Il sentiero che conduce dalla Pasqua alla
Pentecoste è un percorso di primavera. Non di una primavera che deve lottare
ancora con gli ultimi freddi, ma di una primavera che va, sicura, incontro
all’estate, verso la stagione dei frutti. È una primavera per chi ha vissuto intensamente
la Quaresima e si è aperto con gioia alla speranza della Pasqua.
È una primavera per le famiglie, chiamate a
rapporti nuovi di comunione, di condivisione, di fraternità. Penso alle
famiglie che partecipano intensamente alla Prima Comunione o alla Cresima di un
figlio. Penso ai matrimoni che d’ora in poi saranno celebrati. È una primavera
anche per tutta la comunità cristiana.
Il racconto dell’Ascensione costituisce un punto di partenza. Gli
apostoli sono stati assieme a Gesù per circa tre anni: hanno ascoltato la sua
parola, hanno visto i segni prodigiosi, hanno condiviso cibo e fatica, momenti
di esultanza e quelli difficili. La sua passione e morte li ha sconvolti. Vederlo
inchiodato alla croce è stata un’esperienza tremenda. Che ne era della Buona
Novella, di quel progetto di Dio che li aveva appassionati? Che ne era di quel
mondo nuovo annunciato ai poveri, ai miti, ai puri di cuore?
Ma poi lo hanno incontrato risorto e vivo. L’amara
scoperta del sepolcro vuoto si è cambiata in gioia. Hanno potuto vederlo, rivederlo, parlare con
lui, mangiare con lui. Ora tutto riprende senso, anche la croce.
E oggi ricevono una missione. Vedono Gesù ascendere
al cielo, ma non sono rattristati perché egli diventa il Signore della storia e
li accompagna ovunque e agisce in mezzo a loro attraverso il suo Spirito. Nulla
e nessuno potranno più fermare la realizzazione di quel disegno che il Padre
gli ha affidato.
Salire al cielo non vuol dire abbandonare la terra.
Solo ora Gesù può offrire la sua presenza e il suo amore veramente a tutti.
Gesù non abbandona questa terra che ha sposato. Egli vi abita, ma in un altro
modo. Continua a visitarla, facendole dono della sua luce, della sua forza e
continuando a inviare lo Spirito promesso agli apostoli e che si diffonde,
generazione dopo generazione, su tutti quelli che sono disposti ad accoglierlo.
La parola affidata non è una parola qualunque. È
Parola capace di cambiare la vita, di trasformare i cuori. Parola in grado di
guarire ferite profonde, piaghe aperte, con la misericordia, la tenerezza, il
perdono di Dio. Anche di questo saranno testimoni. I segni che hanno visto
compiere da Gesù si ripeteranno sotto i loro occhi. Proprio loro saranno gli
strumenti che Dio ha scelto per portare gioia e speranza, guarigione e consolazione.
Strumenti, forse, inadeguati ma strumenti sorretti, guidati dalla forza
dello Spirito che li trasformerà in apostoli infaticabili, discepoli fedeli,
pronti ad affrontare anche la morte per il vangelo di Gesù.
E’ l’avventura di una splendida catena di testimoni di cui anche noi siamo
parte. Gesù
non vuole dei discepoli alienati in uno sterile fissare il cielo. Ci chiede di
volgere lo sguardo al quotidiano perché qui siamo chiamati a renderlo presente,
vivente dentro la vita.
Il Risorto non trattiene per sé i suoi poteri:
possiamo agire con efficacia nella storia, possiamo guarire le malattie e lenire
le sofferenze, parlare le lingue nuove della fraternità e della misericordia. Il Risorto, il Signore non ci trattiene ma ci invia nel
mare aperto della storia, per essere lievito buono di amore e di speranza.
Testimoni: parola impegnativa. Non si tratta
solamente di riferire quello che abbiamo visto e udito. C’è una trasformazione
che percorre la nostra esistenza, una speranza che trasfigura la nostra vita,
un incontro con la misericordia e la grazia di Dio che lascia un’orma
indelebile.
Essere testimoni significa far percepire tutto
questo attraverso le parole e le opere, nelle scelte di ogni giorno, con uno
stile nuovo di vita. Ci sembra una missione impossibile ma proprio per questo
Gesù ci dona il suo Spirito. Spirito che sostiene, consola, incoraggia, riveste
di potenza. Con la sua voce lo Spirito canta nelle profondità del nostro cuore.
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