Fin dai primi decenni, due furono, nel
Carmelo, le icone della Madonna contemplate come simbolo del dono
vocazionale ricevuto da Dio: la Vergine della Annunciazione, e la
Vergine Immacolata.
La Vergine dell’Annunciazione: come evidenza esemplare della creatura totalmente accogliente verso il “Dio che viene”
L’icona dell’Annunciazione coglie Maria nel momento in cui la Vergine purissima diventa Madre.
La purità –un termine
ricorrente nelle meditazioni mariane degli autori carmelitani– non
riguarda tanto la purezza del corpo, nella sua integrità biologica,
quanto l’orientamento totale dell’essere che si volge verso il
Dio-Trinità senza frapporre nessun ostacolo, nessuna distrazione,
nessuna macchia interiore o esteriore. E’ la totale trasparenza che
permise a Maria di ascoltare l’annuncio dell’Angelo con tutta se stessa e
di credere anche col suo corpo. Ed è ciò che permette ancora alla creatura-carmelitana di «meditare giorno e notte la Parola del Signore» fino a lasciarla inabitare in sé come in un tempio purissimo.
La maternità divina è il dono sublime con cui Dio rispose a tale purezza di Maria, colmata di ogni grazia.
L’icona dell’Annunciazione ci fa contemplare Maria nell’istante, perfettamente compiuto, in cui per la prima volta ella si lascia inabitare dalla Presenza del Figlio di Dio fatto uomo[i].
Come ogni donna incinta, Maria è tempio
vivente per il suo Bambino: tutto in lei si piega ad accogliere,
ospitare, proteggere il Dono che le viene fatto.
Per la prima volta nella storia, una
creatura può amare Dio con tutto il cuore, tutta l’anima, tutte le forze
e il prossimo come se stessa (sono i due grandi comandamenti!) in un unico e indivisibile atto: perché quel Bambino è indivisibilmente il suo Dio e il suo prossimo.
Per la prima volta nella storia, una
creatura umana può consegnare a Dio, in un unica offerta di sé, tutta la
sua contemplazione e tutta la sua azione.
In tutta la storia cristiana, mai
nessuno potrà sperimentare il Mistero di Dio, in maniera più umana e più
piena di quello che accadde durante quei primi nove mesi.
La Vergine Immacolata: come evidenza esemplare della creatura totalmente e anticipatamente accolta nel Mistero che dovrà inabitarla.
L’altra icona di cui l’Ordine Carmelitano si è sempre mostrato innamorato è quella della Immacolata.
Anzi, si può dire che i carmelitani si impadronirono,
per così dire di una tale festa, al punto che la Curia Romana di
Avignone prese l’abitudine (che durò un paio di secoli) di solennizzarla
nella Chiesa dei Carmelitani[ii], come solennizzava presso la chiesa degli altri ordini religiosi la festa del rispettivo Fondatore.
Ma i carmelitani si distinsero anche
nella dottrina, sottolineando soprattutto un argomento teologico di
particolare bellezza: Maria doveva essere preservata dal peccato
originale, e lo fu, a causa della «identità della carne» che lei avrebbe condiviso con il Figlio di Dio.
La fede nella Immacolata Concezione lì portò a “pensare” la pienezza dell’avvenimento cristiano.
Pensare non solo una creatura che genera Cristo, ma una creatura “fatta per generarlo”.
Pensare non solo una creatura salvata dalla sua passione e morte, ma una creatura già anticipatamente redenta prima ancora di essere fatta!
Ciò voleva dire considerare l’avvenimento cristiano risalendo alla sua sorgente trinitaria, là dove Dio si preparava «una vergine di perfetta bellezza, prescelta da tutta l’eternità come Madre del Signore Gesù» («…Virginem perfecti decoris, ab aeterno Domini Jesu Matrem praelectam»)[iii].
Voleva dire risalire, con la contemplazione, là dove anche ogni altra creatura –assieme a Maria– è predestinata a Cristo: già eternamente avvolta dalla Sua misericordia, già eternamente salvata dal Suo sangue.
Ed i Carmelitani erano per così dire storicamente abituati
a risalire verso le origini, anche solo pensando al loro Elia al quale
il mistero dell’Immacolata era stato rivelato nove secoli prima che
accadesse. E di quel mistero i lontanissimi «figli dei profeti» s’erano
innamorati, mentre nella Chiesa ancora se ne discuteva…
Anche questo era amore alle origini!
La Vergine purissima: come sintesi delle due icone precedenti
Il popolo cristiano ha sempre visto uno stretto legame tra la Verginità di Maria (nel suo concepire Gesù in tutta purità di mente e di corpo) e la sua Immacolata concezione
(nell’essere lei concepita senza alcuna macchia di peccato), tanto che
spesso ha addirittura confuso le due verità. Gli stessi predicatori e
maestri facilmente le sovrappongono.
Questa istintiva tendenza la si trova anche nelle «leggende» e nella «devozione» e nelle «riflessioni» dei carmelitani, ed essa nasconde forse una verità più profonda che oggi ci è dato riscoprire.
I due privilegi mariani sono infatti tra loro legati in maniera speculare:
- la Verginità ci ricorda la maniera «totale» in cui Maria ha ospitato in sé la Presenza del Figlio di Dio incarnato, credendo «anche col suo corpo», ed è il primo privilegio che ci viene rivelato dalla Parola di Dio.
- L’Immacolata concezione ci rivela che Maria stessa è stata creata per Gesù, concepita per
Lui, già prevenuta e redenta dal Suo sangue. E’ il privilegio che la
Chiesa ha custodito per secoli e secoli, prima di comprenderlo appieno e
di definirlo, ma è anche il privilegio originario, il primo in ordine di tempo. Quello che preannuncia e prepara l’incarnazione stessa.
Se, come Vergine della Annunciazione, Maria contiene in sé il suo Figlio divino, ed è totalmente curvata su di Lui, per adorarLo e proteggerLo, come Vergine Immacolata, ella è totalmente e anticipatamente contenuta da Lui, plasmata da Lui, (per questo Dante la chiama “Figlia del tuo Figlio”!).
La Vergine dell’annunciazione e la Vergine Immacolata sono dunque due immagini, due icone, che descrivono come è fatta la creatura che Dio destina a Cristo: è fatta per generare Gesù perché è stata da Lui generata; è fatta per generare il Salvatore perché è stata da Lui anticipatamente salvata.
E’ assieme che le due icone descrivono –in una circolarità virtuosa– il mistero dell’esistenza cristiana.
L’intera storia del Carmelo ruota attorno a queste due immagini esemplari, ed è tutta costruita su di esse.
Chi, vocazionalmente e carismaticamente,
si sente descritto dalla icona dell’Annunciazione è chiamato a
riprodurre nella Chiesa il “tipo umano” della creatura che
irresistibilmente vuole scendere –qualsiasi cosa sia chiamata a fare–
nel profondo mistero del suo cuore, là dove già abita il Figlio
incarnato di Dio, e l’intera Trinità. Sarà questo il tipo umano che sarà
sperimentato e descritto nell’epoca d’oro del Carmelo. Ne diamo
soltanto due esempi.
S. Teresa d’Avila non solo immaginerà
l’essere umano come una splendida dimora del Dio Trinità, ma terrà
quest’icona mariana come espressiva dello sguardo con cui contemplerà
quotidianamente se stessa e le sue monache. Esclamerà allora: «Che
spettacolo meraviglioso vedere Colui il quale può riempire mille mondi
delle sue grandezze, rinchiudersi in uno spazio così piccolo (cioè: nel
cuore credente)! Allo stesso modo ha voluto rannicchiarsi nel grembo
della sua Santissima Madre» (Cammino di Perfezione, red. Esc., 48,3). Ed
Elisabetta della Trinità commenterà così, con tanta felicità, i suoi
pochi Natali trascorsi in monastero: «Il Natale al Carmelo è una cosa
unica! La sera mi sono messa in coro e lì ho trascorso tutta la veglia,
come la Vergine Santa, nell’attesa del piccolo Dio che questa volta
stava per nascere non più nella mangiatoia, ma nella mia anima, nelle
nostre anime, perché Egli è veramente l’Emmanuele, il Dio con noi» (L.
155).
Madre del Verbo, dimmi il tuo mistero
quando Dio si incarnò dentro di te.
Dimmi come vivesti sulla terra
immersa in costante adorazione.
Avvolta in una pace totale, ineffabile.
Con quel tuo silenzio misterioso,
andavi sempre più penetrando
nell’Essere insondabile,
quando portavi in te il Dono di Dio.
O Madre, custodiscimi sempre
nell’abbraccio divino! (P. 87).
quando Dio si incarnò dentro di te.
Dimmi come vivesti sulla terra
immersa in costante adorazione.
Avvolta in una pace totale, ineffabile.
Con quel tuo silenzio misterioso,
andavi sempre più penetrando
nell’Essere insondabile,
quando portavi in te il Dono di Dio.
O Madre, custodiscimi sempre
nell’abbraccio divino! (P. 87).
Dentro di me, nella mia anima
si compie il sublime mistero,
si rinnova l’Incarnazione.
Io più non vivo, Lui vive in me. (P. 76).
si compie il sublime mistero,
si rinnova l’Incarnazione.
Io più non vivo, Lui vive in me. (P. 76).
Chi, invece, vocazionalmente e carismaticamente, si sente più descritto dalla icona dell’Immacolata è
chiamato a riprodurre nella Chiesa il “tipo umano” della creatura che
riconduce il dramma della redenzione alle sue più profonde radici: non
solo là dove la creatura lotta col suo Dio e Salvatore, ma là dove la
creatura riconosce che Dio ha vinto da sempre; non solo là dove la
creatura “cede” a Dio, ma dove si lascia “prevenire” e “generare”.
Sarà questa, in particolare, l’esperienza di S. Teresa di Lisieux: ella rivendicherà in ogni maniera il suo diritto a sentirsi «immersa
nella misericordia», «immersa nell’amore e nel perdono» non perché
«peccatrice», ma perché «prevenuta anche dal peccare» [iv].
I vari titoli mariani:
- Maria è Madre perché genitrice del Figlio di Dio, ma genitrice anche dell’Ordine Carmelitano e dei singoli religiosi che sono suoi figli “come una sorta di primizia ecclesiale”; i quali, a loro volta, sono veramente figli solo se restano nel suo grembo e continuavano a lasciarsi da lei plasmare.
- Maria è Vergine perché tutta disponibile all’amore del Padre e tutta pura nella accoglienza del Verbo; a loro volta i carmelitani sono “vergini” (con una esperienza di secoli e secoli: risalente ad Elia!) perché interamente dediti a quell’orazione che è “virtus castissima”, come diceva Dionigi l’Areopagita.
Maria è Immacolata perché tutta preparata per
Cristo e per la sua salvezza, perché già anticipatamente redenta.
L’Ordine Carmelitano onora questo mistero e lo sente particolarmente suo
perché lo porta in qualche maniera nel suo «codice genetico»: esso sa –
in forza delle sue antichissime tradizioni – che cosa vuol dire
sentirsi scelti e salvati fin dalla notte dei tempi.
E’ chiaro che non stiamo qui vantando –
una volta ancora! – privilegi scarsamente difendibili sul piano della
storia o della stretta teologia. Stiamo semplicemente elencando le
«persuasioni di coscienza» che accompagnarono l’Ordine Carmelitano nella
sua secolare evoluzione.
Non temiamo di dire, per altro, che fu
quest’alta coscienza di sé che ha permesso all’Ordine –soprattutto alla
sua parte più mariana: quella femminile– di produrre «personalità
mariane» o «marie-formi» di inarrivabile grandezza anche «magisteriale».
Tali furono, fuor di ogni dubbio Teresa
d’Avila, Teresa di Lisieux, Elisabetta della Trinità, Edith Stein, per
ricordare solo le più celebri. E, per gli aspetti più profondi, anche S.
Giovanni della Croce può essere inserito in questo elenco «sponsale».
La «Madre di tutti»
Nel secolo XIV si diffuse il racconto
della visione di un monaco cistercense che aveva visto Maria raccogliere
sotto il suo manto, come Madre misericordiosa, un numero infinito di
figli. Tra i carmelitani subito l’immagine fu ripresa e diffusa – in
base a un’altra visione, beninteso – e il titolo che l’icona ebbe fu
quello splendido di «Mater omnium: Madre di tutti»: e tutti, sia la vergine che i suoi figli, erano rivestiti di bianco.
L’episodio, discutibile nella sua
genesi, mostra tuttavia che la coscienza dell’Ordine si era da tempo
protesa ad universalizzare i suoi doni, mettendoli a disposizione di
tutto il popolo cristiano.
A questa profonda necessità si riallaccia la storia dello «Scapolare»[v] e dei suoi «privilegi».
E’ una storia che di fatto si imporrà nella Chiesa, al punto tale che l’icona della «Madonna del Carmine» e quella della «Madonna dello Scapolare» si sovrapporranno l’una all’altra e riempiranno il mondo.
La notizia della visione di S. Simone Stock[vi]
risale a un’epoca (il sec. XIV) in cui molti Ordini religiosi ne
vantano di simili (e tutte legate alla protezione celeste concessa per
mezzo santo abito) e offrono analoghi privilegi (in particolare la
certezza dell’eterna salvezza).
A tale visione si sarebbe poi legato un «privilegio» concesso da papa Giovanni XXII –sempre in seguito a una visione avuta dal pontefice– che garantiva ai «veramente devoti» la salvezza eterna e la liberazione dal Purgatorio il primo sabato dopo la morte.
Di tutto ciò non ci sono prove storiche
certe, ma storico è il fatto che la Chiesa accolse, e in seguito
ratificò, la predicazione di questo privilegio e le assicurazioni in
esso contenute, chiedendo ai cristiani – come è ovvio – di vivere e
morire in grazia di Dio, dopo aver particolarmente onorato la Vergine
Santa, soprattutto con una vita casta.
Ma ciò che importa non è garantire in tutti i dettagli la storicità del miracolo originario, quanto osservare stupefatti la storicità del miracolo che con la predicazione dello Scapolare si originò: la devozione a «Maria Carmelitana».
Le cronache dei secoli immediatamente successivi parlano «di infiniti confratelli di massima devotione et concorso, specialmente in Sicilia, nel Regno di Napoli e in Lombardia».
Al tempo di S. Teresa d’Avila, pare che –
in occasione della visita del Generale dell’Ordine – ricevettero lo
scapolare più di duecentomila fedeli.
Della Spagna si diceva, sul finire del secolo XVI: «Non
c’è casa dove non portino l’abito del Carmelo… Non sembra forse la
Spagna, con la Lusitania, un grande convento di carmelitani?».
La cosa importante fu che le
«confraternite dello Scapolare» si estesero anche là dove non c’erano
chiese o conventi di carmelitani, col risultato che la «devozione alla
Madonna del Carmine» si universalizzò e si radicò in tutto il popolo di
Dio.
In tal modo lo Scapolare divenne, assieme al SS. Rosario, la devozione mariana più popolare al mondo.
Lo hanno portato i regnanti di Francia e
di Spagna (e, nei primi secoli, anche quelli d’Inghilterra), non meno
dei Sommi Pontefici, fino ai nostri giorni.
Questo ci basta per concludere che «nel codice genetico carmelitano» ci sta anche una naturale propensione, o meglio: «una predestinazione» a coinvolgere nelle sue vicende l’intero popolo di Dio.
Certo: tutti i carismi sono dati per l’edificazione della Chiesa, ma ognuno deve costruire una parte dell’edificio.
«La storia poetica e spirituale dei Carmelitani» dei primi secoli sembra indicare una tendenza a disseminare il carisma dell’Ordine dovunque.[vii]
Maria, Sorella del Carmelo
I primi carmelitani, nel loro guardare a
Maria, non erano interessati a vedere fenomeni particolari. Chiamare
Maria sorella significa sentire Maria accanto a noi, a noi familiare. E
Maria, come sorella che ci sta accanto, creatura come noi, ci invita a
vivere il mistero che ci costituisce e che sta dentro di noi, quel
mistero che noi riusciamo a percepire, per grazia di Dio, attraverso la
nostra interiorità. Interiorità continuamente desiderata, scoperta,
abbandonata e ritrovata. Occorre, ancora una volta, focalizzare la
nostra attenzione per rafforzarci in questa dimensione della nostra
interiorità, che ci è propria, ma che anche ha bisogno costantemente di
essere rivisitata e ricompresa. Ci muoviamo in tre direzioni.
La Prima direzione: la dimensione umana
Perché ci sia interiorità bisogna che ci
sia una “spina dorsale”, occorre essere uomini e donne nel pieno della
maturità; bisogna che ci sia un “io” vero, una persona che sa pensare,
scegliere, decidere, una persona che vive la propria libertà e la
propria responsabilità. Nella vita quotidiana occorre dirsi: “Io voglio
questo, questo desidero, e allora decido”. Certamente questo implica un
vero discernimento, una verità profonda con se stessi, per cui ci si
pone la domanda: “Ma sono davvero io a volere questo?”, “Io, cosa voglio
davvero, cosa desidero nel più profondo di me?”. Dobbiamo imparare a
dare voce ai nostri pensieri, ai nostri sentimenti, ai nostri veri
desideri. Maria è la donna libera, vera che ascolta ciò che c’è nel suo
cuore, ascolta e ricorda, fa memoria del mistero che l’ha avvolta e
allora sceglie, decide.
La seconda direzione: la non superficialità
Essere uomini e donne di interiorità
significa non essere superficiali. Oggi anche la comunicazione sociale
non ci aiuta ad andare alla profondità delle cose, anzi, il rischio è di
non arrivare a non sentire più stupore e compassione; non essere
superficiali significa rimanere ancorati ai nostri veri sentimenti, non
lasciarci prendere dall’abitudine, dal “tutto scontato”. Interiorità
significa allora filtrare ciò che ascoltiamo e vediamo educandoci ad un
vero spirito critico che sa andare al cuore, al centro delle cose. Maria
è la donna che approfondisce le cose, che non ha paura di fare anche
domande al Signore.
La terza direzione: abitati da una presenza
E’ centrale nell’esperienza di Maria la
consapevolezza di essere abitata da una Presenza e questo è al centro
del cristianesimo: noi siamo “Tempio di Dio”. La nostra interiorità è
abitata da Dio, è dimora permanente di questo Dio. Dio è presenza
nascosta, non evidente, ma Maria lo sente. Maria ci insegna soprattutto a
vivere questa presenza di Dio in noi, ci invita a prendere sempre di
più consapevolezza che noi non siamo mai soli, ci insegna ad accorgerci
di questa presenza così delicata e così stravolgente.
Sono importanti, allora, anche i segni
esterni. Quanto importante che anche l’ambiente in cui viviamo risplenda
della bellezza che attinge da questa Presenza che sta nel cuore di ogni
luogo e alla radice di ogni cosa. Abbiamo bisogno di segni; abbiamo
bisogno di essere segni gli uni per gli altri per richiamarci a vicenda
il mistero che ci abita.
Abbiamo bisogno degli occhi, delle mani,
dei nostri occhi degli occhi degli altri, delle nostre mani, delle mani
degli altri, per compiere quei gesti, fatti talvolta di silenzio, gesti
di cura e di vicinanza, di consolazione e di condivisione, che rivelano
la presenza di Dio nel mondo, in ciascuno di noi e che ogni giorno,
ogni ora, ogni istante risvegliano il mondo, ciascuno di noi, in quel
profondo mistero dal quale veniamo e al quale torneremo, Dio nostro
Padre.
PER L’ORAZIONE CARMELITANA
Parola di Dio: Lc 1,34-38
34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35
Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te
stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà
dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche
Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e
questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.
Un pensiero di Teresa d’Avila
«Che spettacolo meraviglioso vedere
Colui il quale può riempire mille mondi delle sue grandezze,
rinchiudersi in uno spazio così piccolo (cioè: nel cuore credente)! Allo
stesso modo ha voluto rannicchiarsi nel grembo della sua Santissima
Madre» (Cammino di Perfezione, red. Esc., 48,3).
Un pensiero di Elisabetta della Trinità
«Il Natale al Carmelo è una cosa unica!
La sera mi sono messa in coro e lì ho trascorso tutta la veglia, come
la Vergine Santa, nell’attesa del piccolo Dio che questa volta stava per
nascere non più nella mangiatoia, ma nella mia anima, nelle nostre
anime, perché Egli è veramente l’Emmanuele, il Dio con noi» (L. 155).
Madre del Verbo, dimmi il tuo mistero
quando Dio si incarnò dentro di te.
Dimmi come vivesti sulla terra
immersa in costante adorazione.
Avvolta in una pace totale, ineffabile.
Con quel tuo silenzio misterioso,
andavi sempre più penetrando
nell’Essere insondabile,
quando portavi in te il Dono di Dio.
O Madre, custodiscimi sempre
nell’abbraccio divino!» (P. 87).
quando Dio si incarnò dentro di te.
Dimmi come vivesti sulla terra
immersa in costante adorazione.
Avvolta in una pace totale, ineffabile.
Con quel tuo silenzio misterioso,
andavi sempre più penetrando
nell’Essere insondabile,
quando portavi in te il Dono di Dio.
O Madre, custodiscimi sempre
nell’abbraccio divino!» (P. 87).
«Dentro di me, nella mia anima
si compie il sublime mistero,
si rinnova l’Incarnazione.
Io più non vivo, Lui vive in me» (P. 76).
si compie il sublime mistero,
si rinnova l’Incarnazione.
Io più non vivo, Lui vive in me» (P. 76).
Un pensiero di Teresa di Lisieux
Lo so: « colui al quale si rimette meno, ama meno »; ma so anche che Gesù mi ha rimesso di più che a Santa Maddalena, poiché mi ha rimesso in anticipo,
impedendomi di cadere. Ah, come vorrei poter spiegare quello che
sento!... Ecco un esempio che esprimerà un poco il mio pensiero.
Supponiamo che il figlio di un abile dottore incontri sul suo cammino
una pietra che lo faccia cadere e che in questa caduta si rompa un arto.
Subito il padre va da lui, lo rialza con amore, cura le sue ferite,
impiegando per questo tutte le risorse della sua arte e ben presto il
figlio, completamente guarito, gli manifesta la propria ricono- scenza.
Certo questo figlio ha perfettamente ragione di amare suo padre! Ma farò
anche un'altra supposizione. Il padre, avendo saputo che sulla strada
di suo figlio si trovava una pietra, si affretta ad andare davanti a lui
e la rimuove (senza essere visto da nessuno). Certamente, questo
figlio, oggetto della sua tenerezza previdente, non SAPENDO la sventura
da cui è liberato dal padre non gli manifesterà la propria riconoscenza e
l'amerà meno che se fosse stato guarito da lui... ma se viene a conoscere il pericolo al quale è sfuggito, non l'amerà forse di più? Ebbene, sono io quella bambina oggetto dell'amore previdente di un Padre il quale non ha mandato il suo Verbo per riscattare i giusti, ma i peccatori. Egli vuole che io l'ami perché mi ha rimesso, non molto, ma tutto. Non ha aspettato che l'ami molto
come Santa Maddalena, ma ha voluto che IO SAPPIA di essere stata amata
di un amore di ineffabile previdenza, affinché ora io lo ami alla follia!
Ho sentito dire che non si era mai incontrata un'anima pura che ami più
di un'anima penitente, ah, come vorrei smentire queste parole!...
(Manoscritto A 120)
Sr. Miriam Bo
Carmelitana di S. Teresa di Torino
Carmelitana di S. Teresa di Torino
[i]
Il carmelitano Giovanni di Hildesheim, nel 1370 chiama Maria: «Vergine
cristifera, Madre cristifera, tempio vivo del Dio vivente, sacrario e
santuario dello Spirito Santo» (Defensorium ).
[ii] G. Baconthorpe, che ne dà notizia in un suo trattato, ne approfitta per chiedere al Papa l’approvazione esplicita della festa e della dottrina, altrimenti si rischia un peccato di «dissimulazione»… Cfr. L’Immacolata Concezione di Maria e i dottori Carmelitani, estratto da Il Monte Carmelo (XV-XVI), p. 21.
[iii] A. Bostio, in Speculum Carmelitanum, Antuerpiae 1680, n. 1699.
[iv] Cfr. Teresa e l’Immacolata, in A.-M. Sicari, La teologia di S. Teresa di Lisieux, Dottore della Chiesa, Milano-Roma 1997, pp. 260-264.
[v] Lo «scapolare» è
parte dell’abito carmelitano è segno della protezione che l’abito
concede. Una particolare sottolineatura teologica viene data in tutta la
vicenda anche al mantello bianco.
[vi] La visione di S. Simone Stock però sarebbe avvenuta verso il 1251, e quella di Giovanni XXII verso il 1322.
[vii] Tutta questa parte è tratta da A. Sicari, La storia poetica e spirituale dei Carmelitani, nei secoli XIII-XV. Parte seconda, Brescia 1999, pro manuscripto.
da \ O. Carm
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