colpiva quanto riportato dalla cronaca dell’ultimo naufragio. Due cadaveri ripescati in mare portavano tatuata sulla pelle questa frase: «Possa Dio aiutarci», ed altri portavano scritto sulla mano il luogo da cui provenivano, il nome del loro paese di origine. Una preghiera e il nome della propria casa: con questi sentimenti si affronta il mare.
Cosa posso dire? Come posso convincere i miei amici studenti? Ci sono due livelli che posso toccare.
Uno più “laico”. Lo dico citando Giorgio Gaber che in uno dei suoi concerti ha raccontato questo aneddoto. «Ho fatto un sogno. Ero un naufrago in mezzo al mare. Ad un certo punto tra le onde vedo spuntare qualcosa: una testa, una persona. Speriamo che non mi veda penso perché non c’è posto per due sulla zattera! E invece mi vede, agita una mano e incomincia a nuotare verso di me. Cosa fare? Non posso farlo salire. Allora prendo il remo e quando lui è vicino, lo alzo e Purtroppo mi sveglio. Come è andata a finire? Devo riaddormentarmi per sapere se mi sono salvato! Allora ci provo a dormire e a sognare. Ed effettivamente mi accade di dormire e ricomincio pure a sognare: il mare, ovunque, attorno. Ma ora sono io nel mare! E lì, per fortuna, c’è una zattera. Allora mi affanno a gridare, a fare segnali, e incomincio a nuotare verso la zattera. Gli sono ormai giunto vicino quando il naufrago alza il remo e baam: che botta! Per fortuna era un sogno e mi sono svegliato!». Detto in altro modo: se ci fossi io al posto loro?
Uno più cristiano e perciò più umano. Diceva Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est che «il programma del cristiano il programma del buon Samaritano, il programma di Gesù è un cuore che vede. Questo cuore vede dove c’è bisogno di amore e agisce in modo conseguente». Il problema è come percepisco il mio cuore, fatto da Dio e abitato da Lui. Il problema è come percepisci il tuo cuore, fatto da Dio e abitato da Lui. Il problema è saper vedere in chi soffre il volto sofferente di Gesù e avvicinarmi a lui mostrando – attraverso me – il volto consolante di Gesù: la liturgia del prossimo, come la definiva il beato Vladimir Ghika. Se si tende a questa profondità allora accade con semplicità quello che suor Emmanuelle racconta nel suo libro Ricchezza della povertà: «Qual è la chiave che apre un rapporto vivo, da uomo a uomo? Il cuore, il centro più intimo della persona, laddove si uniscono le facoltà dellintelletto, della sensibilità e della volontà. E il cuore che riscalda e brucia. Dà calore ai nostri contatti con laltro. Laltro non è compreso attraverso un ragionamento freddo, né unemotività pura, né una determinazione rigorosa, ma mediante uno slancio spontaneo dellintero essere». Detto in altro modo: la risposta ad ogni questione è in quella profondità del cuore abitata da Dio. Lui è salito sulla mia piccola barca che attraversa la tempesta della vita: e l’ha pacificata.

da | www.mec-carmel.org

Nessun commento:

Posta un commento