di Iacopo Iadarola
1° tappa: Italia-Tel Aviv-Haifa-Wadi ‘ain es-Siah
da | carmeloveneto.it
1° tappa: Italia-Tel Aviv-Haifa-Wadi ‘ain es-Siah
Dal 14 al 27 aprile un gruppetto di 14
persone, fra Padri e giovani in formazione della nostra Provincia
veneta, ha ricevuto la grande grazia di partecipare ad un pellegrinaggio
assolutamente sui generis in Terra Santa, sui passi di Gesù. E
non in senso metaforico, ma in senso letterale questo gruppo dei
pellegrini ha camminato con marce di 15 o anche 30 km giornalieri per
visitare i principali luoghi segnati dalla vita terrena di Nostro
Signore, da Nazareth a Gerusalemme passando per il lago di Tiberiade e
Gerico. Ma muovendo i primi passi, com’è naturale per un gruppo di
carmelitani, là dove quest’ordine religioso è nato, sulle falde
del Monte Carmelo.
del Monte Carmelo.
A guidare la comitiva è stato P. Gianni
Bracchi, maestro dei postulanti, tutti presenti, mentre ad accoglierci
in loco è stato P. Francisco Negral, carmelitano spagnolo nativo di
Leon, ma da decenni impegnato in Terra Santa dove ha effettuato i suoi
studi e dove ha messo senza riserve a disposizione dell’Ordine e dei
pellegrini la sua competenza archeologica e la sua esperienza e sapienza
maturata in campo. Insieme all’attuale provinciale delle province
unificate di Spagna, P. Miguel, nel 2006 ebbe l’idea di predisporre
questo pellegrinaggio pedestre nei luoghi santi di Israele e Palestina, e
cominciarono a farlo insieme a gruppi di laici. Dalla nostra Provincia
Veneta invece è nata l’idea di concepire questo pellegrinaggio non
soltanto per laici, ma anche per i soli religiosi carmelitani o per chi è
in discernimento vocazionale, affinché questi possano “entrare nel
Carmelo attraverso la porta del proprio carisma”, rivissuto e respirato
nei luoghi in cui è nato, otto secoli fa. Per noi postulanti, poi, non
poteva pensarsi preparazione migliore ad essere incorporati nella
famiglia carmelitana, nonché per discernere più approfonditamente la
chiamata che abbiamo avuto il dono di ricevere! “Il Signore è qui che ti
chiama”, infatti, è il titolo scelto per questo pellegrinaggio da P.
Gianni, citando Gv 11,28, là dove Gesù chiama Maria di Betania
invitandola a levarsi e riprendere speranza per la risurrezione di suo
fratello Lazzaro. Questo “scossone”, è ciò che ognuno di noi ha potuto
presagire, in modi diversi, nell’avvicinarsi ai luoghi dove quella
chiamata è risuonata per la prima volta, dai pescatori di Galilea e
dagli amici di Betania, agli eremiti crociati del Carmelo fino ai nostri
giorni.
Un concretissimo “tornare in Galilea”,
dunque, come esorta a fare il Risorto nei racconti pasquali delle
apparizioni che abbiamo ascoltato nelle liturgie delle passate
settimane, ma che può ben essere inteso in senso spirituale, come ha
esortato a fare Papa Francesco nel recente discorso
ai formatori dei religiosi. Per ognuno è necessario risalire, infatti,
alle sorgenti della propria vocazione, là dove tutto è cominciato, al
primo amore che ha scardinato la nostra vita e che è perfettamente
simboleggiato da quella Galilea dove Gesù ha chiamato i suoi all’inizio
della sua predicazione e all’inizio della sua vita di Risorto.
Ma come dicevamo, per noi carmelitani, a
tutto ciò è stato premesso il monte Carmelo, quasi come preparazione
evangelica all’incontro col Signore, così come nella storia di Israele
le imprese di Elia su quel santo monte sono state anticipazione e
preparazione a quanto avrebbe vissuto e operato Gesù. “Egli rispose
loro: «Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma, come sta
scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire molto ed essere
disprezzato” (Mc 9,12). Per questo motivo, la nostra prima destinazione,
arrivati all’aeroporto di Tel Aviv nel cuore della
notte, è stata Haifa, lussureggiante città israeliana ai piedi del
Carmelo. Sul treno che ci avrebbe portati qui, al nostro punto di
partenza, c’erano vari israeliani che, alla luce dell’alba che iniziava a
trapelare dai finestrini, han cominciato a prepararsi alla preghiera,
avvolgendosi il braccio destro con striscioline di cuoio (i tefillim, i filatteri che conosciamo dai vangeli) e coprendosi con uno scialle (il tallit).
Così acconciati, con grande disinvoltura, han cominciato a litaniare
salmi nella loro lingua, dondolandosi seduti sul posto o in piedi
davanti ai finestrini. E anche nell’aeroporto di Tel Aviv era aperta,
fra i bagni e le sale d’attesa, una piccola sinagoga dove alle tre del
mattino dei rabbini stavano scrutando le Scritture: il primo volto di
Israele è stato decisamente quello di un popolo in preghiera. Preghiera
che mi è sembrata sbocciare in contesti che han poco di sacro, come da
parte di chi ha dolorosamente imparato a non fissarsi in un posto, in un
tempio, anche se desidera con tutto il cuore di tornarvi a prendere
dimora.
Ad Haifa abbiamo
sistemato gli zaini nei locali della parrocchia di S. Giuseppe, gestita
dai nostri padri carmelitani, a poca distanza dalla stazione, e siamo
partiti subito per Wadi ‘ain es-Siah (wadi=vallata;
'ain=sorgente; siah=cespuglio), il primissimo luogo della presenza
carmelitana in Terra Santa. Padre Francisco, che ormai per tutti è Padre
Paco, si trasforma nella infaticabile macchina esplorativa che sarà per
le prossime due settimane, fiutando come un segugio e i percorsi da
intraprendere (che non son mai esattamente gli stessi ogni anno) e
incamminandovisi con sveltezza, ma senza trascurare di tenere unito il
gruppo, di dare spiegazioni su tutto e di rispondere pazientemente ad
ogni domanda di noi che lo seguiamo. A volte, per fortuna, viene rapito
dalla bellezza di un fiore o dall’email sul cellulare di qualche suo
corrispondente, il che lo blocca per qualche minuto in cui noi possiamo
riprendere fiato…ciò che stupisce è che dopo trent’anni vissuti in
questi luoghi mantiene lo stupore e la freschezza di chi vi incappa per
la prima volta, e l’entusiasmo e la dedizione nei nostri confronti di
chi sembra ci aspettasse da una vita. Credo che già questo sia stato per
tutti un grande insegnamento vocazionale, su come un carmelitano debba
unire contemplazione e apostolato al servizio della Chiesa. Dopo due ore
di cammino per le strade di Haifa, lasciamo il centro della città alle
nostre spalle e ci addentriamo, costeggiando splendide marine e
fioritissimi parchi, fra lussuosi palazzoni di periferia dove stanno
sorgendo numerosi centri commerciali: è l’Israele ricco e benestante di
cui vedremo nel nostro viaggio numerosissimi esempi. Ma proprio a un
paio di chilometri di distanza da questi palazzi, l’edilizia rampante si
arresta per lasciare spazio a qualche collina semideserta davanti al
mare, fra le cui balze prende l’abbrivio un piccolo viottolo lastricato
che s’inerpica per la nostra prima mèta: Wadi ‘ain es-Siah,
dove sono le rovine del primo convento carmelitano, costruito dai nostri
padri eremiti agli inizi del XIII secolo, proprio qui sulle propaggini
inferiori del Carmelo (a questo link abbiamo fissato le coordinate su Google Earth). Su internet
c’è molto materiale per approfondire dal punto di vista archeologico e
storico la conoscenza di questo importantissimo sito, per cui non ci
dilunghiamo su questi aspetti. Ricordiamo invece come lo stato in cui
versano le rovine, a detta di P. Paco, peggiori di anno in anno, per
l’erosione naturale della vallata del wadi e per la mancanza di
un’adeguata tutela archeologica, mancanza dovuta non tanto alla
scarsità di risorse da parte nostra quanto agli intoppi burocratici da
parte delle autorità israeliane. Ci siamo potuti comunque rinfrescare
alla “fonte superiore” (apprezzata molto anche da israeliani in vena di scampagnate, a quanto risulta da alcuni rifiuti lasciati!),
detta anche “di Elia” in quanto una tradizione afferma che qui il
profeta si sarebbe dissetato; ma soprattutto ci siamo potuti raccogliere
in quella che era la chiesa “conventuale”, cui si accede per un portale
a sesto acuto restaurato solo qualche anno fa e che è una delle poche
strutture che a tutt'oggi sono in piedi. Fra i resti archeologici più
caratteristici, una scala che conduceva al piano superiore del convento
(costruito in un secondo momento rispetto ai primi insediamenti
eremitici), e la cella del Priore, purtroppo inaccessibile perché invasa
da rampicanti.
Lì, nella chiesa, abbiamo celebrato una
messa votiva in onore alla Madonna, la stessa Madre a cui erano
teneramente devoti i primi eremiti del Carmelo, che le dedicarono il
loro oratorio, e che ancora oggi continua a radunarci insieme per
guidarci verso suo Figlio. Non stupisce, allora, che il convento dove
vivono attualmente i nostri Padri, non qui nel wadi ma in cima al promontorio del Carmelo, sia dedicato ancora a Lei, venerata col nome di Stella maris, Stella di un mare che su questo monte sembra abbracciarti per ogni dove. Vi siamo saliti subito dopo la visita a Wadi ‘ain es-Siah, ma soltanto per pranzarvi, in attesa di andare a visitare le vicine monache del Carmelo di Haifa,
dedicato a Nostra Signora del Monte Carmelo. Queste ci hanno accolto
con la medesima gioia di un Carmelo nostrano…molte di esse, del resto,
sono del bresciano! Ma molte altre di tutti e cinque i continenti:
Madagascar, Perù, Corea, Giappone, Brasile…meravigliosa varietà che ci
ha ricordato come questo cuore orante del Carmelo rispecchi
perfettamente la multicolore cattolicità della Chiesa. Più dei custodi e
degli archeologi, sono in fondo esse a preservare e rinnovare con la
loro vocazione la memoria delle rovine di Wadi ‘ain es-Siah,
che si intravedono dalle finestre del loro monastero e che devono
icasticamente ricordar loro le parole della Santa Madre: “Tutte siamo
chiamate all'orazione e alla contemplazione perché in ciò è la nostra
origine e siamo progenie di quei santi Padri del monte Carmelo che in
grande solitudine e nel totale disprezzo del mondo cercavano questa
gioia, questa preziosa margherita di cui parliamo: eppure in poche ci
disponiamo per ottenere che Dio ce la scopra” (Teresa d’Avila, Castello Interiore, Quinte mansioni 1,2).
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