Il "tarlo” dell’idolatria
Il discernimento sull’idolatria è
ministero soprattutto dei profeti e dei sapienti dei quali si narra
nelle pagine delle S. Scritture. Impegno gravoso e poco gratificante —
in particolar modo per i profeti —, spesso caratterizzato da rapporti
conflittuali con le autorità politiche e religiose, o anche con lo
stesso popolo. E questo perché l’idolatria — molto di più dell’ateismo —
è come il "tarlo” che si insinua nella coscienza dell’uomo e lo corrode
dall’interno, è male sottile che inquina la sua relazione con Dio, con
gli altri uomini e con il mondo. Ma a questo si aggiunge il fatto che
dell’idolatria non si è subito consapevoli, perché l’idolo al primo
contatto ti affascina, come l’argento e l’oro, e poi con l’andar del
tempo ti rende "a sua immagine e somiglianza”, ovvero sacralizza l’io
dell’uomo, le sue pretese e i suoi bisogni, e piega la fede ai gusti
dell’individuo e della mentalità corrente. Dice bene il Salmo 115: "Gli
idoli delle genti sono argento e oro, opera delle mani dell’uomo. Hanno
bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non
odono, hanno narici e non odorano. Hanno mani e non palpano, hanno piedi
e non camminano; dalla gola non emettono suoni. Sia come loro chi li
fabbrica e chiunque in essi confida” (vv. 6-8). Sì, gli idoli sono tutto
apparenza ("hanno bocca e non parlano...”), e sull’apparenza e sulla
menzogna, ben mascherate da una patina di verità e di religiosità,
fondano la vita di un uomo, la istupidiscono e la forgiano sul modello —
diremmo noi oggi — del mito di Narciso; infatti gli idoli "entrarono
nel mondo per la vanità dell’uomo” (Sap 14,14).
Se non sempre il tarlo dell’idolatria è
visibile ai più, di esso, invece, ne sono consapevoli i profeti; dico
dei veri profeti, di quelli che non si considerano migliori degli altri,
ma loro per primi si lasciano interpellare, correggere e plasmare dalla
Parola di Dio. Il profeta Elia fu uno di questi. Anzi, la S. Scrittura
lo addita come il profeta modello e come colui che ricapitola tutta la
profezia più vera e più genuina (non a caso la pagina evangelica della
Trasfigurazione lo pone in dialogo con Gesù, assieme a Mosè, che evoca
la Torah). A questo profeta vogliamo accostarci, attraverso la pagina di
1Re 18,20-40, per apprendere a discernere l’idolatria stupida e
menzognera.
Lo scenario
Tutto cominciò quando nel regno del Nord
il re Acab, mediante un accordo politico-economico con il re di Tiro,
lavorò per il benessere economico in Israele e per la garanzia della
sicurezza militare dei suoi confini. La storia riconosce ad Acab il
merito di aver saputo assicurare agli abitanti del regno d’Israele un
livello di vita piuttosto alto. Si sa che nell’antichità ogni accordo o
riconoscimento politico-economico esigeva dalla controparte delle
concessioni anche di carattere religioso-cultuale. Nel nostro caso,
l’accordo politico-economico con i popoli fenici di Tiro e Sidone
esigeva da parte di Acab il matrimonio con Gezabele e l’introduzione del
culto fenicio al dio Baal. Tutto normale secondo la mentalità corrente.
Ma cosa ne pensa la Bibbia, qual’è il
suo giudizio? Ecco la risposta: "Acab, figlio di Omri, fece ciò che è
male agli occhi del Signore, peggio di tutti i suoi predecessori” (1Re
16, 30). Non è una lettura ingenua e pietistica. È la lettura dei fatti
della storia alla luce della fede. L’autore biblico, infatti, si è
chiesto: che cosa c’è dietro tanto benessere? quale prezzo si è dovuto
pagare?
Guardando ai fatti con la luce della
fede, l’autore biblico osserva che tale benessere è fiorito su una
cultura di morte, sulla decadenza dei valori della vita, sulla perdita
dell’ideale egualitario e fraterno dell’Alleanza. Le città vengono sì
ricostruite, ma sul sangue dei giovani. A Yhwh, il Dio dell’Alleanza,
con grande disinvoltura viene affiancato il dio Baal, il dio della
fecondità, un dio quindi più affascinante, più in sintonia con le "leggi
del mercato”, certamente più rassicurante e meno esigente di YHWH (1Re
16,31-34). È la ricerca della "fecondità” ad ogni costo (oggi diremmo:
di uno sviluppo senza limiti), sulla pelle della povera gente. È
l’affermazione dell’idolatria del benessere, ma di un falso benessere,
vale a dire di un benessere che nasconde un grosso imbroglio e una
grande confusione. Infatti il risultato concreto dell’idolatria è la
siccità (1Re 17,1), non solo quella relativa alla mancanza di pioggia,
ma, molto di più, quella connessa all’aridità del cuore e dello spirito,
quella che disumanizza e fa smarrire il senso vero della fede.
Dentro questo scenario socio-politico-religioso si muove l’azione di discernimento del profeta Elia al Carmelo.
Il popolo ondivago
Elia invita il popolo a rinnovare la
scelta per il Dio dell’Alleanza. "Fino a quando zoppicherete con i due
piedi? Se il Signore è Dio, seguitelo! Se invece lo è Baal, seguite lui!
Il popolo non gli rispose nulla” (1Re 18,21). "Zoppicare con i due
piedi” era una tipica danza religiosa. Qui l’espressione viene usata
come metafora del movimento ondivago della fede del popolo: si danza un
po’ per Yhwh e un po’ per Baal, ora si sta con Yhwh, ora si sta con
Baal. Un po’ come dirà Gesù a chi vorrà vivere il vangelo delle
Beatitudini: "Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà
l’altro, o preferirà l’uno e disprezzerà l’altro: non potete servire a
Dio e a Mammona” (Mt 6,24). In realtà l’ondivagare del popolo è il segno
di uno sbandamento molto grave.
Il discernimento nella preghiera
Di fronte al mutismo del popolo, Elia
propone di convocare un’assemblea liturgica (1Re 18,23-24) come contesto
ideale per smascherare la vacuità del dio Baal. Se le parole del
profeta rimangono inascoltate o non sono efficaci, allora ci si rimette
all’agire libero e creativo di Yhwh, perché sia Lui a manifestare la sua
presenza. Non è la ricerca di un miracolo. È l’opera di discernimento
che accade nella preghiera. La proposta viene accettata da tutti.
Si dà la precedenza ai profeti di Baal
(1Re 18,23-29). La loro preghiera rimane inascoltata. Non sono i profeti
di Baal inesperti nella preghiera, piuttosto è il dio Baal che è un dio
"muto” e "sordo” (1Re 18,26.29), un dio indifferente alla vita degli
uomini, un dio che pensa solo per sé e ama solo se stesso. Egli è
proprio lo "specchio” dell’immagine di Acab e di tutta la sua corte, e
pure di tutti suoi profeti. Ecco anche la vera causa della siccità
spirituale ed etica del popolo di Dio.
Dopo Elia, altri profeti avranno il
coraggio di smascherare l’imbroglio "organizzato” dei falsi profeti.
Ascoltiamo, ad esempio, Geremia: "Così dice il Signore: Non ascoltate le
parole dei profeti che profetizzano per voi; essi vi fanno credere cose
vane, vi annunziano fantasie del loro cuore, non quanto viene dalla
bocca del Signore. Essi dicono a coloro che disprezzano la parola del
Signore: Voi avete la pace! E a quanti seguono la caparbietà del loro
cuore dicono: Non vi coglierà la sventura. Ma chi ha assistito al
consiglio del Signore, chi l’ha visto e ha udito la sua parola? Chi ha
ascoltato la sua parola e vi ha obbedito?” (Ger 23,16-18). E anche Gesù
dirà: "Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di
pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete”
(Mt 7,15-16).
Tocca adesso al profeta Elia offrire il
sacrificio (1Re 18,30-38). Di tutt’altra natura e qualità è la preghiera
del nostro profeta. Il narratore ha cura di evidenziare i momenti più
importanti di essa: la vicinanza del popolo all’altare; la ricostruzione
dell’altare con dodici pietre, simbolo delle dodici tribù d’Israele,
quindi di tutto il popolo di Dio; l’acqua versata in sovrabbondanza
sull’offerta; la preghiera del profeta per il discernimento del vero Dio
e per la conversione del cuore del popolo; il fuoco che consuma ogni
cosa.
Tutto ci parla di Yhwh, del Dio
dell’Alleanza. Egli non è un Dio indifferente, bensì un Dio "vicino” al
popolo e alle sue situazioni (Dt 4,7; 30,14), è il Dio amante della Vita
che la dona in sovrabbondanza, come l’acqua ("per la vita del
Signore...”, 1Re 17,1). Per questo tutto il popolo non rimane distante,
ma viene pienamente coinvolto in questa preghiera di discernimento del
vero Dio e di conversione del cuore, attraverso il simbolo che lo
rappresenta dinnanzi a Dio: l’altare formato da dodici pietre. La
risposta di Yhwh si rivela nel segno del fuoco, ovvero nel segno del Suo
amore appassionato che avvolge tutti e consuma tutti. È l’esperienza
orante di "Dio fuoco divoratore” (Dt 4,24) che bruciando purifica e
risana (Is 6,6-7), facendo morire il "tarlo” dell’idolatria, fa rivivere
la fede autentica come relazione di amore/amicizia con Lui. "A tal
vista tutti si prostrano a terra ed esclamarono: il Signore è Dio! Il
Signore è Dio!” (1Re 18,39).
Anche Gesù è "venuto a gettare il fuoco
sulla terra” (Lc 12,49). Esso si è acceso nel dono di sé sulla Croce:
qui si è rivelato a noi, nello "splendore di uomo sfigurato”, l’amore
appassionato di Dio per il mondo. E per questo, come il popolo al monte
Carmelo, così il centurione, contemplando l’evento, esprime la sua
professione di fede "Davvero costui era Figlio di Dio” (Matteo 27,54).
Non è raro trovare nelle chiese dei
Carmelitani, sulle pareti dell’abside, l’iconografia del "Sacrificio di
Elia al Carmelo”. Collocata nell’abside, spazio dove è posto
l’altare-mensa per l’eucaristia, l’iconografia diviene "specchio”
all’assemblea e ai suoi ministri, affinché l’eucaristia sia vissuta come
esperienza dell’amore appassionato del Dio di Gesù Cristo che tutto
risana e riplasma nell’orizzonte del dono e della condivisione. Unico
antidoto contro il "tarlo” dell’idolatria.
da | O.Carm
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